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Onu: un Trattato sulle armi, un’arma a doppio taglio
Il nuovo Trattato per il Commercio delle Armi (Arms Trade Treaty, Att) approvato dall’Assemblea Generale dell’Onu il 2 aprile, è teoricamente perfetto. Promosso soprattutto dagli Stati Uniti, con l’amministrazione di Barack Obama quale sponsor più autorevole, di fatto vieta l’esportazione di armi ai dittatori, ma consente la loro vendita ai gruppi non statuali che resistono al tiranno. Non a caso, all’Assemblea Generale dell’Onu è stato votato da 154 Stati, fra cui Israele, e bocciato da 3 dittature: Corea del Nord, Iran e Siria. Mentre la Russia e la Cina si sono astenute assieme ad un gruppo di altri 21 Paesi la cui democraticità è quantomeno dubbia. Il divieto riguarda, appunto, gli Stati. Sono sempre gli attori statuali i responsabili di eventuali trasferimenti illeciti di armi a gruppi non statuali armati, come le organizzazioni terroriste. Applicato al Medio Oriente, il nuovo Trattato vieterebbe a chiunque di esportare armi convenzionali all’Iran o al regime di Damasco. E impedirebbe a questi ultimi di vendere o trasferire equipaggiamento militare a gruppi terroristi quali Hamas ed Hezbollah. Non si stenta a capire il perché del voto favorevole di Israele. Ma impedisce anche a Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti di sostenere militarmente i gruppi di ribelli contro Bashar al Assad? Non in modo così netto. Perché gli insorti sono definiti “terroristi” solo dal loro dittatore. E non c’è alcun divieto specifico per armare gruppi di resistenti armati, per di più riconosciuti ormai da mezzo mondo. In ogni caso, Anna Mcdonald, della Ong Oxfam (una delle promotrici più attive del Trattato, assieme ad Amnesty International) ritiene che l’Att sia soprattutto uno strumento “preventivo”, per “fermare futuri casi Siria, Mali, Libia”. Proprio questi tre esempi, però, fanno toccare con mano tutta l’ambiguità del nuovo trattato. In Libia, sia la Francia che la Gran Bretagna hanno iniziato ad assistere gli insorti anti-Gheddafi quando solo il governo del dittatore era riconosciuto internazionalmente. Quanto al Mali, molte delle armi fornite ai ribelli anti-Gheddafi sono poi finite nelle mani degli jihadisti malesi, contro cui i francesi hanno poi dovuto combattere. Il tutto grazie ai finanziamenti del Qatar, che nel Mali foraggiava gli interessi della parte opposta ai francesi. Mentre in Siria è di nuovo un alleato, così come lo era in Libia nel 2011. Non va dimenticato, poi, che gli organismi dell’Assemblea Generale dell’Onu sono molto elastici nella distinzione fra democrazia e dittatura. La stessa commissione per l’Att, nell’estate del 2012, aveva eletto quale vicepresidente il rappresentante dell’Iran, sollevando le ire degli Stati Uniti. Questo episodio, fortunatamente risolto, è però indice di come le maggioranze possano cambiare rapidamente e in modo imprevedibile. Con le maggioranze, all’Onu, cambiano anche le interpretazioni su come gira il mondo, su chi è terrorista e chi è resistente. Alle Nazioni Unite, ad esempio, è pieno di rappresentanti di governi che definiscono “terrorista” Israele e cercano di condannare lo Stato ebraico per crimini di guerra e contro l’umanità. L’ultimo a farlo, pubblicamente, è stato Recep Tayyip Erdogan, il premier turco. La Risoluzione 3379 equiparava il sionismo al razzismo e fu votata, nel 1975, dalla maggioranza dei Paesi che tuttora siedono all’Assemblea Generale. Benché sia stata revocata, la conferenza di Durban, nelle sue tre edizioni, ha ribadito lo stesso concetto. Quel che importa, in questa sede, è che a votare per l’equiparazione fra sionismo e razzismo sia sempre stata la maggioranza dell’Assemblea Generale. Se quella maggioranza dovesse prevalere anche negli organi di controllo per il commercio delle armi, Israele potrebbe finire sotto embargo. Mentre i palestinesi, cioè i “resistenti”, potrebbero ricevere aiuti militari. |
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