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Il Foglio Rassegna Stampa
18.04.2013 Su quanti terroristi può contare la jihad islamica ?
commento di Pio Pompa

Testata: Il Foglio
Data: 18 aprile 2013
Pagina: 3
Autore: Pio Pompa
Titolo: «L’armata itinerante del jihad conta su 225 mila combattenti»

Riportiamo dal FOGLIO, di oggi, 18/04/2013, a pag. 3, l'articolo di Pio Pompa dal titolo "L’armata itinerante del jihad conta su 225 mila combattenti".


Ayman al Zawahiri, leader di al Qaeda, terroristi di Jabhat al Nusra

Roma. Il mito dell’esercito di Jabhat al Nusra travalica i confini siriani e, dal nord Africa al medio oriente, sta infiammando le nuove generazioni jihadiste. Ne parlano con grande enfasi sui loro forum chiedendosi cosa fare per essere reclutati dal gruppo terrorista e raggiungere la Siria. C’è addirittura chi palesa apertamente di essere pronto al martirio, a immolarsi in operazioni suicide, vantando l’addestramento ricevuto da “leggendari veterani” del jihad. Ciò, con buona pace dei sostenitori della tesi secondo cui al Nusra, dopo la recente pubblica dichiarazione di fedeltà al leader di al Qaida, Ayman al Zawahiri, avrebbe perso gran parte della sua attrattiva e capacità di reclutamento. “Il fatto è – confida al Foglio una fonte d’intelligence mediorientale – che in Libia, prima, e in Siria, dopo, l’occidente ha finito con il favorire, finanziare e armare i suoi stessi nemici.
Oggi tutti parlano di droni, di nuove strategie nel contrasto al terrorismo, ma nessuno si è preso la briga di conoscere esattamente il numero degli effettivi che compongono l’esercito jihadista, stanziale e itinerante, impegnato nelle varie aree di crisi. Un esercito che abbiamo incoscientemente usato, a macchia di leopardo, contro Muammar Gheddafi e che ora, ripetendo l’errore, utilizziamo per abbattere il regime di Bashar el Assad. Tranne, poi, ritrovarcelo come nemico nella crisi maliana e nel resto dei paesi nordafricani e non solo. Sia come sia, da nostre stime abbastanza accurate, l’esercito jihadista (stanziale e itinerante), a maggioranza salafita, materializzatosi con la primavera araba, ammonterebbe nel suo complesso a oltre 225 mila uomini”. Un dato impressionante che fa il paio con un aspetto ancora più inquietante: molti di essi hanno affermato che, dopo anni di jihad, l’unico mestiere che conoscono e sono in grado di fare è quello di combattere. “Di recente – continua il nostro interlocutore – abbiamo parlato, durante un’operazione sotto copertura, proprio con alcuni membri di Jabhat al Nusra che hanno candidamente ammesso che per loro è impensabile tornare a un’esistenza normale. Combattere e ancora combattere è la loro vera ragione di vita. Alcuni si trascinano dietro persino la famiglia sistemandola nei campi profughi logisticamente più vicini alle zone di combattimento”. Una caratteristica, questa, che ritroviamo puntualmente anche tra i miliziani di al Qaida nel Maghreb islamico (Aqmi) e dei suoi alleati. Tra i primi a prenderne coscienza è stato il sito JeuneAfrique attraverso un’analisi che pone in evidenza come la crisi nel Mali stia rischiando di divenire, per la Francia e la comunità internazionale, “un salto verso l’ignoto”. “I francesi – si legge – non vogliono impantanarsi nel nord del paese e a New York e Parigi già pensano al futuro. Chi prenderà le redini per mettere in sicurezza il territorio? L’esercito maliano è incapace e i Caschi blu, da soli, non saranno sufficienti”. A rincarare la dose sono state le dichiarazioni rese il 10 aprile, al Senato americano, dal consigliere alla Difesa, Michael Sheehan, secondo cui le forze della Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (Cédéao), schierate nel Mali, “sono buone a nulla”. Un giudizio impietoso che contrasta con le rassicurazioni fornite da Parigi sulla stabilizzazione della situazione. L’unica cosa certa, al momento, è che i jihadisti continueranno a combattere sempre e ovunque si trovino.

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