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La Stampa Rassegna Stampa
25.03.2013 Un'araba israeliana vince il concorso 'The Voice'
la cronaca di Francesca Paci con una menzogna omissiva

Testata: La Stampa
Data: 25 marzo 2013
Pagina: 18
Autore: Francesca Paci
Titolo: «Il pop più forte dell’odio. Un’araba conquista Israele»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 25/03/2013, a pag. 18, l'articolo di Francesca Paci dal titolo "Il pop più forte dell’odio. Un’araba conquista Israele".


Lina Makhoul                        Barack Obama con Miss Israele

L'articolo di Francesca Paci (come quello che non riportiamo di Fabio Scuto su Repubblica di oggi) pecca di 'menzogna omissiva'.
Ciò che Francesca Paci ha dimenticato di citare, a parte ricette culinarie e tenzoni canore, è che Israele è un Paese dove la parola 'apartheid' non ha nessun motivo di esistere.
Se gli israeliani devono eleggere Miss Israele e trovano che la concorrente più bella sia un'israeliana di origine etiope e con la pelle scura, la votano.
Se ritengono che la cantante migliore nel programma televisivo The Voice sia un'araba israeliana, la votano.
Non evidenziarlo è una gravissima menzogna omissiva che impedisce ai lettori di capire quale straordinaria democrazia sia Israele.
Ecco il pezzo:

«Fate l’hummus, non la guerra» suggerisce a israeliani e palestinesi (ma anche ai libanesi) il documentario del regista australiano Trevor Graham. Una provocazione rivolta ai politici più che ai ghiottoni avversi. Perché alla radice delle rivendicazioni sulla paternità dell’appetitosa crema di ceci mediorientale che nel 2008 portarono ai ferri corti i ristoratori di Beirut spalleggiati da Ramallah e quelli di Tel Aviv, c’è, tangibile quanto il conflitto dei conflitti, un gusto, una cultura popolare e perfino un’estetica che al di là dei check point accomuna due popoli così lontani e così vicini.

Basta guardare l’esito del talentshow «The voice», che sabato ha incoronato l’aspirante cantante araba Lina Makhloul preferendola alle concorrenti israeliane di fronte ai 16 mila ospiti del Palazzetto dello sport di Tel Aviv e a un paio di milioni di telespettatori, per capire come a volte il genere pop possa più di mezzo secolo di geopolitica applicata. Può darsi che la dotata commessa nata a Akko un anno dopo Oslo preferisca una o l’altra delle due narrative contrapposte su cui la terra santa si dissangua dal ’48, ma mescolando Leonard Cohen, Whitney Houston e la celeberrima libanese Fayruz ha dato scacco matto ai teorici dell’incomunicabilità.

Certo, i muri sono solidi e impastati di storia militare, pregiudizi reciproci, mappe inconciliabili e propaganda senza confini come nel caso del cartoon con il Mickey Mouse palestinese votato all’odio contro gli ebrei. Ma poi capita che ai Mondiali del 2006 gli arci-nemici si ritrovino a gridare in coro forza azzurri (i palestinesi tifano Italia da sempre e sei anni fa, secondo Maariv, almeno il 50% degli israeliani sosteneva il team Lippi).

«Israeliani e palestinesi non si combattono l’un l’altro ma combattono la paura» sostiene l’analista Ariel Katz, autrice di studi su quanto unisce i due popoli. Il dolore, ovviamente, come racconta l’associazione Parents Circle, un forum di genitori israeliani e palestinesi che hanno perso un figlio nel conflitto e promuovono il dialogo. La collaborazione economica, più intensa di quanto si voglia far credere. Poi c’è il «soft power», il potere dolce della cultura caro al politologo Joseph Nye che «contagia», anche loro malgrado, i vicini di casa.

Così, pochi in terra santa si stupirono quando i ribelli libici adottarono la canzone «Zenga Zenga», in cui il musicista israeliano Noy Alooshe irrideva Gheddafi. D’altra parte qualche anno prima era stato il figlio del colonnello Saif al Islam a sdoganare se non politicamente almeno esteticamente «i sionisti» fidanzandosi con l’attrice Orly Weinerman. Oggi sono gli avversari del regime siriano ad aver pescato «Zini» nel repertorio del menestrello ebreo-algerino Amir Benayoun e, sebbene Damasco vi denuncia lo zampino del Mossad, l’intonano a pieni polmoni battendosi contro le truppe di Assad.

L’«hard power», il potere forte delle armi, è molto rispettato in Medioriente. In pubblico, soprattutto. Su Facebook, invece, ha fatto scuola la pagina «Israel Loves Iran»: il gruppo «Israel Loves Palestine» conta già 9.400 membri e quello «Palestine Loves Israel» ne ha 11.800, condividono la voglia di abbuffarsi del proprio hummus in pace.

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