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Ugo Volli
Cartoline
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Un ricordo per la vita 14/04/2013
Un ricordo per la vita
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

Cari Amici,

domani (ma in realtà questa sera, perché le date ebraiche partono dal tramonto) in Israele e nelle comunità ebraiche del mondo si ricorda Yom Hazicharon, il giorno del ricordo, dedicato ai caduti delle forze armate israeliane dall'inizio del percorso di costituzione dello Stato e alle vittime del terrorismo in Israele: 22.682 soldati e 3971 civili per la maggior parte bambini e anziani. ( dati del 2010: http://www.focusonisrael.org/2010/04/19/yom-ha-zikaron-israele/). Come ha scritto Giulio Meotti a proposito del suo libro dedicato all'argomento (“Non smetteremo di danzare: le storie mai raccontate dei martiri di Israele“) "è un immenso buco nero che [solo negli ultimi] quindici anni ha inghiottito 1.557 vittime innocenti, lasciando 17.000 feriti: uomini, donne e bambini. [...] Giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, mese dopo mese, anno dopo anno, attacco dopo attacco." (http://www.focusonisrael.org/2012/04/25/yom-ha-zikaron-israele-2/ ). Se facciamo un paragone aritmetico, certamente arbitrario ma illuminante, con la popolazione italiana, dovremmo pensare a cosa vorrebbero dire per il nostro paese circa 250 mila morti e dieci volte tanti feriti nel tempo successivo alla fine della guerra: una vittima quasi in ogni famiglia, un costo umano tremendo. 
 

 

Chi ha assistito a una celebrazione di questa giornata difficilmente la può dimenticare. In tutta Israele suonano le sirene, una volta la sera, una volta in mattinata, tutti si fermano per un minuto di silenzio, le macchine in autostrada, la gente per le città; la radio trasmette canzoni e musiche legate all'argomento; molti vanno nei cimiteri a trovare i loro morti; case e automobili sono imbandierate; vi è un'atmosfera di intenso raccoglimento. Israele si stringe intorno alle sue forze armate e alla sue vittime, si capisce visivamente come un popolo allegro e indaffarato in mille faccende, dallo studio della Torah alle nuove tecnologie e al business più innovativo, sia costretto dalle circostanze a essere sempre anche esercito, autodifesa, vigile attenzione a un nemico immensamente superiore di numero che ha come obiettivo principale la distruzione di quel miracolo di civiltà e di laboriosità che è Israele. 

Gli ebrei della diaspora, almeno quelli consapevoli e lucidi, partecipano con commozione alla ricorrenza. Sanno bene infatti che quei morti sono caduti anche per loro che stanno dispersi nel mondo, capiscono che Israele, e innanzitutto Tzahal (la sigla che si usa per indicare le forze armate israeliane) è oggi la barriera che li difende da una nuova Shoà. Ci fosse stato lo Stato ebraico, Hitler non avrebbe potuto compiere il genocidio, non almeno in quelle proporzioni; chi vuole oggi il genocidio, lo ammetta o meno, vuole innanzitutto la distruzione di Israele. E correlativamente, chi vuole la distruzione o il disarmo di Israele, sia pure  per le migliori intenzioni progressiste o per la più sentita carità cristiana o la più elevata etica - lo sappia o meno, lo capisca o meno, costui lavora per un nuovo genocidio, vuole la distruzione del popolo ebraico.


Non è un caso che Ben Gurion, quando decise di introdurre nel calendario ebraico queste nuove ricorrenze civili, volle che una decina di giorni prima di Yom Hazicharon, si celebrasse il ricordo "dell'eroismo e della Shoah", cioè la memoria della distruzione degli ebrei orientali e della resistenza che alcuni opposero al genocidio, nel ghetto di Varsavia e altrove.
Il ricordo delle vittime israeliane delle guerre e del terrorismo arabo è successivo, perché fa parte di un'altra fase storica.
Non che lo stato di Israele, come dicono i nemici più insinuanti, sia stato "concesso" agli ebrei come "risarcimento" della Shoah, magari a spese degli arabi (che allora non avevano ancora scippato il nome di palestinesi). Tutto al contrario, il sionismo e l'immigrazione di massa in terra di Israele sono precedenti ad Auschwitz di mezzo secolo circa; ma essi contengono l'intuizione della chiusura della fase storica dell'esilio e della dispersione del popolo ebraico e soddisfano l'indicazione dei Profeti di un ritorno collettivo dalla Diaspora.

Dunque, prima c'è Yom HaShoah, dopo una decina di giorni Yom HaZicharon, il ricordo dei caduti e delle vittime del terrorismo. E immediatamente dopo, il giorno successivo, domani sera, si festeggia Yom Haatzmaut, il giorno dell'indipendenza, che fu proclamata 65 anni fa il 14 maggio 1948 (ma nel calendario ebraico, rispettato per le feste è il 5 del mese di Iyar, che quest'anno cade un mese prima della data gregoriana).
L'atmosfera nel paese cambia di colpo, dopo una giornata di lutto esplode la festa, ci sono balli in piazza e gioia generale. Del compleanno di Israele vi parlerò in un'altra cartolina.
Vorrei solo qui sottolineare la logica di questo percorso, che è la stessa di molte feste religiose ebraiche, precedute da un digiuno o da un momento di lutto. Bisogna ricordare i caduti, quelli della Shoah come quelli del terrorismo e delle guerre.
Ma bisogna anche capire che i crimini subiti hanno fallito, non hanno raggiunto il loro obiettivo di distruggere il popolo ebraico; che i sacrifici compiuti non sono stati inutili, che ai soldati caduti va il merito della resistenza e della fioritura di Israele. Questo è il significato dell'intero ciclo di queste giornate del ricordo, la morale che la vita ha senso, che il progresso è possibile, che bisogna difendersi per andare avanti, ma che la difesa non è fine a se stessa e se per realizzarla si perdono delle vite, questo è "per la vita", "L' Chaim", "alla vita" come suona l'augurio che si usa in Israele per ogni brindisi.
 
Ugo Volli

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