martedi` 14 gennaio 2025
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






Corriere della Sera - La Stampa - Libero - Il Foglio Rassegna Stampa
24.04.2013 Attentato di Boston: al Qaeda da organizzazione a ideologia
commenti di Guido Olimpio, Souad Sbai, Andrea Morigi. Intervista di Maurizio Molinari + Breve storia dei due terroristi

Testata:Corriere della Sera - La Stampa - Libero - Il Foglio
Autore: Guido Olimpio - Maurizio Molinari - Andrea Morigi - Souad Sbai
Titolo: «La verità di Dzhokhar: tutto da soli? - Al Qaeda ormai è diventata una ideologia - Quelle mini cellule temibili come Osama - Un rischio forte anche da noi - Tamerlan e Dzhokhar»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 24/04/2013, a pag. 17, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " La verità di Dzhokhar: tutto da soli? ". Dalla STAMPA, a pag. 14, l'intervista di Maurizio Molinari a Jonathan Schanzer dal titolo " Al Qaeda ormai è diventata una ideologia ". Da LIBERO, a pag. 17, gli articoli di Andrea Morigi e Souad Sbai titolati " Quelle mini cellule temibili come Osama " e " Un rischio forte anche da noi ". Dal FOGLIO, a pag. II, l'articolo dal titolo " Tamerlan e Dzhokhar ".

Invitiamo i lettori a leggere l'analisi di Stefano Magni pubblicata in altra pagina della rassegna (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=&sez=420&id=48900).

Ecco i pezzi:

CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : "La verità di Dzhokhar: tutto da soli?"


Guido Olimpio         Dzhokhar Tsarnaev

WASHINGTON — «Prepara la bomba nella cucina di tua mamma». Firmato «lo chef di Al Qaeda». Così si apre una delle pagine di «Inspire», rivista online dei militanti yemeniti. Un articolo con istruzioni minuziose su come costruire un ordigno usando polvere pirica dai fuochi d'artificio e altre sostanze. Gli attentatori di Boston — secondo la confessione del superstite Dzhokhar — hanno «scaricato» da qui i dati per trasformare una pentola a pressione, piena d'esplosivo e chiodi, in una trappola letale. Non è questa l'unica «rivelazione» del diciannovenne americano d'origine cecena. Per Dzhokhar non ci sono altri complici. Hanno fatto tutto da soli, senza legami internazionali, spinti dalla voglia di jihad per difendere l'islam, «minacciato dalle guerre Usa dall'Iraq all'Afghanistan». Tamerlan, 26 anni, a fare da leader-istigatore, il più piccolo come spalla. Loro hanno colpito la maratona, loro hanno ucciso un agente. Confessione piena davanti al giudice. Le dichiarazioni, però, costituiscono la prima verità. Questo non significa che l'Fbi consideri il caso chiuso e risolto in tempi degni di un telefilm di Csi. Tutto va verificato. Dzhokhar potrebbe aver cercato di depistare gli agenti per proteggere eventuali mandanti o complici. C'è poi la questione degli ordigni. I terroristi hanno dimostrato di poter usare al meglio quanto di peggio offre Internet. E per alcuni esperti è credibile che abbiano tratto le informazioni cercando sul web. Una capacità tecnica sufficiente per l'obiettivo. Terroristi fai-da-te, però, piuttosto pasticcioni visto che sono stati individuati quasi subito. Altri mostrano scetticismo. Lo scenario è compatibile, ma ritengono che Tamerlan possa aver avuto una qualche forma di addestramento. Negli Usa oppure in occasione del viaggio in Daghestan attorno al quale continuano a circolare notizie su possibili contatti tra il terrorista e un militante di peso. Il sentiero investigativo si addentra anche nella realtà familiare. I genitori di Tamerlan saranno interrogati in Daghestan dai diplomatici Usa, presto toccherà alla moglie Elizabeth. Testimoni non secondari se davvero la strage è stata ideata nella casa di Cambridge. Missione a tutto campo per l'Fbi che oltre a far luce sulla trama deve parare i colpi del Congresso, convinto che gli agenti abbiano delle responsabilità per non aver capito la pericolosità del ceceno. 

La STAMPA - Maurizio Molinari : " Al Qaeda ormai è diventata una ideologia"


Maurizio Molinari      Jonathan Schanzer

La maggiore struttura organizzata di Al Qaeda sopravvive in Maghreb mentre il fenomeno più vistoso è la proliferazione di microcellule di affiliati»: a descrivere la mutazione jihadista è Jonathan Schanzer, vicepresidente della Fondazione per la difesa della democrazia a Washington, ex analista dell’intelligence al Tesoro ed autore del saggio «Al Qaeda’s Armies» che ha anticipato gran parte di quanto sta avvenendo.

Quali sono oggi gli eserciti di cui dispone Al Qaeda?

«Quello meglio organizzato è senza dubbio Al Qaeda nel Maghreb Islamico, diretto erede dei gruppi salafiti del Nordafrica. Ha una struttura di comando, campi di addestramento e opera in una regione delimitata al fine di controllare territori, ottenere risorse e rovesciare governi. Si spiega così anche l’attentato in Libia contro l’ambasciatore francese o quello precedente a Bengasi in cui morì l’ambasciatore americano».

Che valutazione dà di Al Qaeda in Yemen dopo l’eliminazione del suo imam Anwar al-Awlaki nel 2011?

«È un’emanazione di Al Qaeda in Arabia Saudita, sicuramente meno efficiente e organizzata della rete maghrebina».

Gli attentatori ceceni di Boston aggiungono il tassello delle microcellule; quanto contano per la Jihad?

«Moltissimo. Sono oramai la maggiore espressione jihadista. Non si tratta di emanazioni dirette della vecchia centrale di comando con Bin Laden e al-Zawahiri ma di gruppi assai ridotti, microcellule, che sorgono spontaneamente, richiamandosi ad Al Qaeda. Sono degli affiliati che volontariamente diventano jihadisti».

Si tratta dunque di un’adesione spinta dall’ideologia?

«Certo, la genesi è la condivisione dell’ideologia di Al Qaeda. Ne vengono contagiati, la fanno propria e di conseguenza compiono attentati. Episodi come gli arresti avvenuti in Canada o l’attentato compiuto a Boston testimoniano quanto esteso sia questo fenomeno. Anche se forse a Boston c’è dell’altro...».

A cosa si riferisce?

«Al fatto che Tamerlan, quando tornò in Daghestan nel 2012, seguì dei corsi di addestramento. Sono in corso verifiche per riuscire comprendere dove andò e chi incontrò. Ma siamo in presenza di legami con un gruppo straniero».

Quali sono le sfide che un tale scenario comporta per il controterrorismo?

«Ci troviamo di fronte ad una minaccia più diffusa e dunque difficile da fronteggiare. Può venire da chiunque. Braccare organizzazioni, capi, strutture militari può servire a poco. Anche la sorveglianza elettronica delle comunicazioni deve essere ripensata perché nelle microcellule di uno o due individui molte informazioni vengono scambiate direttamente».

LIBERO - Andrea Morigi : " Quelle mini cellule temibili come Osama "


Andrea Morigi

Altre due microcellule terroriste, entrambe composte da un paio di musulmani, stavano per colpire anche in Canada e in Spagna. Con una sola differenza rispetto agli attentati mortali del 15 aprile, portati a termine a Boston dalla coppia di fratelli Tsarnaev, le ultime minacce sono state bloccate prima che si trasformassero in un rischio reale. L’obiettivo americano era il treno passeggeri che collega Toronto e New York City. Era «senza dubbio nei piani» anche se «non imminente», secondo gli investigatori che hanno arrestato due persone in Canada, avevano contatti con membri di Al Qaeda in Iran. L’obiettivo era far deragliare il treno già nell’area di Toronto. Nei piani dei presunti terroristi, l’ingegnere tunisino di 30 anni Chiheb Esseghaier e il 35enne Raed Jaser, c’era l’intenzione di colpire una determinata linea ferroviaria piuttosto che uno specifico convoglio. Il primo è descritto dalla stampa canadese come una specie di «genio diabolico», arrivato nel Québec nel 2010 per proseguire le proprie ricerche scientifiche. Più incerte le notizie sul secondo, che vive a Toronto e sarebbe o cittadino marocchino o degli Emirati Arabi. Sulla sponda opposta dell’Oceano, dopo oltre un anno di indagini, la polizia spagnola ha arrestato a Saragozza e a Murcia due nordafricani sospettati di legami con Al Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi), che opera in Mali. I due fermati, l’uno di origine algerina l’altro marocchina, presentano un «profilo simile» a quello dei terroristi di origine cecena coinvolti nell’attentato di Boston. Secondo quanto riferito dalle autorità, gli arrestati sono il 23enne Nou Mediouni, di origine algerina e detenuto a Zaragoza, e il 52enne Hassan el Jaaouani, di origine marocchina e detenuto a Murcia. Entrambi, da oltre un anno sorvegliati dall’antiterrorismo, si erano avvicinati negli ultimi tempi alla jihad e frequentavano siti estremisti. E sarebbero stati proprio commenti incitanti ai terroristi di Boston a spingere la polizia a procedere con gli arresti. In particolare Mediouni frequentava un forum jihadista attraverso il quale i leader di Aqmi procedono al reclutamento, e in questo modo - secondo gli inquirenti - l’ar - restato sarebbe stato appunto reclutato, ricevendo istruzioni precise per un viaggio in Mali dove si è poi recato per partecipato a un campo d’addestramento. La polizia spagnola ha collaborato con quella francese e del Marocco per arrivare agli arresti compiuti ieri. È nel confronto con le precedenti azioni militari, a partire dagli attentati alle Torri Gemelle di New York e al Pentagono dell’11 settembre 2001, che emerge una nuova strategia. Se gli attacchi all’America erano stati condotti da un gruppo di ben diciannove persone, allo stesso modo le stragi compiute l’11 marzo 2004 a Madrid furono opera di un numero consistente di persone, almeno diciassette secondo i giudici che hanno emesso la sentenza di condanna definitiva contro i membri dell’organiz - zazione. Furono diciotto, invece, le persone arrestate fra il 2 e il 3 giugno 2006 nella regione metropolitana di Toronto, nell’Ontario, in Canada, con l’accusa di aver pianificato alcune azioni dinamitarde a Toronto, Montréal e a Ottawa dove, in particolare, intendevano rapire i deputati del Parlamento e decapitare l’allora primo ministro conservatore canadese Stephen Harper, tuttora in carica. Tutte circostanze che, sette anni dopo, sembrano indicare un cambiamento delle modalità operative del terrorismo islamico. Ora si passa a nuclei di fuoco che prevedono un numero massimo di due persone, in grado di attivarsi le une dopo le altre. Il grido di guerra era partito dalla maratona di Boston. Sarebbe risuonato in Spagna e poi in Canada. E chissà quante altre coppie di lupi solitari sono già pronte a spuntare dal nulla.

LIBERO - Souad Sbai : " Un rischio forte anche da noi "


Souad Sbai

L’ombra del terrorismo internazionale torna a farsi vedere, affilando la propria sagoma feroce dietro il muro dell’in - coscienza europea e americana. Da Boston, i cui contorni devono ancora essere chiariti, passando per il Canada e per gli arresti di ieri in Spagna, il filo è sottile ma continuo. In Canada due arresti per un attentato pianificato. La polizia marocchina e quella francese che arrestano due presunti terroristi, un algerino e un marocchino a Saragozza e a Murcia, ai due capi del paese per affiliazione con Al Qaeda nel Maghreb Islamico. Occorre ragionare senza timore di agganciare fatti e persone. Alcune fonti di informazione, come El Pais, parlano di presunta vicinanza con i fatti di Boston e la paura di una strategia organizzata c’è. E forse tutti i torti chi si allarma non li ha. La rete del terrore e del radicalismo ha evidentemente in seno un progetto, ma non da oggi; al momento del radicalizzarsi delle comunità, nessuno ha voluto e saputo credere che l’aria stava cambiando e che nulla sarebbe stato più lo stesso. Tutti erano sordi e il silenzio ha preso il sopravvento. Cambiano modo di vestire, di parlare, di guardare il prossimo. Cambiano prospettiva, si nascondono e si radicalizzano. Passano da Milano, Bergamo, Brescia, Ancona e poi spariscono: li ritroviamo a combattere in Siria piuttosto che nelle varie guerre localizzate. Sono gli anelli più deboli delle seconde generazioni, bomba ad orologeria di un sistema comunitario che allarga sempre più spesso le braccia all’estremismo, che non vede l’ora di accoglierli per tramutarli in carne da macello. Quello che abbiamo visto in questi giorni, giovani trasformati in schegge impazzite al servizio di una strategia del terrore ben congegnata, non è poi così difficile da ipotizzare anche nel nostro Paese, luogo strategico per l’in - filtrazione e in cui proliferano le moschee e gli imam fai da te, che vanno perseguiti, e i centri di proselitismo mascherati da centri culturali. In cui il lavaggio del cervello è più forte di quanto non possa mai essere in patria. Il rischio è più pesante di quanto non si pensi e gli episodi di Brescia o di Sellia Marina fanno riflettere su quanta presa la propaganda abbia fatto anche in Italia, dove il mantello per coprire il processo di radicalizzazione salafita è l’isla - mofobia. Se chiedere controlli, trasparenza e certificazione diventa in automatico islamofobia, cosa possiamo fare per evitare rischi alla sicurezza? Anche i moderati, in questa maniera, inascoltati, entrano in crisi e sprofondano nella depressione e nel silenzio. Siamo inermi. La strategia di infiltrazione del radicalismo in Europa e più in generale nelle società occidentali è solo l’altra faccia dei piani di attentato e degli attentati consumati. Ma alla fine, credo, occorre fare un’operazione verità che nessuno vuol fare: la propaganda estremista ha lavorato più su di noi che non sulle comunità. Su di noi che oggi lasciamo correre di fronte a episodi agghiaccianti come il velo imposto, i delitti d’onore o le mutilazioni genitali femminili, definendoli «attenuanti culturali», tanto da poter credere, un giorno, che anche un attentato possa far parte della «cultura» di un paese o di una certa comunità. O se abbiamo paura a pensare che ci sia una pista radicalista che man mano starebbe emergendo dietro ai fatti di Boston. Siamo di fronte ad una scelta, decisiva: dire sempre si e lasciarci andare ad un destino di sangue, oppure dire no e resistere a una «campagna d’Occidente» ormai iniziata da anni e culminata con la Primavera Araba, che stringe l’Europa e gli Usa in una tenaglia mortale la cui presa più forte deve ancora però manifestarsi. La guardia deve rimanere alta. Nessuno è immune.

Il FOGLIO - aa.vv. : " Tamerlan e Dzhokhar "

Dopo le bombe della scorsa settimana alla maratona di Boston, Zubeidat Tsarnaev ha chiamato il figlio Tamerlan in Massachussets per essere sicura che stesse bene. “Mamma, di che ti preoccupi?”, ha risposto Tamerlan, ridendo. Alcuni giorni dopo, è stato il figlio a chiamare la madre. I due, negli ultimi anni, avevano condiviso una profonda trasformazione verso la fede islamica. La svolta verso un islam più radicale da parte di Tamerlam Tsarnaeva, accusato di aver piazzato le bombe alla maratona di Boston, ucciso dalla polizia, aveva prodotto una spaccatura nella famiglia, mandando in frantumi il legame con i genitori. La madre di Tamerlan racconta che il figlio le ha detto: “La polizia, hanno iniziato a spararci, ci danno la caccia. Mamma, ti voglio bene”. Poi il telefono è rimasto muto.


Tamerlan Tsarnaev

Poco dopo, Tamerlan Tsarnaev, ventiseienne, era morto. Entro poche ore, il fratello più giovane e presunto colpevole, il diciannovenne Dzhokhar, era ferito gravemente ma in custodia dopo che una caccia all’uomo condotta dalla polizia aveva condotto alla sua cattura, nascosto sotto un telo in una barca chiamata The Slipaway II a Watertown, Massachussets. Gli investigatori, cercando di ricostruire quel che è realmente accaduto a Boston, stanno cercando di capire se Tamerlan Tsarnaeav ha deciso di scegliere una forma più radicale di islamismo. Fra le altre cose sotto esame, c’è un viaggio di sei mesi in Daghestan, una Repubblica a sud della Russia, ai confini con la Cecenia. Un esame accurato della famiglia Tsarnaev mostra che, negli ultimi cinque anni circa, le vite personali dei membri della famiglia sono lentamente scivolate nel caos, secondo quanto emerge dai colloqui con genitori, parenti e amici. Il cambiamento della routine familiare è stato determinato, almeno in parte, dal crescente interesse per la religione da parte di Tamerlan e di sua madre. Tamerlan, che era una volta conosciuto come un teenager calmo che voleva fare il boxeur, si è rivolto alla religione negli scorsi anni su spinta della madre, che temeva che il figlio stesse scivolando in una vita di marijuana, ragazze e alcol. Tamerlan aveva smesso di bere e fumare, aveva smesso di fare boxe perché pensava fosse in contrasto con la sua religione, e ha iniziato a insistere con la sua famiglia affinché tutti seguissero regole ferree. Si sa che Tamerlan Tsarnaev ha visitato l’Al Bara Market e altre zone di Cambridge prima del suo presunto coinvolgimento negli attentati alla maratona di Boston. La madre di Tamerlan ricorda che lui le disse: “Lo sai quanto mi ha cambiato l’islam”, in un’intervista rilasciata al Wall Street Journal a Makhachkala, in Daghestan. I cambiamenti si sono insinuati a casa degli Tsarnaev, al 410 di Norfolk St., a Cambridge, Massachussets.


L'esplosione di uno degli ordigni a Boston

Tamerlan ha convinto la madre a coprirlo, e la cosa le ha creato problemi con il marito, Anzor. “Mi disse: ‘Siete pazzi a coprirvi l’un altro’”, ricorda la donna. Dopodiché aggiunge che lei rispose: “Questo è ciò che gli uomini islamici vogliono. Questo è quello che si suppone io faccia”. Il matrimonio dei genitori si è spezzato due anni fa. Il padre – un ex pugile, distrutto quando Tamerlan ha abbandonato lo sport – si è trasferito nel Daghestan dopo essersi ammalato. Entrambi i genitori credono che i loro figli siano stati accusati ingiustamente per le bombe a Boston. Negli ultimi due anni, Tamerlan è diventato più polemico sulla sua religione, ha discusso con altri credenti alla moschea di Cambridge che a volte frequentava, secondo quanto dicono un portavoce e alcuni fedeli della moschea. Il suo crescente interesse per la religione coincideva con un periodo terribile della sua vita, nella quale la carriera di boxeur era in stallo, entrava e usciva dai corsi al college, era stato accusato di aggressione da una ragazza che sosteneva di essere stata schiaffeggiata, e un suo amico era stato assassinato.
Le sfide per la famiglia erano state difficili da affrontare negli Stati Uniti – venivano da una tradizione caucasica patriarcale lunga secoli di guerrieri di montagna che spesso si era ritrovata a combattere la società russa e slava. “E’ stato difficile perché dovevi renderti conto che prima eri qualcuno lì, e ora non eri nessuno qui”, dice Maret Tsarnaev, zia dei fratelli. “In quanto ceceni, abbiamo sempre dovuto lavorare duramente per dimostrare il nostro valore, non importa dove fossimo”. Oggi, sia il signore sia la signora Tsarnaev sono in Daghestan, cercano di rimettere assieme i pezzi di un dramma familiare lungo tre decenni, in tre stati, dopo aver avuto quattro figli. Negli anni Quaranta i genitori di Anzor Tsarnaev furono deportati nel Kyrgyzstsn dalla Cecenia nativa, quando il regime di Stalin accusò il gruppo etnico musulmano ceceno di essere collaboratore dei nazisti. Anzor nacque e crebbe a Tokmok, città non lontana dalla capitale Bishkek. Dieci fratelli, molti dei quali studiarono per diventare avvocati. Incontrò la moglie, Zubeidat, ad Elista, la capitale provinciale della regione del Kalmykia, dove entrambi erano studenti. Zubeidat, di etnia Avar, veniva dal Daghestan. Anche se Tamerlan nacque a Kalmykia, ora parte della Russia, la famiglia s’allargò dopo essersi stabilita di nuovo in Kirghizistan, dove nacquero due figlie, Ailina e Bella, e poi Dzhokhar. Il padre ottenne un lavoro nell’ufficio del procuratore a Bishkek. “Ottenere un lavoro nel governo del Kirghizistan significava per un ceceno avere l’opportunità di sfondare”, ha detto sua sorella Maret durante un interrogatorio a casa sua, nei sobborghi di Toronto. Nadezhda Nazarenko, che ha vissuto nello stesso complesso degli Tsarnaev a Tokmok, ricorda che il signor Tsarnaev andava al lavoro ogni mattina, e che la signora Tsarnaev vestiva i suoi ragazzi con abiti caldi e confortevoli per l’inverno. “Ancor prima che venissero qui, c’erano delle voci su come si preparavano a sfondare in America”, dice la signora Nazarenko, pensionata di 64 anni. “Era il suo sogno – quello del padre”. Secondo la sorella, Anzor fu licenziato dal suo posto a Bishkek poco dopo lo scoppio della guerra in Cecenia nel 1999, la seconda volta nella quale il Cremlino cercava di sedare un’insurrezione separatista dal collasso dell’Unione sovietica. Iniziò a lavorare come meccanico. “Doveva dar da mangiare alla sua famiglia”, dice la sorella, lasciando intendere che fu licenziato a causa della discriminazione contro i ceceni che accompagnava la guerra. “Se ne andò soltanto a causa di questa persecuzione”, ci racconta. La famiglia si trasferì a Makhachkala, la capitale del Daghestan, prima di attraversare l’Atlantico verso gli Stati Uniti circa dieci anni fa. Anzor aveva già una sorella in Canada e un fratello negli Stati Uniti. La famiglia si stabilì in un appartamento popolare nell’area dei sobborghi di Boston confinante con Somerville e Cambridge.


L'attentato di Boston

E la difficoltà di farcela in America come immigranti con pochi soldi e un inglese stentato si manifestarono presto. Anzor aveva trovato lavoro come meccanico, a volte aggiustando auto per 10 dollari l’ora. Zubeidat andava a una scuola per estetista e aveva iniziato a fare trattamenti facciali in una spa nei sobborghi di Boston. Tamerlan aveva iniziato a fare boxe: divenne uno dei migliori amatori degli Stati Uniti, secondo Douglas Yoffe, coach dell’Harvard Boxing Club. Tamerlan combatteva e il padre gli faceva da coach. Il giovane boxeur possedeva uno stile raffinato e granitico, ma appariva “presuntuoso” e “arrogante”, dice Yoffe. “Sembrava sprezzante nei confronti degli altri combattenti”, racconta. Kendrick Ball, proprietario del Camp Get Right Boxing Gym di Worcester, Massachussets, ricorda Tamerlan per il suo aspetto. “Si vestiva come se stesse per sfilare in passerella”, dice Ball. La prima volta che incontrò Tamerlan, nel 2010, “aveva un trench e un paio di jeans attillati, scarpe argentate, una camicia bianca sbottonata fino a metà e i capelli tirati indietro come John Travolta”. Tamerlan si qualificò per il torneo del National Golden Gloves del 2009 dopo aver vinto le gare regionali del New England, ma perse al primo round. Vinse di nuovo il titolo regionale del New England nel 2010 ma non combatté nelle gare nazionali, e non è chiaro il perché. Nella High School Cambridge Rindge & Latin School, Tamerlan era riservato. Era sempre in biblioteca e raramente perdeva una lezione, andava quasi tutti i giorni in palestra dopo scuola per allenarsi, racconta la sua compagna di classe, Luisa Vasquez. Lui ed il fratello amavano fare feste.
Un vicino, Rinat Harel, racconta che fino a cinque anni fa i fratelli di solito ospitavano riunioni rumorose, cucinando cibo alla griglia e bevendo in un cortile comune fino a mezzanotte o più tardi. E poi Tamerlan incontrò le prime difficoltà. Le sue ambizioni di diventare un campione di boxe stagnavano. Il community college era costoso, e non aveva un lavoro. Ebbe anche problemi nella vita amorosa, che inclusero una chiamata convulsa al 911 da parte di una una donna, identificatasi come la sua fidanzata, nel luglio 2009. “Sì, le ho dato una sberla”, disse Tamerlan alla polizia di fronte a casa, secondo il rapporto della polizia. Il caso di abusi domestici fu fatto cadere al processo del 2010. Sposò poi un’altra donna, Katherine Russel, ex studentessa della Suffolk University da North Kingstown, R. I., che è la madre di suo figlio. La sua famiglia ha rilasciato una dichiarazione dicendo che ora si rendono conto di non aver mai conosciuto il vero Tamerlan Tsarnaev, e hanno rifiutato qualsiasi intervista. Nelle tarde ore di domenica, l’avvocato di famiglia ha dichiarato che la signorina Russel non aveva notato alcun cambiamento preoccupante in Tamerlan negli anni e nei mesi prima dell’attacco. Nel frattempo un amico di Tamerlan, Brendan Mess, fu ucciso nell’area metropolitana di Boston a Waltham, l’11 settembre del 2011, in un caso tuttora irrisolto.
E il padre di Tamerlan era sempre più ammalato. Durante questo disastro, sua madre lo incoraggiò a rivolgersi all’islam. “Ho detto a Tamerlan che siamo musulmani, e che non pratichiamo la religione, e quindi come possiamo dirci musulmani?”, racconta la signora Tsarnaev. “E così Tamerlan iniziò a leggere testi sull’islam, e iniziò a pregare, e divenne sempre più coinvolto nella religione”. Parenti e amici raccontano di aver visto un cambiamento nel giovane. I vicini notarono che le feste non ci furono più. “Vi dico che qualcosa cambiò”, racconta la signora Vasquez, “ed era qualcosa di drammatico”. Tamerlan non era l’unico degli Tsarnaev che stava cambiando. Sua madre divenne ancor più religiosa. Smise di lavorare alla spa e iniziò a fare trattamenti a casa, dicendo che non voleva lavorare con gli uomini. “Iniziai a leggere e a imparare, iniziai a leggere con il mio Tamerlan”, racconta la signora Tsarnaev. Sua cognata, Maret, racconta di essere rimasta sconvolta dalla trasformazione. Ricorda di aver avuto una conversazione su Skype con Anzor, mentre era a Makhachkala, e di aver visto sullo sfondo Zubeidat coperta dal velo. “Non ero abituata a vederla così, aveva abiti corti e tacchi alti”, racconta Maret. I cambiamenti non piacquero ad Anzor. Fu particolarmente frustrato dalla decisione di Tamerlan di lasciare la boxe nel 2011.
Anzor Tsarnaev disse di essere stato “oltraggiato” dalla decisione di suo figlio di smettere con la boxe. Racconta che Tamerlan gli disse che un musulmano non può colpire un altro uomo al volto. Anzor racconta di essere cresciuto durante il regime sovietico,quando era dato per scontato che i musulmani non dovessero seguire regole così severe, “gli dissi di averlo cresciuto per fare in modo che potesse raggiungere uno scopo nella vita, perché potesse essere un campione in qualcosa”, racconta Anzor. “Lui rifiutò”. Racconta anche che le tensioni riguardanti il rispetto severo di Tamerlan alla religione, assieme ai suoi problemi di salute, pesarono su di lui e sul suo matrimonio. Divenne “molto depresso”, racconta. Alla fine, Anzor lasciò gli Stati Uniti e sua moglie. Dzhokhar, nel frattempo, rimase tranquillo e felice durante la scuola superiore. “Era un ragazzino ossuto che ridacchiava felice continuamente”, racconta Juliette Terry, 20 anni, che incontrò Dzhokhar alle elementari e fece parte di un gruppo di amici con i quali andò al ballo studentesco. “Non ricordo di avergli mai sentito dire una parola cattiva”.


Tamerlan e Dzhokhar alla maratona di Boston

 Dzhokhar si trasferì all’Università del Massachusetts, a Dartmouth. Per orientarsi, nel 2011, partecipò al programma di letture estive e lasciò commenti in un blog chiamato “West Memphis Three”, che parla di casi di uomini condannati per omicidio da giovani e poi liberati a causa di nuove prove. “In questo caso sarebbe stato difficile proteggere o difendere questi ragazzi se l’intera città era felice per il suo arresto”, scriveva Dzhokhar. “Inoltre non è facile andare contro alle autorità, non fraintendetemi, sono scioccato dalla situazione ma penso che la città fosse spaventata e volesse accusare qualcuno”. Ci sono alcuni segnali del fatto che divenne più riservato al college. Un professore del primo anno espresse sorpresa nel sapere che Dzhokhar era attivo alle superiori, dato che era “tranquillo, sulle sue”. Lauryn Mort, 19 anni, che ha lavorato a un progetto di inglese la scorsa primavera, racconta che era intelligente ma sembrava non gli importasse delle lezioni. Spesso arrivava tardi, racconta. Altri notarono l’effetto di dominazione che il fratello maggiore sembrava esercitare su di lui.
Gilberto Junior, proprietario dello Junior Auto Body a Sommerville, Massachusetts, che lavorò regolarmente alle auto dei fratelli, racconta che Dzhokhar era socievole quando andava da solo, ma silenzioso se c’era il fratello. A quel tempo, Tamerlan divenne più polemico nei confronti del suo credo religioso. Ruslan Tsarni, lo zio dei ragazzi, disse che realizzò nel 2009 che Tamerlan era cambiato e che ribolliva “di quella merda radicale”. Le persone che lo conoscevano raccontano che Tamerlan divenne insofferente al lassismo religioso e che era critico nei confronti dei tentativi degli immigrati musulmani di assimilare le tradizioni americane. In un incidente durante lo scorso novembre, Tamerlan litigò con un negoziante in un supermercato mediorientale di Cambridge, vicino a una moschea dove a volte pregava, dopo aver visto un cartello che pubblicizzava la vendita di tacchini per il Ringraziamento. Abdou Razak racconta che gli chiese: “Fratello, perché hai messo quel cartello?”, pieno di rabbia. “Questo è kuffar – parola araba per i non musulmani – non va affatto bene”. Durante una delle preghiere del venerdì, Tamerlan si alzò in piedi e contestò un sermone nel quale si diceva che “noi tutti celebriamo il compleanno del Profeta, possiamo allora celebrare anche il 4 luglio e il Ringraziamento”, racconta Yusufi Vali, un portavoce della moschea. Vali racconta che Tamerlan dichiarò che “celebrare qualsiasi cosa è un’offesa”, fosse stato il compleanno del Profeta (che non tutti i musulmani celebrano) o qualsiasi festaamericana. Tamerlan protestò anche alle preghiere del venerdì in gennaio, quando fu confrontato Martin Luther King, leader per i diritti civili, con il Profeta Maometto, racconta Vali.
Tamerlan interruppe il sermone e definì chi parlava un ipocrita, mentre altri gli risposero “tu sei un ipocrita!”, racconta sempre Vali. La madre dei ragazzi racconta che Tamerlan era riluttante nei suoi incontri con l’Fbi. “Sono in una nazione che mi garantisce il diritto di leggere qualsiasi cosa e di guardare quello che voglio”, ricorda che egli disse. “Stava persino cercando di convertire all’islam un agente dell’Fbi”. La signora Tsarnaev era in Daghestan mentre la caccia all’uomo di suo figlio aveva luogo a Boston. Ricevette un messaggio da sua figlia Bella perché accendesse la tv. “Cercai il telecomando senza trovarlo”, racconta. Alla fine la chiamò sua figlia: “Mamma, mi dispiace dovertelo dire. Mi dispiace doverti dire che hanno ucciso Tamerlan”.

L’articolo è stato firmato da Alan Cullison a Makhachkala, Russia; Paul Sonne a Mosca; Anton Troianovski a Cambridge, Mass; e David George-Cosh a Toronto. Hanno contribuito all’articolo Jennifer Smith, Josh Dawsey, Alison Fox, Will James, Jacob Gershman, Dionne Searcey, Lisa Fleisher, Jennifer Levitz, Jon Kamp, Pervaiz Shallwani, Stu Woo, Danny Gold, Gary Fields e Sara Germano.

Per inviare la propria opinione a Corriere della Sera, Stampa, Libero e Foglio, cliccare sulle e-mail sottostanti


lettere@corriere.it
lettere@lastampa.it
lettere@liberoquotidiano.it
lettere@ilfoglio.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT