La Kippà di Esculapio Giuseppe Sicari Pungitopo euro 10
In un’intervista rilasciata in occasione della pubblicazione del suo libro “Il santo marrano”, romanzo storico ambientato in Sicilia alla fine del Quattrocento, il giornalista siciliano Giuseppe Sicari, già Caporedattore cultura e spettacoli del Tg1, aveva anticipato di essere sulle tracce di un manoscritto realizzato nel 1484 nella città di Licata – importante centro commerciale e militare nel Medioevo oltre che sede di una comunità ebraica – ad opera di un medico ebreo locale, Joshua Ben Isaac Joel. Si tratta di un testo di medicina inizialmente scritto in arabo che Joel traduce in ebraico per un uso personale. Il manoscritto, di immenso valore storico e scientifico, è oggi conservato presso la Staatsbibliothek di Berlino. Da questa scoperta si è ridestata la curiosità del giornalista per i medici ebrei siciliani del Basso Medioevo che lo ha portato, dopo accurate ricerche e approfonditi studi, a pubblicare “La kippà di Esculapio”, un pregevole testo di argomento poco conosciuto ma di grande interesse anche per un pubblico di non addetti ai lavori. Profondo conoscitore della situazione degli Ebrei in Sicilia, la cui presenza risale all’Età romana, l’autore ci invita con prosa scorrevole e rigore storico alla scoperta di circa duecento medici ebrei siciliani operanti in varie città dell’isola fra il 1300 e il 1400. Sin dalle prime pagine l’autore inquadra l’attività di chirurghi e clinici ebrei in Sicilia, identifica le città dove esistono scuole ufficiali di medicina portando a conoscenza del lettore un fenomeno davvero curioso: se oggi il titolo accademico e l’abilitazione permettono di ottenere la qualifica di medico-chirurgo, nel Medioevo il “medico fisico” – che si occupava di tutte le malattie interne – e il “chirurgo” – che operava, suturava e riduceva fratture – erano figure professionali distinte con competenze specifiche. Attraverso l’analisi di importanti fonti storiche quali i testi dell’erudito taorminese, Giovanni Di Giovanni, dei fratelli agrigentini Lagumina e dello storico israeliano Shlomo Simonsohn, l’autore desume un elenco particolareggiato di medici ebrei soffermandosi sul ruolo significativo che avevano nella società isolana del tempo: una situazione di quasi monopolio determinatasi principalmente a causa del divieto per i monaci di studiare medicina, sancito dal sinodo di Clermont nel 1130 e successivamente ribadito dal concilio di Reims nel 1131.Va altresì considerata la presenza di popolose comunità ebraiche nell’Italia meridionale quale fattore di sviluppo della professione medica nelle città che le ospitano. Dopo aver citato esponenti del mondo scientifico ebraico medievale di spicco fra i quali Yacob ben Abbamari Anatoli, Hillel ben Shemuel e il primo medico ebreo di cui si hanno notizie, Shabbetai ben Abraham Donnolo nato a Oria nel 913 e autore del primo libro di medicina scritto in ebraico basato su fonti greco-latine e non arabe, lo scrittore argomenta in modo brillante sulle attività economiche extra professionali dei medici ebrei siciliani e sui loro rapporti con il potere politico, oltre che sulla condizione economica degli ebrei aspiranti alla professione medica. Infatti - riflette Sicari – benchè i cristiani avessero un più facile accesso alle università, gli aspiranti medici ebrei potevano contare sull’appoggio di famiglie abbienti con tutti i vantaggi che ne derivavano in termini di acquisto di libri e possibilità di remunerare i maestri. Di grande interesse è il secondo capitolo dedicato alle dottoresse perché come ricorda l’autore “…la professione medica non era appannaggio esclusivo del cosiddetto sesso forte”. L’accesso libero all’Università per le donne nel Medioevo non è però il riconoscimento di un principio di uguaglianza ma la risposta all’ esigenza dell’epoca di poter disporre di esperte della medicina in grado di assistere le donne in gravidanza, durante il parto e il puerperio. Trotula di Salerno è dunque la prima dottoressa nella storia della medicina italiana, autrice fra l’altro di un famoso trattato di ginecologia, testo di riferimento per generazioni di medici. Fra le dottoresse ebree emergono i nomi di Virdimura de Medico che opera nella città di Catania occupandosi di “medicina “fisica” e “donna” Bella di Paija che proviene dalla città feudale di Mineo ed esercita la professione di chirurgo. La prima, che nel novembre del 1376 ha superato la prova di abilitazione dinanzi ad una commissione di esperti di fiducia della corona, desta senz’altro la nostra ammirazione per la sua dichiarazione di volersi dedicare alla cura dei poveri. Bella di Paija gratificata dell’appellativo di “donna” in segno di riguardo, esercita con competenza e passione pur senza abilitazione fino a quando la regina Bianca “interviene a sanare quello che era probabilmente un esercizio abusivo della professione” e stabilisce che la “dutturissa” può svolgere liberamente l’attività di medico in quanto “è comprovato che abbia praticato l’arte chirurgica cum sanitati di li pacienti”. Da ultimo l’autore ricorda come l’attività dei medici ebrei in Sicilia sia documentata solo dal 1362 ma la loro presenza sull’Isola sia ben più antica e risalga al periodo dell’invasione araba quando i conquistatori musulmani portano al loro seguito medici che non appartengono alla loro religione ma sono specializzati nel trattamento degli organi sessuali maschili al fine di creare gli eunuchi destinati alla custodia degli harem. Docente all’Università della Tuscia, autore di saggi, racconti e romanzi Giuseppe Sicari ci regala con questa sua ultima fatica un’opera di pregio, una lettura capace di suscitare curiosità, oltre che un documento di inestimabile valore storico. E’ un saggio che risponde a quell’esigenza che alberga in ciascuno di noi di “conoscere” la Storia e che una volta terminato di leggere non si può fare a meno di consigliare agli amici.