" Promettiamo di essere per sempre lo scudo di Israele e del popolo ebraico "
commento di Deborah Fait
Deborah Fait
Ogni anno parlo del suono delle sirene nel giorno di Yom HaShoah, un grido straziante lungo due interminabili minuti.
Tutti fermi, 6 milioni di ebrei di Israele immobili dovunque si trovino, immobili e persi nelle emozioni che quelle sirene danno ad ognuno di noi.
Sei milioni come quelli che ancora oggi vagano nei cieli d’Europa, fumo uscito dai camini verso il cieli scuri d’Europa .
Sei milioni come quelli i cui corpi si sono mescolati alla terra IN cui venivano sepolti, proprio dentro quella terra dura e fredda coperta di neve, in buche profonde, spesso , molto spesso ancora vivi ma gia’ cadaveri.
Sei milioni.
Dovremmo ripeterlo 6 milioni di volte e ancora il mondo non capirebbe, ancora ci sarebbero quelli, i criminali, a negare o quegli altri, i mascalzoni, a dire “smettetela di piagnucolare, sempre con questa storia della Shoa’” o quegli altri ancora , i farabutti, “ma se vi odiano tanto da sempre, ci sara’ pure un motivo”.
Ogni anni descrivo il suono delle sirene ma ogni anno, da quando vivo in Israele, provo le stesse terribili emozioni e quel groppo in gola che non riesco ad inghiottire.
Benjamin Netanyahu ha detto alla cerimonia di ieri sera: “Il mondo non e’ cambiato, il mondo ci odia sempre, c’e’ qualcuno che vuole ancora distruggerci eliminando il Paese degli ebrei, il mondo non e’ cambiato ma siamo cambiati NOI! Abbiamo un Paese, oggi, abbiamo un esercito, oggi, sappiamo difenderci, oggi. E dobbiamo confidare solo sulle nostre forze senza aspettare aiuto nemmeno dai nostri amici e alleati piu’ cari”.
Dopo i discorsi delle autorita’, sei superstiti, Nizolei Shoah in ebraico, sono andati verso i bracieri e ognuno ha raccontato la sua storia, i suoi morti, ricordando ancora, dopo 70 anni, l’ultima parola, l’ultima carezza della mamma. Ognuno dei sei ha acceso il braciere e dietro a loro , quasi a proteggerli, simbolo della speranza e del futuro del Popolo ebraico, sei ragazzi e ragazze porgevano loro le torce.
Sei vecchi, stanchi, un po’ curvi, con alle spalle l’orrore dell’inferno vissuto da bambini, un inferno che aveva ingoiato le loro famiglie, la loro vita, il loro passato e il loro futuro, insieme alla dignita’ di esseri umani. Sei ragazzi alle loro spalle quasi a sostenerli, quasi a dire : “Noi siamo qui, siamo ebrei e abbiamo la nostra Patria. Noi giovani israeliani siamo qui per darvi la speranza che non accadra’ mai piu’, per darvi la certezza che questo Paese non scomparira’ mai. Saremo qui per sostenervi, per piangere insieme sulla la vostra/ nostra tragedia ma oggi noi ebrei possiamo difenderci e ci difenderemo sempre. Noi siamo qui, cari Nonni, e sappiate che il fuoco che ha distrutto il nostro Popolo disperso alla merce’ delle belve , terra’ sempre vivo in noi il ricordo di cio’ che e’ stato”.
Alla fine della cerimonia del Ricordo, dopo il kaddish per i nostri morti, tutti in piedi, a testa alta, tutti insieme noi ebrei di Israele, abbiamo cantato a voce spiegata il nostro Inno Nazionale.
Hatikva’, Speranza.
Nei cieli di Auschwitz, quei cieli grigi dove si sente ancora l’odio e la bestialita’, dove sembra ancora di vederei bambini morti di freddo e di fame, o quel bambino di cui scrive Elie Wiesel, impiccato a 13 anni, in quei cieli, sopra quel campo della morte , simbolo del Male, l’Aviazione israeliana manda ogni anno i suoi piloti durante la Marcia della Vita:
"Noi piloti della forza aerea israeliana voliamo nel cielo sopra il campo degli orrori, composto dalle ceneri di milioni di vittime e ci portiamo sulle spalle le loro grida silenziose, salutiamo il loro coraggio e PROMETTIAMO DI ESSERE PER SEMPRE LO SCUDO DEL POPOLO EBRAICO E DELLO STATO D'ISRAELE".
Mi piace pensare che lo spirito dei 6 milioni, nel vederli volare, con la bandiera di Israele dipinta sulla ali, sorrida di orgoglio.