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Il Giornale Rassegna Stampa
17.04.2013 Boston: secondo Obama la matrice dell'attentato è islamica
commento di Fiamma Nirenstein

Testata: Il Giornale
Data: 17 aprile 2013
Pagina: 13
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «La sfida dell’America. Accettare l’odio e convivere col terrore»

Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 17/04/2013, a pag. 13, l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo " La sfida dell’America. Accettare l’odio e convivere col terrore ".

Maratona di Boston attentato
Fiamma Nirenstein        attentato di Boston

Solo dopo ventiquattro ore dall’attacco di Boston il presi­dente Obama ha usato, ieri, la parola «terrorismo»: ma ce n’è voluto anche per arrivare a que­sta lapalissiana definizione.
Dichiararsi in guerra col ter­rorismo, quale che sia la sua ma­trice, è una scelta molto impe­gnativa per qualsiasi società. Perché l’attacco cui la società democratica è sottoposta per ciascuno di noi è inattingibile, come un ectoplasma non invi­tato, indecifrabile come una ste­le in una scrittura non conosciu­ta, affamata come una belva af­famata e mai contenta del bud­get, dell’organizzazione, dello sforzo psicologico che le getti nelle fauci. È un incubo che mi­naccia ognuno di noi; New York e Washington sono ades­so sotto assedio, Londra non sa come affrontare il funerale di Margaret Thatcher, gli eventi papali sono un infinito appun­tamento con sforzi disumani di sicurezza, tutti gli aereoporti moltiplicano i loro sforzi. Il no­stro mondo non può credere al terrorismo, così come non cre­de, non può credere all’ingiusti­ficata pulsione di dominare il pianeta con la minaccia delle ar­mi di dist­ruzione di massa di Co­rea del Nord e Iran. Un’altra ra­zionalità è quella che domina la logica della violenza. Prefe­riam­o guardare a ciò che non ca­piamo come alla ferita di un ful­mine. Se è caduto qui una volta, non può capitare di nuovo. In­vece le società democratiche contemporanee soffrono del terrore interno e internaziona­le, ideologico e soprattutto reli­gioso, come di una piaga per­manente. Una ragazza di Bo­ston alla tv ha raccontato che, reduce dalle esplosioni, per ore e ore ha continuato a chiedersi se era tutto vero, il sangue, gli scoppi, le sirene, le urla... Pote­va mai essere che nel mondo co­nosciuto qualcuno avesse pro­grammato coscientemente una pioggia di sangue sulla gio­ia collettiva e inerme della folla pacifica, unita in un evento sportivo innocuo e democrati­co per eccellenza come una ma­ratona? Per capire che questa realtà esiste, occorre figurarsi l’altro universo razionale che esiste al di là del nostro, e chia­marlo col suo nome: è il nostro nemico. Si, in questo mondo di correttezza politica, di parole usate col misurino, di espressio­ni e modi di vita usati per non fe­rire differenze sociali, sessuali, religiose, abbiamo un nemico che di tali differenze fa una dot­trina. Chiunque egli sia, islami­co e cristiano, è il vicino della porta accanto, e lo resterà per quanto compiacente possia­mo essere con lui. Se è un neo­nazista suprematista bianco ce l’ha con noi perché abbiamo violato l’ordine dei Padri, se è un comunista perché sfruttia­mo i nostri simili, se è un islami­co­perché la sua missione è con­quistare il mondo all’Islam. Chiunque egli sia, gli esplosivi usati per i due scoppi che han­no fatto tre morti (fra cui un bambino di otto anni, alto co­me le gambe degli adulti che in­vece lo scoppio ha amputato) e 176 feriti, sono stati assemblati con materiali che si possono comprare in una mesticheria qualunque, in un negozio per la cura della campagna, in far­macia... e poi gli ordigni sono stati rimpinzati di chiodi e an­che di proiettili rotondi capaci di penetrare con mille piccole ferite i corpi dei 23mila marato­neti che correvano verso Co­pley Square, dove si assiepava­no gli spettatori, mogli, amici, bambini, anche loro vittime sa­crificali.
Non siamo soli. Ci accompa­gnano, connessi ormai da mi­riadi di fili nel cyberspazio, i ter­roristi. La società democratica, specie quella americana, com­pie dalle origini uno sforzo im­pari di contenimento della na­tura umana: i suoi istinti violen­ti, la sua tendenza alla sopraffa­zione, ogni giorno vengono de­limitati con valanghe di buoni sentimenti, di inni alla pace, di comportamenti irenici, di buone parole sul no­stro prossimo. Così si li­mita il numero dei pur continui, alacri urli del­le sirene della polizia, ne­gli Usa in continuo movi­mento.
Le macchine ros­se arrivano a decine per ogni piccolo incidente. Ma il terrorismo, è più difficile da affrontare, perché è fuori dall’oriz­zonte del possibile. Perché i ter­roristi colpiscono in questo o in quel giorno? Si avanzano tante ipotesi, le cabale sono a disposi­zione. Ma nessuna ci salva dal­la verità essenziale, quella che Israele ha imparato bene sin dalla sua nascita avvenuta 65 anni fa: le democrazie devono oggi saper essere Atene e Spar­ta, nel corpo e nell’anima.
www.fiammanirenstein.com

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