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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
21.04.2013 Ferrara: il Festival del Libro ebraico
Bassani, Moscati, la Musica

Testata: Corriere della Sera
Data: 21 aprile 2013
Pagina: 36
Autore: Andrea Rinaldi-Stefano Landi-Ariel Pensa
Titolo: «Ferrara, l'orgoglio ebraico-Dai francobolli alle scatolette sacre, così ho ricomposto il nostro puzzle- Quei 'neri' bianchi con l'anima jazz-Quei 'neri' bianchi con l'anima jazz»

Sul CORRIERE della SERA di oggi, 21/04/2013, due pagine dedicate al "Festival del Libro ebraico" a Ferrara. Riprendiamo i tre articoli, tutti di ottimo livello:

Andrea Rinaldi: " Ferrara, l'orgoglio ebraico "

Giorgio Bassani

In pieno Rinascimento viaggiava da Napoli a Venezia, studiando e stringendo amicizia anche con Pico della Mirandola. Il lungo peregrinare di Leone Ebreo, che ha dato origine ai «Dialoghi d'amore» di cui si trovano echi persino in Spinoza, mercoledì terminerà a Ferrara. Proprio nella città dei Finzi Contini di Bassani, l'opera del cabalista quattrocentesco entrerà nella grande mostra «Testa e cuore: la collezione di Gianfranco Moscati», punta di diamante della quarta edizione della Festa del libro ebraico in Italia (fino a domenica 28).
La cittadina estense si aprirà dunque a presentazioni, riflessioni, concerti, escursioni, tanti momenti per imparare a riscoprire la millenaria cultura israelitica. E visto che il popolo ebraico è detto il «popolo del libro», il festival non poteva prescindere dall'ospitare al Chiostro di San Paolo una grande libreria a tema, con 1.500 titoli e 800 autori per 130 case editrici coinvolte.
La manifestazione — promossa dalla Fondazione Museo nazionale dell'Ebraismo italiano e della Shoah, con il supporto di Ferrara Fiere Congressi e il contributo della Regione Emilia-Romagna — aprirà ufficialmente mercoledì alle 17 alzando il sipario alla sede della Fondazione Meis sulla collezione di Moscati, curata da Serena Di Nepi e che ripercorre la storia degli ebrei italiani dal ‘500 a oggi attraverso lettere, francobolli, volumi e preziosi (fino al 30 giugno).
«Il libro è lo strumento principe per perseguire la missione del museo, ovvero raccontare la storia degli ebrei in Italia — sostiene Roberto Finardi, segretario generale della Fondazione Meis — per la prima volta la mostra è stata fatta con le esclusive risorse della Fondazione, dimostrando come il museo sia oramai in grado di mettere a disposizione della città il proprio patrimonio culturale. Questa è l'edizione della maturità».
«La mostra non è solo un evento per la città, ma un abbozzo di quella che potrebbe essere l'esperienza del Meis in Italia, per tenere accesa la fiamma che illumina il Museo», ha fatto eco il sindaco Tiziano Tagliani.
A Ferrara non c'è stato solo Bassani, ci furono anche il violinista Aldo Ferraresi e l'urbanista Ciro Contini: le tradizioni e le vicissitudini ebraiche crescono con le radici di Ferrara ormai da millenni (è del 1100 il primo insediamento) e la kermesse ha scelto di ripercorrerle. La Ferrara ebraica e dei Finzi Contini verrà rievocata da Matteo Provasi e Monica Pavani mercoledì, mentre percorsi guidati alla scoperta della città si terranno tra venerdì e sabato, con domenica il dibattito «La partecipazione degli ebrei alla Resistenza», a cui parteciperanno i professori Alberto Cavaglion e Guri Schwarz, Antonella Guarnieri, Lidia Maggioli e Antonio Mazzoni (modera Carmen Lasorella).
Giornata di incontri anche quella di giovedì, che celebra la liberazione italiana dal nazifascismo. Verrà presentato l'annullo filatelico di questa quarta edizione e al Castello Estense Paolo Mieli, presidente Rcs Libri, terrà una lectio magistralis sugli scrittori ebrei, a cui seguirà in serata al Teatro Comunale il recital «El Tango-Una historia con judìos» a cura dei maestri Juan Lucas Aisemberg e Hugo Aisemberg. Giovedì sarà anche la giornata più fitta di «Non solo klezmer», il filone della festa che indaga il ruolo della cultura ebraica nella formazione del tango e del jazz. A inaugurarlo al cinema Boldini mercoledì sera «Il cantante di jazz» di Alan Crosland (1927), il film che segna la nascita del cinema sonoro. Protagonista, un ragazzo ebreo ribelle che si rifiuta di cantare in sinagoga, preferendo la nuova musica.
La manifestazione si avvierà alla chiusura celebrando sabato la «Notte bianca ebraica d'Italia»: alle 21 la consegna del premio di cultura ebraica Pardes, lo spettacolo teatrale «L'ora migliore del giorno» e lo scoprimento della targa sulla storia della colonna di Borso d'Este, voluta dall'avvocato Paolo Ravenna. Sarà la cittadina di Cento a chiudere la kermesse ricordando un altro pellegrinaggio: quello del cabalista settecentesco Immanuel Chay.

Stefano Landi: " Dai francobolli alle scatolette sacre, così ho ricomposto il nostro puzzle "

Gianfranco Moscati

Per primo glielo disse un ex datore di lavoro mentre i tedeschi calavano sull'Italia: «Francheto, se i te ciapa i te copa». Se ti prendono, ti fanno fuori. È una vita in fuga, di corsa, ma senza mai perdere i pezzi, quella di Gianfranco Moscati. Anzi, raccogliendo tutto. Un uomo che oggi a 88 anni ricorda ogni giorno di quegli anni terribili come fosse ieri. Ottant'anni da collezionista. «Sono semplicemente un uomo d'altri tempi con il bisogno di cercare sempre, per raccontare». Moscati ha raccolto ogni testimonianza della persecuzione degli ebrei: quella che aveva risparmiato lui e la famiglia ma non i suoi conoscenti. Mercoledì inaugura al Festival di Ferrara «Testa e cuore», la collezione di frammenti di storie di ebrei italiani donata al Museo Nazionale dell'ebraismo italiano e della Shoah di Ferrara. Una collezione che in Israele valutarono 600 mila euro. Ingrandimenti di personaggi, momenti di un drammatico puzzle. «L'emozione è sempre la stessa: far conoscere la tragedia del mio popolo attraverso pezzi di questa storia» racconta.
Orfano di padre a 13 anni, ultimo di cinque fratelli, Moscati cresce a Milano in una famiglia proletaria economicamente segnata dalle leggi razziali del '38. «A otto anni ho iniziato a collezionare francobolli perché lo facevano i miei fratelli». Nel '43 la fuga in Svizzera per scappare dalle persecuzioni, cercando di conservare i documenti degli eventi in corso. Durante il suo soggiorno in Svizzera il giovane Moscati divenne prima un provetto pelatore di patate, poi un immenso collezionista. A guerra finita, tornò in Italia, a Napoli. «Trovai un bel lavoro e quella che sarebbe diventata mia moglie: nostro figlio è nato lì, quartiere Mergellina». La casa come piccolo museo. «Ho sempre avuto il mio angolo, gli armadietti, man mano mi allargavo: ho investito i miei guadagni nelle collezioni». Prima francobolli in senso stretto, poi documenti, oggetti. Una frusta in ferro, una riproduzione di una brandina di un internato a Ferramonti, in Calabria. Una targa che costringeva un medico ebreo a curare solo pazienti ebrei, quella di una farmacia che vietava loro la possibilità di acquistare medicinali. Moscati diventa una icona mondiale. Lo chiamano a esporre in tutto il mondo. Capitali europee, Brasile, Stati Uniti. «La prima all'estero fu nel 1969: andammo con nostro figlio che compiva sette anni e spense le candeline sull'aereo. Quando le mostre coincidevano con le vacanze mi muovevo. La più toccante fu a Poznan, in Polonia».
Nel 2001 a Palazzo Reale, a Milano, passarono 40 mila persone. «Sette giorni su sette ero lì a incontrare la gente». Nel 2004 la mostra «Documenti e immagini dalla persecuzione alla Shoah» è stata esposta a Roma alla Camera dei deputati. All'Imperial War Museum di Londra dovrebbero fargli un monumento. Invece il monumento sono stati i 2 mila documenti sulla Shoah che ha donato nel 2007, quando la regina Elisabetta aprì la sezione sull'Olocausto.
«Per noi collezionisti, quando si arriva a una certa età sale l'ansia di dilapidare il patrimonio: mio figlio non era interessato a portare avanti il lavoro, così meglio donarle a un unico ente che venderle e rischiare che si perdano tra troppe mani». Moscati non ha mai pensato di mollare. «Però spesso ho rischiato di cedere davanti alle grosse spese, sempre di tasca mia». Ma era sempre la soddisfazione a spingerlo ad andare avanti. «In una mostra portai una collezione di lettere di ebrei dai ghetti che un partigiano mi forniva in cambio di denaro: quando le vide esposte mi disse che per tanta gente valevano come opere di Rembrandt».

Ariel Pensa: " Quei 'neri' bianchi con l'anima jazz "

I l suo vero nome era Robert Chudnick e le sue origini ebree erano tutt'uno con qualche ascendente irlandese e italiano. Con la tromba ci sapeva fare davvero, ma il problema era l'aspetto fisico: rosso di capelli e logicamente diafano di carnagione, piccoletto, spiccava come un pesce fuor d'acqua in un mondo, quello del jazz degli anni 50, fatto di gente di colore.
Aveva scelto di chiamarsi Red Rodney — molto più made in Usa — ma quando ottenne la scrittura che gli avrebbe procurato un posto nella storia della musica afroamericana dovette accollarsi il soprannome di Albino Red: era infatti così che il suo capo, Charlie Parker, genio del sax, lo presentava in giro cercando maldestramente di spacciarlo per un nero albino. Leggenda vuole che al primo incontro Charlie «Bird» Parker gli abbia chiesto in prestito dieci dollari: il sodalizio tra il grande sassofonista nero e il piccolo trombettista bianco cominciò insomma all'insegna delle più meschine debolezze umane. Eroinomane e alcolista, sempre pieno di debiti, Parker non sarebbe vissuto ancora a lungo, ma fece in tempo a far conoscere a tutti il talento del musicista ebreo che da lui ebbe purtroppo un altro «dono»: quella dipendenza dalla droga da cui sarebbe riuscito a liberarsi solo molto più tardi.
Due storie che si incrociavano, sul travagliato palcoscenico del jazz, per l'ennesima volta. Il contributo dei musicisti di origine ebraica alla più fondamentale manifestazione artistica mai prodotta in America dalla gente nera era cominciato molto prima. E sarebbe stato un altro nome illustre, Dave Brubeck, a tentare di celebrare questo messaggio di fratellanza universale con un'opera, «The Gates of Justice» commissionatagli dall'Unione delle congregazioni ebree americane nel 1969: il pianista e compositore volle infatti tracciarvi un parallelismo tra la storia degli ebrei e quella dei neri d'America; due popoli «resi schiavi, sradicati dalla loro terra».
La tradizione musicale ebraica parte da lontanissimo e approda, in tempi più recenti, nella genesi del Klezmer, un genere che fonde melodie e ritmi provenienti dalle più importanti aree di emigrazione europee (Russia, Balcani, Polonia): diventa ben presto la colonna sonora della vita quotidiana degli ebrei trapiantati in questi Paesi ed è facile comprendere quale contributo abbia poi regalato all'evoluzione del jazz quando, in seguito alla persecuzioni, gli ebrei cominciarono a trasferirsi massicciamente in America.
Non è un caso che alla rassegna di Ferrara venga proiettato «Il cantante di jazz», il film che segnò la nascita del sonoro al cinema (Alan Crosland, 1927): il dramma di Jackie, un ragazzo ebreo che si opponeva alla tradizione di famiglia rifiutando di cantare in sinagoga per seguire il proprio sogno di cantante jazz (a proposito, ecco che torna l'immaginario collettivo del nero bianco con Al Jolson che si pitturava la faccia per cambiare etnia...). Ma a nessuno sfugge che un patrimonio fondamentale di ritmo e improvvisazioni fu trascinato, da un altro grande musicista di origini ebraiche, Benny Goodman, a innescare l'era dello swing, dando vita a una delle più importanti stagioni bianche del jazz.
Oggi, invece, alcuni artisti spingono soprattutto sul recupero e l'esplorazione dell'eredità musicale ebraica: tra i nomi di spicco quelli di Uri Caine e John Zorn, quest'ultimo vero innovatore proprio per le composizioni e le formazioni consacrate alla fusione tra musica tradizionale e nuove forme jazzistiche. Non è un caso che i titoli stessi delle sue composizioni siano in lingua ebraica. Zorn è anche l'anello di congiunzione con uno dei nomi italiani più quotati negli ultimi tempi, quel Gabriele Coen che è appunto tra gli ospiti e i relatori della kermesse ferrarese. Sassofonista e ricercatore, Coen ama ricordare che tra le sue passioni ci sono Ellington, Steve Reich e Garbarek, ma è impossibile non citare la sua vacanza newyorchese che lo ha visto «arruolato» per l'etichetta di John Zorn, dopo l'incontro alla fine di un concerto nel corso del quale il musicista romano aveva fatto omaggio al collega statunitense dell'album inciso con i suoi Jewish Experience.
Perché a volte la musica trova da sola le sue strade. Ma non sempre con facilità: Adolph Ignatievich Rosner (1910-1976) ebreo polacco nato a Berlino e trapiantato in Unione Sovietica, violinista classico e poi trombettista jazz molto apprezzato anche da Armstrong, fu prima perseguitato dai nazisti e poi internato dal regime stalinista; ma anche durante la prigionia continuò a suonare la propria musica alla guida di un'incredibile Gulag Jazz Band.

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