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Stefano Magni
USA
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Onu: un Trattato sulle armi, un’arma a doppio taglio 04/04/2013

Onu: un Trattato sulle armi, un’arma a doppio taglio
di Stefano Magni


Stefano Magni

Il nuovo Trattato per il Commercio delle Armi (Arms Trade Treaty, Att) approvato dall’Assemblea Generale dell’Onu il 2 aprile, è teoricamente perfetto. Promosso soprattutto dagli Stati Uniti, con l’amministrazione di Barack Obama quale sponsor più autorevole, di fatto vieta l’esportazione di armi ai dittatori, ma consente la loro vendita ai gruppi non statuali che resistono al tiranno. Non a caso, all’Assemblea Generale dell’Onu è stato votato da 154 Stati, fra cui Israele, e bocciato da 3 dittature: Corea del Nord, Iran e Siria. Mentre la Russia e la Cina si sono astenute assieme ad un gruppo di altri 21 Paesi la cui democraticità è quantomeno dubbia.
L’Att riguarda tutti i tipi di arma convenzionale, dalla semplice pistola alla portaerei. Oltre alle armi in sé, include il trattamento delle munizioni e delle componenti. La loro esportazione è vietata, non solo se l’importatore è sotto embargo (come già dovrebbe essere), o se lo scambio viola altre convenzioni Onu, ma anche quando uno Stato, pur non essendo sotto embargo, può usare le armi importate per commettere atti di genocidio, crimini di guerra e contro l’umanità.

Il divieto riguarda, appunto, gli Stati. Sono sempre gli attori statuali i responsabili di eventuali trasferimenti illeciti di armi a gruppi non statuali armati, come le organizzazioni terroriste.

Applicato al Medio Oriente, il nuovo Trattato vieterebbe a chiunque di esportare armi convenzionali all’Iran o al regime di Damasco. E impedirebbe a questi ultimi di vendere o trasferire equipaggiamento militare a gruppi terroristi quali Hamas ed Hezbollah. Non si stenta a capire il perché del voto favorevole di Israele. Ma impedisce anche a Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti di sostenere militarmente i gruppi di ribelli contro Bashar al Assad? Non in modo così netto. Perché gli insorti sono definiti “terroristi” solo dal loro dittatore. E non c’è alcun divieto specifico per armare gruppi di resistenti armati, per di più riconosciuti ormai da mezzo mondo. In ogni caso, Anna Mcdonald, della Ong Oxfam (una delle promotrici più attive del Trattato, assieme ad Amnesty International) ritiene che l’Att sia soprattutto uno strumento “preventivo”, per “fermare futuri casi Siria, Mali, Libia”.

Proprio questi tre esempi, però, fanno toccare con mano tutta l’ambiguità del nuovo trattato. In Libia, sia la Francia che la Gran Bretagna hanno iniziato ad assistere gli insorti anti-Gheddafi quando solo il governo del dittatore era riconosciuto internazionalmente. Quanto al Mali, molte delle armi fornite ai ribelli anti-Gheddafi sono poi finite nelle mani degli jihadisti malesi, contro cui i francesi hanno poi dovuto combattere. Il tutto grazie ai finanziamenti del Qatar, che nel Mali foraggiava gli interessi della parte opposta ai francesi. Mentre in Siria è di nuovo un alleato, così come lo era in Libia nel 2011.
La definizione di “terrorista” usata per i gruppi non statuali, dunque, scivola come il sapone. Finché saranno gli Stati Uniti (o Israele) a dar l’interpretazione prevalente, possiamo stare certi che nella lista nera finiranno regimi totalitari e gruppi riconosciuti internazionalmente quali organizzazioni terroriste. Ma all’Onu non partecipano solo le democrazie liberali. Nello stesso Consiglio di Sicurezza siedono regimi autoritari quali la Russia e la Cina. Putin, soprattutto, ha dimostrato più volte di saper rovesciare la frittata di risoluzioni votate dalle democrazie liberali: lo stesso principio di “ingerenza umanitaria” evocato dai Paesi Nato per giustificare l’intervento in Kosovo, è stato sventolato da Mosca mentre invadeva la Georgia. L’Att spiana la strada a molte di queste ambiguità. La Russia potrebbe condannare il trasferimento di armi francesi e britanniche ai “terroristi” che combattono Assad in Siria e portare sul banco degli imputati direttamente Parigi e Londra.

Non va dimenticato, poi, che gli organismi dell’Assemblea Generale dell’Onu sono molto elastici nella distinzione fra democrazia e dittatura. La stessa commissione per l’Att, nell’estate del 2012, aveva eletto quale vicepresidente il rappresentante dell’Iran, sollevando le ire degli Stati Uniti. Questo episodio, fortunatamente risolto, è però indice di come le maggioranze possano cambiare rapidamente e in modo imprevedibile. Con le maggioranze, all’Onu, cambiano anche le interpretazioni su come gira il mondo, su chi è terrorista e chi è resistente. Alle Nazioni Unite, ad esempio, è pieno di rappresentanti di governi che definiscono “terrorista” Israele e cercano di condannare lo Stato ebraico per crimini di guerra e contro l’umanità. L’ultimo a farlo, pubblicamente, è stato Recep Tayyip Erdogan, il premier turco. La Risoluzione 3379 equiparava il sionismo al razzismo e fu votata, nel 1975, dalla maggioranza dei Paesi che tuttora siedono all’Assemblea Generale. Benché sia stata revocata, la conferenza di Durban, nelle sue tre edizioni, ha ribadito lo stesso concetto. Quel che importa, in questa sede, è che a votare per l’equiparazione fra sionismo e razzismo sia sempre stata la maggioranza dell’Assemblea Generale. Se quella maggioranza dovesse prevalere anche negli organi di controllo per il commercio delle armi, Israele potrebbe finire sotto embargo. Mentre i palestinesi, cioè i “resistenti”, potrebbero ricevere aiuti militari.


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