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Zvi Mazel/Michelle Mazel
Diplomazia/Europa e medioriente
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Sinai: terrorismo senza via d’uscita 20/04/2013

Sinai: terrorismo senza via d’uscita
Analisi di Zvi Mazel

(Traduzione di Angelo Pezzana)

 
Zvi Mazel

La prima reazione dell’Egitto ai missili lanciati contro Eilat è stata una ipocrita negazione. Tre generali in pensione, auto-proclamatisi esperti e analisti militari, hanno spiegato che non era possibile che i missili fossero stati lanciati dal Sinai. Uno dei tre ha affermato che per valutare l’accaduto occorreva analizzare le immagini satellitari; un altro ha osservato che a Eilat è installato un “Iron Dome” in grado di bloccare ogni missile in arrivo da oltre confine, per cui i missili devono essere partiti da Israele. A queste spiegazioni si è unito il Governatore del Sud Sinai. Va ricordato che il suo predecessore aveva accusato il Mossad di aver portato un pescecane a Sharm el Sheik per danneggiarne il turismo.

 Una fonte, rimasta anonima, ha diffuso la voce che l’esercito, ai gradi più alti,dopo avere svolto indagini, non ha trovato prove che i missili siano partiti dall’Egitto. Dopo poche ore, però, ha destato sorpresa una nota di tono opposto, anche perché un gruppo salafita ha rivendicato il lancio. La conseguenza è stata un documento pubblicato dall’esercito su Facebook, nel quale informava che era stata deliberata immediatamente una inchiesta per analizzare quanto era avvenuto nel Sinai. Si aggiungeva poi che il territorio egiziano non era mai stato, né mai lo potrebbero essere, una minaccia per i paesi vicini. Anche la presidenza ha emesso subito dopo un comunicato simile, mentre altre voci provenienti dall’esercito hanno rivelato che il Ministro della Difesa Abdel Fattah Al Sisi ha chiesto di portare lo stato di allerta al confine con Israele al massimo livello.

Nessuno sembra rendersi conto del fatto che i radar degli “Iron Dome” e altre istallazioni simili avrebbero pouto fermare i missili e che la decisione di non colpirli dipendeva dal fatto che l’intercettazione sarebbe avvenuta sul territorio egiziano. Israele non ha alcun interesse in questo momento a mettere a rischio la sovranità territoriale del proprio vicino. In Egitto e in tutti i paesi arabi, "negare" è la parola chiave quando si tratta di Israele. La colpa va attribuita sempre ai sionisti e agli ebrei. Non  necessariamente  viene più facilitata la cooperazione tra Israele e Egitto su temi quali il terrorismo, persino quando è a rischio la sicurezza dell’Egitto. Ma ora c’è un interesse comune, entrambi i paesi devono unire le forze per combattere la diffusione del terrorismo jihadista nella Penisola del Sinai e a Gaza, una chiara minaccia per l’Egitto.

Non ci sono scambi di informazioni, per cui nessuno sa quel che succede, nemmeno quando Israele trasmette all’Egitto documenti sensibili. Israele aveva messo in guardia l’ex capo della sicurezza egiziana che gli estremisti islamici avevano programmato un attacco a una postazione dell’esercito, ma non erano stati creduti, per cui 16 soldati egiziani persero la vita. Per questo dovette dare le dimessioni.
Piazzare l’Iron Dome dieci giorni fa a Eilat può essere stato il risultato di informazioni ricevute su un possibile piano di lancio di missili, ma  gli Egiziani  non hanno fatto nulla da parte loro per prevenirlo.

 Il Sinai è fuor di dubbio una zona di guerra. La tradizionale sfiducia dei beduini verso il governo del Cairo è stata esacerbata da anni di negligenza. Nulla è stato fatto per migliorare le condizioni della popolazione; il lavoro manca, così come  infrastrutture scolastiche decenti. Hamas ha trovato volonterosi alleati pronti a contrabbandare armi e munizioni, missili inclusi, provenienti dall’Iran e transitati da Sudan e Egitto per raggiungere il Sinai e la Striscia di Gaza. Sono presenti altre organizzazioni terroriste jihadiste  legate a Al Qaeda, che dando vita a cellule locali, con l’aiuto dei beduini,  che guadagnano molto denaro.

 La caduta di Mubarak e il conseguente declino dell’autorità centrale hanno soltanto peggiorato la situazione. Le forze di sicurezza se ne sono andate e il Sinai è diventato un paradiso per i trafficanti di droga, così come è una strada aperta per gli africani che cercano una nuova vita in Israele. Con la caduta di Gheddafi, le armi dalla Libia si sono unite a questo flusso. Nulla è stato fatto per sviluppare la Penisola, malgrado ci siano state buone intenzioni che però non sono mai diventate realtà. E’stato suggerito più di una volta che l’Egitto teme che Israele voglia in qualche modo cogliere l’opportunità offerta dallo sviluppo dell’agricoltura e dalla creazione di piani industriali “per infiltrarsi nel Sinai in modo pacifico”. Questo spiegherebbe perché agli abitanti nel Sinai sia stato proibito acquistare terreni e gestire commerci o industrie. Lo scorso ottobre il governo aveva deciso di cambiare, permettendo ai beduini che potevano dimostrare – insieme ai loro famigliari- di essere cittadini egiziani, e che non avevano una seconda nazionalità, di acquistare o affittare terre. Si era appena asciugato l’inchiostro usato per il decreto, quando il ministro della difesa pubblicava un altro decreto che proibiva l’acquisto di terre entro la distanza di cinque chilometri dal confine con Israele e Gaza. Una misura per controllare meglio l’area, prevenire l’infiltrazione terrorista e monitorare i tunnel che consentono il contrabbando a Gaza. I beduini sono rimasti amaramente delusi, minacciando disobbedienza civile nel caso il decreto non venisse ritirato. Ci sono intense consultazioni ma nessuna soluzione è in vista, e la violenza può esplodere in qualunque momento.

 Come se non bastasse, adesso c’è un nuovo conflitto tra beduini e Fratelli Musulmani. L’ex Guida Suprema della Fratellanza, Mohammed Mehadi Akef, ha dichiarato la scorsa settimana al quotidiano del Kuwait “Al Jarida” che tutti i beduini sono collaborazionisti: un terzo collabora con la Sicurezza dello Stato, un altro terzo con l’intelligence dell’esercito, e un altro terzo spia per Israele ( non ha menzionato però la collaborazione con i gruppi jihadisti e Hamas). Centinaia di beduini infuriati hanno manifestato di fronte alla sede centrale della Fratellanza nel Sinai, minacciando di ridurle in macerie se Akef non porgeva le sue scuse. Altre proteste seguiranno, insieme a denunce civili per diffamazione. Ci si può quindi difficilmente aspettare che i beduini aiuteranno il governo centrale nella guerra al terrorismo, specialmente da quando molti di loro traggono i mezzi per vivere aiutando i gruppi terroristi a contrabbandare droghe, armi e persone.

Che può fare allora Israele ? Decine, se non centinaia di gruppi armati terroristi nella Penisola stanno apertamente minacciando la sua sicurezza, eppure ha deciso di non agire contro di loro. C’è un quoziente di intelligence condivisa con l'Egitto, ma senza un livello più alto di cooperazione, come avveniva durante l’amministrazione di Mubarak, servirà ben poco. Alcuni mesi fa, l’esercito egiziano ha annunciato che stava per lanciare una campagna a tutto campo contro il terrorismo nel Sinai. Ma i terroristi continuano a operare in pieno giorno, attaccano stazioni di polizia, costruiscono blocchi stradali e assaltano le pattuglie dell’esercito. La scorsa settimana un poliziotto è stato ucciso e un altro ferito da terroristi o da contrabbandieri. Solo una cooperazione da entrambe le parti del confine può porre fine a questo situazione fuorilegge nella Penisola, ma con i Fratelli Musulmani al timone dell’Egitto non succederà certamente in tempi brevi.

Zvi Mazel è stato ambasciatore in Egitto, Romania e Svezia. Fa parte del Jerusalem Center fo Public Affairs. Collabora con Informazione Corretta


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