Riprendiamo questo articolo dal FOGLI0 di oggi, 27/04/2013, a pag.2, con il titolo " La gran viltà di Pio XII e Benedetto XVI e il rancoroso spirito del tempo", perchè - nel tentativo di risollevare l'immagine di Papa Pacelli - descrive in maniera definitiva, nelle prime 10 righe che seguono, il suo comportamento nei confronti dello sterminio ebraico. Parole più chiare non potevano essere trovate. Un bravo all'autore, Andrea Monda, un ottimo Pubblico Accusatore, anche se la parte che si era proposto di interpretare era quella del Difensore.
Quando Pio XII si rese conto che denunciare pubblicamente le persecuzioni razziali dei nazisti avrebbe aggravato le condizioni dei perseguitati, scelse di operare silenziosamente, di condannare tali persecuzioni anche in discorsi e messaggi ma sempre in modo implicito e, soprattutto, di salvare più vite possibili dalla furia sterminatrice. Si rese conto del rischio che correva (“verrò criticato per questo mio comportamento”), ma lo affrontò coraggiosamente. Aveva visto lungo, nel senso che ancora oggi sulla sua figura pende un’ombra per cui quel coraggio di andare contro la propria reputazione non viene avvertito e al suo posto è invece percepita con acuta sensibilità l’onta della viltà dei suoi “silenzi”. Mi è venuto in mente Pio XII pensando al gesto dell’11 febbraio 2013 compiuto da un Papa quanto mai distante da Pacelli, Benedetto XVI. Anche qui: coraggio o viltà? Joseph Ratzinger, innovando contro una tradizione di venti secoli, ha rinunciato al ministero petrino, al governo attivo della chiesa, passando il testimone al suo successore che si trova ora “in con-dominio con lui, due papi, che vivranno a pochi metri l’uno dall’altro, di cui uno recluso in preghiera e l’altro impegnato a governare. Un gesto rivoluzionario e scandaloso che ha messo in crisi proprio il popolo dei cristiani. E’ il suo gesto segno di coraggio, di libertà interiore, di somma umiltà, di adesione alla missione della chiesa al punto di schiacciare il proprio ego (e la propria reputazione) oppure è il gesto di un uomo che si è solo stancato e non ha avuto più la forza di credere in Dio che lo aveva scelto come vicario di Cristo? Il Papa da tutti visto come l’arcigno nemico del relativismo e del nichilismo contemporaneo, non ha forse così relativizzato e annientato la figura del Papa e minato alle radici la fede stessa nell’opera di Dio sulla e attraverso la chiesa? Ai posteri, diceva Manzoni, l’ardua sentenza; di certo Ratzinger si è trovato come Pacelli a dover operare una scelta “grave” ed entrambi hanno deciso di anteporre ciò che ritenevano giusto al proprio egoistico “utile”. Anche su Ratzinger già pesa una macchia per cui quel coraggio di andare contro la propria reputazione e venti secoli di tradizione non viene avvertito come tale e al suo posto è invece percepito con acuta sensibilità da alcuni, soprattutto in seno al cattolicesimo, l’onta della viltà, l’essere anzitempo “sceso dalla croce”. La sua memoria probabilmente rimarrà schiacciata tra quella del predecessore e quella del successore, che, paradossalmente, sono entrambi figure che senza quella di Joseph Ratzinger non avrebbero potuto esprimersi e forse nemmeno sussistere, ma, si sa, a volte il destino è cinico e baro e alcune persone si trovano veramente a vivere, come direbbe Tolkien, “situazioni sacrificali”. Ma torniamo a Pio XII e alla sua scelta di silente operosità. Una scelta che mi ha fatto venire in mente l’affermazione di Aldo Moro per cui “in politica i problemi non si denunciano, ma si affrontano, cercando di risolverli”. Una frase tanto politica da risultare oggi antipolitica, scandalosa, inaccettabile. Ai nostri giorni infatti ci si ferma alla denuncia, un atto che è diventato quasi compulsivo, frutto di una coazione a ripetere, per cui tutto viene denunciato, pubblicato, gridato perché l’indignazione e la rabbia sono i sentimenti dominanti del nostro tempo, che devono trovare sfogo e soddisfazione. Il punto, come ha colto con solita vis umoristica il cardinale Biffi, è che non è vero che si è perso il senso del peccato, come tanti bravi cristiani lamentano, ma si è perso il senso del peccato proprio, perché invece è quanto mai vivo il senso del peccato altrui, come dimostra proprio la “cultura” della denuncia e dell’indignazione. Lo spirito del tempo. Il 14 ottobre 1806 Hegel esclama: “Oggi ho visto lo spirito del mondo entrare a cavallo a Jena”; si riferiva a Napoleone che quel giorno entrava nella città tedesca dopo la grande vittoria militare. Qualcosa è cambiato. Però forse è proprio questo lo spirito del tempo che soffia oggi e pochi si muovono contro questa corrente impetuosa, a parte qualche vescovo di Roma, come Pio XII e Benedetto XVI, due Papi oggi non molto “simpatici”, ma entrambi “vivi” secondo la definizione di Chesterton: “Una cosa morta può andare con la corrente, ma solo una cosa viva può andarvi contro”.
Per inviare la propria opinione al Foglio, cliccare sulla e-mail sottostante