Sulla STAMPA di oggi, 24/03/2013, con il titolo "Spero in Obama, può dare la pace al Medio Oriente", Alain Elkann intervista Elie Wiesel.
Alain Elkann Elie Wiesel
Lo scrittore Elie Wiesel si trova in Florida, dove insegna Letteratura e Filosofia nella locale università. Che cosa pensa del viaggio del presidente Barack Obama in Israele?
«Seguendolo attraverso i media mi è sembrato quasi un viaggio di nozze. Mi è sembrato che tutto sia andato molto bene, anche se sarà necessario aspettare un po’ di tempo per capire qual è la verità».
Secondo lei qual era lo scopo del suo viaggio?
«Ogni presidente degli Stati Uniti ha cercato di farlo, forse il Presidente cerca una nuova opportunità».
Un’opportunità perché si raggiunga la pace?
«Penso che con questa guerra siamo andati troppo lontani. Non so che cosa succederà, ma spero che Obama riesca a tessere una vera trattativa di pace».
Nel primo mandato, Obama non le sembrava filo-israeliano?
«Forse non aveva dedicato particolare attenzione al problema: mentre per il Presidente Carter, per esempio, la pace in Medio Oriente era una vera passione e così riuscì a portare avanti le trattative tra Egitto e Israele. Obama, il primo presidente nero americano, forse durante il primo mandato aveva altre preoccupazioni, mentre ora sembra che la pace in Medio Oriente sia diventata per lui una priorità».
Ritiene che la Primavera araba abbia influenzato in qualche modo questo cambiamento?
«Non credo, penso che dipenda dalla Storia. Poi è difficile capire quali siano i piani che ha in mente Obama».
Che cosa pensa stia succedendo oggi nel mondo arabo?
«Lo vedo completamente dilaniato, lacerato, vi sono arabi che agiscono bene, altri male, la situazione laggiù è molto complicata, ma il Presidente degli Stati Uniti ha certamente un altro sguardo dal mio».
Che giudizio dà del nuovo Papa?
«Il nuovo Papa ha dato segni incoraggianti incontrando il rabbino capo italiano ed è bene che abbia posato lo sguardo sul problema della povertà».
Che cosa pensa delle dimissioni di Ratzinger?
«Non sono così sicuro che le ragioni che ha dato siano davvero quelle che lo hanno spinto a lasciare».
Come sta occupando attualmente il suo tempo?
«Come sempre continuo a insegnare all’università, poi sto scrivendo un lungo romanzo ma ci vorranno almeno due anni prima che lo concluda. Intanto, sono a metà di un saggio dal titolo “I miei maestri e i miei amici”».
Chi erano i suoi maestri?
«Lo scoprirà leggendo il libro, per ora non dico nulla».
Cosa pensa dell’Europa di oggi?
«Dagli Stati Uniti, dove vivo, ho l’impressione che come sempre sia troppo politicizzata».
E il ruolo della Germania?
«Certamente in questo momento è molto potente, e se resta tale nel segno della pace è un gran bene. Per ora ho l’impressione che si comporti in modo onorevole».
Non crede che il potere della Germania sia eccessivo?
«Non penso che la Germania cerchi di dominare gli altri Paesi e che voglia cambiare il proprio ruolo. Almeno al momento, ma naturalmente le cose possono sempre cambiare e quindi di conseguenza potrei anch’io cambiare idea».
Secondo lei che momento stiamo vivendo?
«Credo che tutto il mondo sia pervaso da inquietudine, un’inquietudine che è militare, psicologica, culturale. Anche perché ciò che accade in certi Paesi dell’Asia o dell’Africa è all’insegna del sangue e della atrocità».
In che senso inquietudine?
«È come se aspettassimo un segno di speranza, eppure sento un senso di angoscia che definirei quasi metafisica».
Le cose in America sono diverse rispetto all’Europa?
«Probabilmente l’America sente meno questo senso di angoscia».
Perché l’America tende a isolarsi, secondo lei?
«L’America per sua natura non può essere isolata, e si preoccupa sempre di ciò che succede in tutto il mondo».
Eppure ogni tanto si ha questa impressione ...
«No, non lo credo. Basti pensare a una persona che amo molto e che mi è vicina come Hillary Clinton. Durante il suo mandato come segretario di Stato ha visitato in pratica tutto il mondo. Per quale motivo l’avrebbe fatto se l’America non si interessasse al resto del Pianeta? Ritengo che il pensare a un’America isolazionista sia un’idea antica».
Lei come ebreo si sente più tranquillo negli Stati Uniti?
«Non si tratta di vivere meglio, il fatto è che la mia vita è qui dal 1956. In questo Paese si è svolta la mia carriera di scrittore».
Incontrerà il presidente Obama dopo il suo viaggio in Israele?
«Questo non lo posso dire, se mi chiamerà lo vedrò senz’altro».
Ma lei lo conosce bene?
«Lo conosco molto bene e ho fiducia in lui».
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