Riportiamo da SHALOM di marzo, a pag. 9, l'articolo di David Meghnagi dal titolo "Il lento e faticoso sviluppo del dialogo ebraico cristiano".
David Meghnagi
Molti anni fa durante un ricovero in ospedale, avevo fatto amicizia con un giovane di leva che aveva subito per un grave incidente la perdita di un dito della mano. Il ragazzo con cui dividevo la stanza d’ospedale insieme a un altro ricoverato, si era affezionato. Si rivolgeva a me con amicizia per dei consigli. Mia madre era ancora viva. Un giorno facendomi visita, portò del pane caldo preparato in casa. Ne offersi un pezzo al giovane. Ma a differenza che in altre occasioni in cui aveva accettato della frutta, la reazione fu differente. Con disagio mi disse che non aveva appetito. Era evidente che si trattava di una bugia e che nascondeva dell’altro. Il riflesso condizionato della salivazione e della deglutinazione alla vista del pane, il modo goffo con cui mi aveva risposto, il disagio che trapelava dal suo viso come se avesse qualcosa da nascondere, mi confermava nella convinzione che il motivo era un altro.
Ero di fronte alla manifestazione viva di un’antica credenza che per secoli aveva trasformato la vita degli ebrei europei in un incubo: l’accusa falsa di omicidio rituale per la preparazione delle azzime della Pasqua ebraica. Guardandolo in viso, con toni pacati e rassicuranti, gli dissi “Guarda, che è solo del pane. Non è fatto, come forse qualcuno ti ha raccontato, con il sangue dei bambini”. Il giovane trasecolò. Come potevo aver letto nel suo pensiero? Nelle nostre conversazioni non avevamo mai parlato di ebraismo e di ebrei. Come avevo fatto a capire che egli si era informato sulla mia appartenenza ebraica? Un po’ spaventato dalla mia possibile reazione, si scusò.
Non aveva mai incontrato degli ebrei in vita sua e questa storia, così disse, l’aveva sentita da ragazzo. Il clima conviviale che si era creato fra noi nei giorni precedenti, poteva finire lì. In realtà per un mio atto intenzionale stava per iniziare. L’intenzionalità è in questi casi la condizione perché l’interlocutore diventi tale e si sviluppi poi un processo di cambiamento reale sia sul piano cognitivo che su quello emotivo. Avendo ottenuto la sua reciprocità, era possibile creare uno spazio di pensiero condiviso che andasse oltre il pregiudizio e gli stereotipi di cui era inconsapevolmente prigioniero. Ero una persona che avrebbe dovuto sentirsi duramente offesa e che invece di por fine alla conversazione gli spiegava l’origine di quel delirio. Desideroso di annullare la ferita che aveva potuto arrecarmi, il giovane mi chiese di poter assaggiare il pane preparato da mia madre. Mangiandolo, disse che era proprio buono e che non riusciva a capacitarsi del suo iniziale rifiuto a mangiare del pane preparato da ebrei. Gli risposi che quando si spezza il pane mescolandolo con il sale, vuol dire che qualcosa di nuovo è accaduto.
Se due persone spezzano insieme il pane, vuol dire che non sono più degli estranei. Il giovane mi guardò commosso. Era molto dispiaciuto all’idea che potesse avermi ferito e il fatto che io non lo avessi respinto, ma gli avessi spiegato l’origine di quella folle credenza, lo aveva rincuorato. Gli ebrei non erano come li aveva prima immaginati. A quell’epoca il libro di Ariel Toaff con la sua triste capitolazione a un’accusa falsa e criminale, non era ancora stato pubblicato. Se quel triste libro fosse stato disponibile, avrei potuto aggiungere che la fascinazione per credenze false e criminali può essere tale, da catturare anche la mente delle sue vittime predestinate. Fu in quel momento che pensai di approfondire la materia in una prospettiva psicoanalitica e culturale più ampia che hanno poi trovato spazio nel mio libro sul Freud e l’ebraismo (Marsilio 1992). Per secoli l'antigiudaismo cristiano ha fatto degli ebrei la personificazione di proiezioni aggressive collegate all'immagine di un bambino interno morto trasformato in divinità. Nel racconto biblico i primogeniti ebrei sono risparmiati.
L’angelo della morte li risparmia. Al loro posto muoiono i primogeniti egizi. È questa la risposta divina alla volontà del faraone di uccidere tutti i bambini ebrei. Il racconto della morte dei primogeniti egizi è solo un racconto religioso che appartiene alla notte dei tempi e che la tradizione religiosa ebraica ha caricato di significati mediante una complessa drammatizzazione liturgica, di cui il digiuno dei primogeniti ebrei nel giorno della vigilia di Pesach è un importante elemento. L’altro grande momento di questa drammatizzazione è rappresentato dalla dispersione del vaso contenente il vino versato a simbolo delle dieci piaghe che colpirono l’Egitto, dopo la lettura del brano più drammatico della Haggadah. Con saggezza profonda i Maestri del Talmud si erano ritenuti in obbligo di smussarne i toni con un racconto di segno opposto in cui Dio vieta agli angeli di unirsi al coro di Israele di fronte al miracolo del Mar Rosso. In terra i popoli oppressi finalmente liberi hanno diritto a festeggiare, ma in cielo il Signore non può gioire. Gli egizi che, per volontà divina, annegano nei flutti del mare, sono anch’essi figli suoi.
Nel cristianesimo, per una serie di ragioni storiche, culturali e religiose, il mito ha invaso la realtà, o meglio la realtà è stata inflazionata da un mito. L'immagine di un dio che muore per redimere l'umanità intera non è rimasta solo ed esclusivamente un simbolo di rinascita proprio di una religione misterica. Il dio che diventa uomo e muore per espiare i peccati dell’umanità intera è diventato un dio della cui morte era responsabile il popolo all’interno del quale era venuto al mondo. Non avendo accettato di dissolversi come tali, avendo conservato la loro identità, gli ebrei erano diventati agli occhi dei loro persecutori collettivamente colpevoli. La loro era una colpa ontologica. Non per quello che facevano, ma per il fatto di essere. Da qui l’accusa di omicidio rituale. A differenza che con i pagani che erano convertiti a forza o sterminati, gli ebrei dovevano rappresentare con la loro condizione umiliata il trionfo della nuova religione.
L'immagine della donna bendata (la Sinagoga) faceva da contraltare alla donna che vede e avanza trionfante perché possiede la verità (la Chiesa). Chi ha modellato questa coreografia rituale e religiosa, rappresentata nella chiesa di Strasburgo, è stato giocato dal suo inconscio. Nel racconto mitico Tiresia vede più a fondo perché è cieco. Come nel mito della caverna di Platone, il disvelamento del mondo delle idee richiede di andare oltre l’inganno dei sensi. Nel mito cristiano della salvezza era presente un'altra lettura, più profonda e dal punto di vista teologico più coerente. Il “peccato originale” per il quale secondo la teologia cristiana il “Figlio di Dio” si era fatto uomo, sacrificandosi, riguardava l’umanità nel suo insieme. Pertanto la responsabilità della morte del “Figlio di Dio”, riguardava indistintamente tutti gli esseri umani. Non è stata questa purtroppo la lettura che ha prevalso per secoli nella pratica quotidiana.
Nel Contra Faustum, Agostino non rinunciò a leggere il racconto biblico del primo fratricidio umano di Caino contro Abele nei termini di una parabola prefigurante della vicenda che in seguito è stata descritta nei Vangeli. In quest’ottica gli ebrei erano già in partenza da considerarsi “Caino” e perciò stesso “destinati” alla sorte di reietti e di paria. In questa perversa logica, aspetti non secondari dell'antigiudaismo gnostico e del marcionismo avevano trovato una legittimazione nuova con la contrapposizione ideologica tra il "Vecchio" e il “Nuovo” Testamento, tra il Dio “vendicativo” degli ebrei e quello “buono” dei cristiani.
Il rovesciamento speculare tra mito e realtà è stato talmente devastante che la revisione dell'insegnamento cristiano ha avuto inizio soltanto dopo lo sterminio di oltre un milione di bambini ebrei nel cuore dell’Europa cristiana. Il cambiamento non fu immediato e seguì di pari passo il processo di cambiamento della percezione del significato che la tragedia della Shoah ha avuto nella storia del Ventesimo secolo. Il radicamento di questa falsa credenza nei secoli, è stata tale che all’indomani della Seconda guerra mondiale, in Polonia fu utilizzata per giustificare un violento pogrom contro i pochi ebrei sopravvissuti che tentavano di rientrare nelle loro case occupate da altri, o erano in attesa di abbandonare per sempre il loro paese. Nella Russia zarista l’accusa impazzava agli inizi del Novecento. A Damasco in Siria, verso la metà dell’Ottocento, contribuì a minare le condizioni di vita degli ebrei locali. Respinta sul piano storico e su quello teologico, questa credenza criminale non ha smesso di mietere vittime. Impazza nelle caricature antisemite dei giornali arabi che la utilizzano per alimentare l’odio contro Israele e gli ebrei. In forme più attenuate e mascherate, la sua eco è rintracciabile, come sfondo mitico, nella demonizzazione politica e culturale di Israele identificato come “Stato paria” la cui esistenza è considerata “illegittima”.
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