venerdi 22 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






Il Manifesto Rassegna Stampa
10.04.2013 Negoziati, la proposta di Abu Mazen per sedersi al tavolo
Michele Giorgio avrà capito bene ?

Testata: Il Manifesto
Data: 10 aprile 2013
Pagina: 9
Autore: Michele Giorgio
Titolo: «Kerry ostenta ottimismo, nonostante il caso Issawi»

Riportiamo dal MANIFESTO di oggi, 10/04/2013, a pag. 9, l'articolo di Michele Giorgio dal titolo "Kerry ostenta ottimismo, nonostante il caso Issawi".


John Kerry                               Michele Giorgio

John Kerry si trova in Medio Oriente in questi giorni per far ripartire i negoziati fra Israele e palestinesi, una notizia pressoché ignorata dai media italiani, fatta eccezione, oggi, per l'articolo di Michele Giorgio.
Il pezzo non presenta nessuna novità significativa rispetto alla solita brodaglia contro Israele, fatta eccezione per questa frase veramente interessante : "
Per tornare alle trattative il presidente palestinese Mahmud Abbas chiede lo stop totale dell'espansione delle colonie ebraiche nei Territori occupati, la definizione da parte di Israele dei suoi confini con il futuro Stato di Palestina e la liberazione dei detenuti politici. A cominciare da Samer Issawi, in sciopero della fame da otto mesi ...".
Abu Mazen vuole che sia Israele a stabilire i confini? Unilateralmente, senza negoziare? Giorgio avrà capito bene? Se così fosse, non ci sarebbero problemi. Si pensava che i  colloqui venissero fatti per stabilire di comune accordo i confini di Israele e dello Stato palestinese, ma se Abu Mazen per sedersi al tavolo a discutere pretende che sia Israele a definirli, possiamo di sicuro complimentarci con Kerry, la sua missione è compiuta. La soluzione ad un conflitto che sembrava, ormai, sempiterno, è praticamente cosa fatta.
Ovviamente ci sono alcuni aggiustamenti da fare, alcune cose da definire, alcune garanzie riguardo alla fine del terrorismo palestinese...ma tutto passa in secondo piano dopo la richiesta innovativa di Abu Mazen che, finalmente, ha deciso di impegnarsi seriamente coi negoziati. Michele Giorgio Dixit.

Ecco il pezzo: 

Ostenta ottimismo il segretario di stato John Kerry dopo la sua nuova spola fra Gerusalemme e Ramallah. «Abbiamo fatto progressi», diceva compiaciuto ieri ai giornalisti al termine di due giorni di incontri avuti con i leader israeliani e palestinesi. «Siamo contenti della sostanza delle discussioni e abbiamo tutti convenuto di dover fare dei compiti a casa», ha detto il capo della diplomazia americana in una conferenza stampa a Gerusalemme assieme al primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu. Quest'ultimo, sorridente, ha prontamente offerto il suo appoggio. «Sono determinato a compiere uno sforzo serio per mettere fine al conflitto con i palestinesi», ha assicurato il premier. E concilianti erano state anche le frasi pronunciate l'altro giorno dal presidente palestinese Abu Mazen durante e dopo i colloqui a Ramallah con Kerry, ben diverse da quelle dettate dal cattivo umore successive all'incontro del mese scorso con Barack Obama. Uno strano clima favorevole ha accompagnato questa nuova missione di Kerry in Medio Oriente, avvenuta poche settimane dopo il viaggio in Israele di Obama. Strano se si tiene conto che il segretario di Stato nei passati due giorni ha percorso solo pochi metri di un viaggio molto lungo. Le differenze tra le parti per ora rimangono inalterate. Per tornare alle trattative il presidente palestinese Mahmud Abbas chiede lo stop totale dell'espansione delle colonie ebraiche nei Territori occupati, la definizione da parte di Israele dei suoi confini con il futuro Stato di Palestina e la liberazione dei detenuti politici. A cominciare da Samer Issawi, in sciopero della fame da otto mesi e rimasto in vita solo perle flebo di sali e di zucchero che gli somministrano i medici israeliani. Le sue condizioni sono disperate, il suo cuore batte sempre più debolmente e potrebbe fermarsi. Issawi non cede, è pronto a contestare fino alla morte la sua detenzione, morte che scatenerebbe la rabbia dei palestinesi e forse quella terza Intifada di cui si parla da tempo. Ma da Israele non arriva alcun gesto, se non la proposta di una deportazione a Gaza che il detenuto in sciopero della fame rifiuta seccamente. Persino John Kerry ha sottolineato i rischi legati al caso Issawi e alla questione dei quasi 5mila detenuti politici palestinesi ancora in carcere in Israele, durante l'incontro con Netanyahu. II premier deve averlo ascoltato distrattamente perché dalla sua lista di «proposte di soluzione» è uscita solo l'idea di un piano economico a favore dei palestinesi - in evidente sostituzione di quello politico - e una serie di condizioni per la trattativa: discutere subito di accordi di sicurezza e del riconoscimento da parte di Abu Mazen di Israele come «Stato del popolo ebraico». Due punti che pesano come un macigno e che, secondo quanto si è letto due giorni fa sulla stampa israeliana, il ministro della giustizia Tzipi Livni, con un incarico per le (possibili) trattative, riterrebbe ormai uno scoglio da spostare a una fase successiva se si vuole riavviare il negoziato. Senza dimenticare che Netanyahu non intende fermare la colonizzazione, fortemente sostenuta peraltro da diversi partiti della sua coalizione di destra. Di fronte a ciò risulta poco comprensibile l'ottimismo, seppur cauto, di Kerry. Non è chiaro peraltro se nei colloqui con Netanyahu, il segretario di Stato abbia rispolverato, come si diceva, l'iniziativa di pace saudita del 2002 - normalizzazione dei rapporti in cambio del ritiro totale di Israele dai territori che ha occupato nel 1967 - che i paesi arabi sono tornati a discutere qualche giorno fa, in coincidenza con la missione di Kerry. Si è parlato anche di Siria e di Iran in questi giorni e per rassicurare Netanyahu il Segretario di stato ha ribadito quanto aveva detto il mese scorso Barack Obama a Gerusalemme: gli Stati Uniti non permetteranno a Tehran di costruire la bomba atomica. Del programma nucleare iraniano, israeliani e americani torneranno a discutere molto presto, dal 21 al 23 aprile, quando il segretario alla Difesa Chuck Hagel effettuerà la sua prima visita nello Stato ebraico.

Per inviare la propria opinione al Manifesto, cliccare sull'e-mail sottostante


redazione@ilmanifesto.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT