Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 22/02/2013, a pag. 12, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo "Obama a Ramallah: negoziati subito".
Maurizio Molinari Barack Obama con Abu Mazen
Una protesta contro Obama a Ramallah (immagine ripresa da Google, un cartello curiosamente con citazione latina e dietro una in inglese.. non pare una manifestazione cosi' spontanea)
Accolto a Ramallah dalle cornamuse della guardia d’onore palestinese, Barack Obama propone ad Abu Mazen una «ripresa immediata dei negoziati diretti con Israele senza precondizioni». I colloqui fra i due leader alla Muqata, sede della presidenza palestinese, si svolgono protetti da dozzine di tiratori scelti americani e alla presenza dei più stretti consiglieri sul Medio Oriente - il segretario di Stato John Kerry e il premier palestinese Salam Fayyad - e la mossa di Washington contiene un cambiamento di approccio rispetto a quanto sostenuto negli ultimi quattro anni. «La pace è ancora possibile ma resta difficile perché per i leader politici che trattano è difficile siglare i compromessi necessari all’intesa finale», spiega Obama, arrivando alla conclusione che i colloqui devono riprendere «anche in presenza di fatti irritanti per le parti». Ovvero, gli insediamenti per i palestinesi e i lanci di razzi da Gaza per Israele, come quelli avvenuti ieri.
Ciò significa che gli Usa non condividono la richiesta di Abu Mazen ad Israele di interrompere la costruzione di insediamenti per riprendere le trattative interrotte nel 2010. «Ciò che conta è che Israele sia d’accordo sulla nascita dello Stato di Palestina e che i palestinesi siano d’accordo sulla necessità di Israele di vivere in sicurezza», aggiunge Obama spiegando che tale convergenza «sulle questioni di fondo» basta per «tornare a trattare».
Per la leadership palestinese è una doccia fredda perché la richiesta di stop alle costruzioni in Cisgiordania e Gerusalemme Est è maturata sulla scia di analoghe posizioni americane. Ma la Casa Bianca cambia tattica. Lo spiega uno dei consiglieri Usa: «Le parti devono tornare a vedersi per discutere di tutte le questioni di fondo senza precondizioni», dice, riferendosi a sicurezza, confini, status di Gerusalemme e rifugiati. Ciò non toglie che Washington rimanga contraria agli insediamenti. «Sono controproducenti ai fini della pace», sottolinea Obama, riferendosi in particolare a quelli del settore «E1» di Gerusalemme Est. Ma la richiesta di fermarli a priori cade, facendo venire meno il maggior motivo di tensione con Israele.
Se Obama è convinto dell’approccio «discutere subito le questioni più importanti» è perché ritiene che «l’accordo quadro» esiste già, frutto di oltre venti anni di negoziati, ed è «più facile arrivarci direttamente». Da qui la decisione di affidare a Kerry, a partire da sabato, il compito di tornare a Gerusalemme e Ramallah per «far iniziare il dialogo teso ad arrivare alla soluzione dei due Stati visto che è l’unica possibile». Davanti all’accelerazione Usa, Abu Mazen mette le mani avanti: «Gli insediamenti sono considerati illegali dall’Onu e Israele almeno affermava di volerli fermare». Netanyahu invece tace, preparandosi ad un negoziato destinato a mettere a dura prova la tenuta del governo appena formato.
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