Il Ministero degli Affari Esteri israeliano ha un problema.
Analisi di Mordechai Kedar
(Traduzione dall’ebraico di Sally Zahav, versione italiana di Yehudit Weisz)
Mordechai Kedar Ministero degli Esteri, Gerusalemme
Alcuni mesi fa il Ministero degli Affari Esteri mi aveva inviato in un paese asiatico, per consigliare il governo a risolvere un problema molto serio riguardante la propria popolazione islamica. Il Ministero degli Affari Esteri aveva organizzato l’incontro sotto ogni aspetto, e l’ambasciatore israeliano mi aveva accompagnato personalmente a incontrare le autorità locali.
In quei giorni il Ministero degli Affari Esteri stava preparando un film promozionale su Israele con protagonista la top model Bar Rafaeli: la sua partecipazione al film aveva sollevato un’ondata di obiezioni, perché non aveva fatto il servizio militare. La partecipazione della famosa modella a un film prodotto ufficialmente dallo Stato di Israele poteva essere interpretata come messaggio di comprensione nei confronti di chi non ha servito nell’IDF. Soprattutto quando la discussione sulla “ giusta condivisione dei doveri” è diventata un mantra politico,
Tzahal ha chiesto al Ministero degli Affari Esteri di non presentare come esempio chi ha evitato di fare il servizio militare. Ma questo non è parso un problema, mentre invece rivela quale aria tira in quel Ministero, dove chi ci lavora è un dipendente dello Stato, non viene nominato dal ministro, ma vi entra dopo avere ottenuto una regolare laurea prima dell’assunzione. Questo avrebbe dovuto produrre uno staff di professionisti di alto livello, in grado di attuare le decisioni del governo con professionalità e fedeltà, e senza entrare in merito a discussioni.
Il Ministero degli Affari Esteri riflette un modello sociale superato, la realtà è oggi completamente diversa. Il profilo sociale dei funzionari si adatta ancora perfettamente al modello degli “Akhusalim” – un acronimo coniato dal sociologo Baruch Kimmerling, che aveva descritto lo Stato di Israele degli anni ‘ 70 come un paese governato da un gruppo elitario di ashkenaziti (gli ebrei di origine europea), laici, membri della vecchia guardia socialista e nazionalista.
In generale, l’agenda politica, sociale, diplomatica e culturale del personale del Ministero degli Affari Esteri si poteva identificare al Partito Laburista (simile all’attuale Meretz) più che a quella del Likud, che dal 1977 a oggi è stato alla guida di molti governi. Tra i dipendenti del Ministero, la proporzione di religiosi, ultra-ortodossi e arabi è significativamente inferiore rispetto a quella presente nella popolazione dello Stato. Ne è risultato che Avigdor Lieberman, un Ministro degli Esteri della destra, ha trovato difficoltà a imporre la propria agenda politica ai diplomatici per la semplice ragione che non poteva nominare chi voleva.
Nel governo, Primo Ministro e Ministro degli Affari Esteri, possono designare non più di undici persone all’interno del Ministero, dal livello di ambasciatore fino all’ultimo impiegato, per cui a un ministro che non riesce a formare la propria squadra in posizioni chiave, sarà difficile controllare ciò che succede nel proprio ministero. La mia sensazione è che Lieberman sia stato “persona non gradita” agli occhi di molti funzionari.
Il Ministero degli Affari Esteri, infatti, non è fedele alle politiche del governo e del Primo Ministro. L’agenda politica dello staff del Ministero (MAE) ha dato origine a una situazione assurda. E’ il Ministero, nonostante il Primo Ministro sia tutt’altro che all’unisono con i propri funzionari, ad essere il portavoce della politica del Primo Ministro. In più è responsabile dell’ Hasbarà (come diffondere le informazioni nelle pubbliche relazioni), con il compito di spiegare le decisioni del governo.
Questa incongruenza è diventata evidente nei primi anni 2000, quando il Primo Ministro era Ariel Sharon e il Ministro degli Affari Esteri Shimon Peres. Con il passare degli anni, il Ministero degli Affari Esteri ha adottato un linguaggio politico che non riflette la politica del governo, usando espressioni come " territori occupati " (invece che contesi), "insediamenti ” (al posto di comunità), “ popolo palestinese " ,perfino Azmi Bishara, ex membro arabo della Knesset, fuggito da Israele dopo essere stato sospettato di aver fornito informazioni al nemico in tempo di guerra, non lo ritiene tale.
Il Ministero degli Affari Esteri ha trascurato il parere del Prof. Yehuda Blum, che fu consulente legale del Ministero e rappresentante di Israele alle Nazioni Unite, il quale aveva dimostrato, secondo il diritto internazionale, che i “territori” non sono occupati, per non parlare dei documenti che garantiscono i diritti del popolo ebraico e la sua sovranità su tutta la Terra d’Israele, come ad esempio la decisione presa nella Conferenza internazionale di San Remo nel 1920.
Nel corso degli ultimi anni ho personalmente percepito questo modo di pensare tra non pochi membri del personale del Ministero degli Affari Esteri. Alla fine dell’anno 2000, quando i terroristi palestinesi avevano ricominciato a far saltare in aria i nostri autobus con i relativi passeggeri, avevo scritto un breve articolo in inglese sul mondo che circonda la figura del “martire”, e sulla ricompensa che lo aspetta in Paradiso dopo che ha portato a termine con successo la sua missione. Avevo inviato l’articolo a un alto funzionario che era allora responsabile del settore “Hasbarà”, ritenendo che l’avrebbe inviato ai diplomatici israeliani all’estero, per diffonderlo tramite le ambasciate ai media locali. Dopo alcuni giorni chiesi a un funzionario se il mio articolo era stato inviato, ma mi venne detto “abbiamo deciso di non farne alcun uso”. “ Perché? ”, obiettai,e il funzionario mi rispose “ non dobbiamo lasciarci coinvolgere in problemi che riguardano le fedi degli altri, non è nostro compito giudicare le loro culture ”. Io reagii “ amico mio, ma veniamo uccisi sugli autobus a causa di quelle culture e di quella fede ! ”. “Comunque sia” mi rispose “questa è la nostra decisione finale”.
Passarono due anni e il Ministero degli Affari Esteri iniziò a pubblicare terribili fotografie degli attacchi terroristici, ma solo su Internet. Il fedele funzionario è stato promosso, e oggi occupa un ruolo di alto livello nel Ministero.
Un altro esempio, sempre al Ministero degli Esteri, riguarda la politica di Israele nei confronti dei palestinesi. Sono stato testimone quando alcuni funzionari dicevano: “ Dobbiamo indirizzare il governo ad adottare la politica che noi pensiamo sia corretta ”. In questo caso, “ la politica corretta ”, era la creazione di uno Stato palestinese con contiguità territoriali, con lievi variazioni, sulla base dei confini del 1948. Il significato di tutto questo è che i funzionari del Ministero degli Affari Esteri, pur essendo dipendenti pubblici, si ritengono essi stessi gli architetti della politica governativa, anzichè dei funzionari che devono mettere in atto le decisioni del Primo Ministro e del Ministro degli Affari Esteri, che sono stati, non dimentichiamolo, eletti dal popolo.
Chi fra i miei lettori segue il programma britannico “Yes, Minister” e il suo seguito “Yes, Prime Minister”, sa esattamente quello che voglio dire: il Ministro ha un’agenda, ma il ruolo degli alti funzionari che ne deriva non è quello di realizzarla, bensì quello di orientarla nella direzione che loro stessi ritengono sia quella giusta. Al Ministro vengono inviate le informazioni scelte dai funzionari, così lui ritiene di prendere le decisioni in modo indipendente.
Il Ministero degli Esgteri è poi poco efficiente in materia di Hasbarà.
Un problema che riguarda le attività del Ministero degli Affari Esteri, attiene al tema dell’Hasbarà. Il fatto stesso che il precedente governo israeliano avesse deciso di istituire un Ministero separato per affrontare l’informazione (e la diaspora), dimostra che agli Affari Esteri esiste un problema.
Anche se questa decisione era stata presa per conferire un incarico a una persona importante, l’istituzione di un Ministero dell’Hasbarà indica una certa mancanza di fiducia da parte del Primo Ministro nei funzionari del Ministero per gli Affari Esteri, che dovrebbero essere loro i referenti per l’Hasbarà.
Che non abbiano fatto dimostrazioni né siano scesi in sciopero per ostacolarla può far pensare che abbiano persino sostenuto tranquillamente la creazione di questo nuovo ministero, io penso piuttosto che non la condividano.
Questo potrebbe anche spiegare il fatto che il Ministero degli Affari Esteri non fa alcuno sforzo per creare un canale televisivo israeliano via satellite, sia in inglese che in arabo.
Il rapporto della Commissione Agranat sulle attività governative durante la Seconda Guerra del Libano (2006), aveva anche riportato gli insuccessi in materia di Hasbarà, allora sotto la responsabilità del Ministro degli Esteri Tzipi Livni.
Il rapporto si concludeva con la necessità di istituire un ufficio di portavoce per l’Hasbarà all’interno dell’ufficio del Primo Ministro, una specie di quartier generale responsabile per tutte le altre agenzie, come quelle che operano presso il Ministero degli Affari Esteri, l’IDF e il Ministero della Sicurezza Interna. Il fatto che si dovesse creare questa struttura dimostra che ci sono dei problemi all’interno del Ministero degli Affari Esteri, e soprattutto che la sua agenda funziona in modo separato. Lo si deduce dal fatto i funzionari, i cui punti di vista sono opposti a quelli del governo, parlano in realtà in nome del governo e del Primo Ministro.
Il miglioramento dei mezzi di comunicazione erode oggi l’importanza del Ministero degli Affari Esteri. La questione di un’agenda separata non è l’unico problema del Ministero. E’ sempre più evidente il generale declino della sua importanza, perché viviamo in un’epoca in cui ogni giorno i Capi di Stato si parlano tra loro con i telefoni cellulari e prendono decisioni in materia politica senza coinvolgere gli ambasciatori.
Viviamo in un’epoca in cui la compartecipazione tra gli Stati in molti campi diversi (economia, finanza, cultura, sicurezza ecc.) è regolarmente effettuata senza il coinvolgimento del Ministero degli Affari Esteri-
Vicviamo in un’epoca in cui ogni cittadino che pubblicizzi o distribuisca un testo, un articolo o una fotografia su Internet, diventa un portavoce nazionale.
Viviamo in un’epoca in cui i mezzi di comunicazione passano sulle teste dei funzionari della burocrazia e portano le parole del governo e del Primo Ministro in tutto il mondo, un’epoca in cui l’ambasciatore di un paese è più che altro un funzionario che si occupa di eseguire ciò che gli altri gli chiedono di fare. Quanti sono gli israeliani che conoscono i nomi degli ambasciatori di Israele a Parigi, Londra o Mosca?
La conclusione da trarre da questa analisi, è che a causa dei cambiamenti esterni e per il modo in cui il Ministero degli Affari Esteri israeliano funziona, questa istituzione è diventata un centro di scarsa importanza, poco influente su ciò che accade all’interno di Israele così come nelle relazioni internazionali con gli altri paesi. Ritengo i Ministeri della Sanità, dei Trasporti, delle Infrastrutture e degli Interni assai più importanti, influenti e significativi per i problemi attuali e futuri che devono essere affrontati dallo Stato di Israele.
Forse è arrivato il momento di dire apertamente che il Ministero degli Affari Esteri è diventato niente di più che il coordinatore delle attività del governo nei paesi stranieri. Attualmente, i rappresentanti di Israele fungono da base per le attività professionali di altri ministeri - interni, sicurezza e IDF, industria, commercio e turismo, polizia - mentre la funzione diplomatica di un ambasciatore è stata notevolmente limitata.
Per riorganizzare lo staff del Ministero degli Affari Esteri affinché svolga un lavoro più significativo ed efficace Il governo dovrebbe tenere il Ministero degli Affari Esteri al di fuori della cerchia dei processi decisionali veri e importanti.
Un ministero il cui approccio intellettuale è impantanato nell’agenda politica di una minoranza, diventa sempre meno rilevante nel momento in cui i sognatori della scuola di Shimon Peres e il “ Nuovo Medio Oriente ” sono presi a schiaffi in faccia dalla realtà mediorientale.
Propongo un riesame del bilancio del Ministero per gli Affari Esteri e le posizioni dello staff, per indirizzarli verso sbocchi più importanti, efficaci e pertinenti per il popolo israeliano, dopo l’era delle regole degli “Akhusalim”.
Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi. Link: http://eightstatesolution.com/
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