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Informazione Corretta Rassegna Stampa
17.03.2013 Il New York Times contro l’idea stessa di uno Stato ebraico
Commento di Giulio Meotti

Testata: Informazione Corretta
Data: 17 marzo 2013
Pagina: 1
Autore: Giulio Meotti
Titolo: «Il New York Times contro l’idea stessa di uno Stato ebraico»

Il New York Times contro l’idea stessa di uno Stato ebraico
Commento di Giulio Meotti

 (Traduzione di Yehudit Weisz)

 http://www.israelnationalnews.com/Articles/Article.aspx/13010

Gli articoli del New York Times non stanno più attaccando l’”occupazione”, ma l’idea stessa di uno Stato ebraico. Il New York Times è diventato il giornale ufficiale dei detrattori occidentali di Israele. Nel suo ultimo articolo Joseph Levine ha affermato che Israele non ha il diritto di esistere e che la storia dovrebbe essere rovesciata: “Concludo, quindi, che l’idea stessa di uno Stato ebraico è antidemocratica, è una violazione ai diritti di autodeterminazione dei suoi cittadini non ebrei , e quindi moralmente problematica”.

Gli incessanti attacchi del New York Times potrebbero davvero portare verso la fine della sovranità israeliana. Secondo il razzista Levine, le “specie indigene” sono originarie di quel determinato luogo cui esse poi “appartengono”. Quindi la “colonizzazione” di Israele minaccia l’ambiente che in “origine”era arabo. Questo è nazismo puro e semplice. I detrattori di Israele del New York Times utilizzano uno stile simile al linguaggio usato dagli antisemiti di tutto il mondo: Israele non deve godere dei diritti riconosciuti agli altri popoli.

Gli articoli del New York Times non stanno più attaccando l’”occupazione” ma l’idea stessa di uno Stato ebraico. L’incitamento contro il sionismo è compulsivo, pieno di mezze verità e di malcelata isteria. Il New York Times ha ospitato un articolo di Rashid Khalidi, sostenitore dell’OLP e militante anti-sionista della Columbia University. Nel suo ultimo articolo, accusa Israele di essere un alieno, un’entità coloniale, pargonandolo all’apartheid del Sud Africa. Al New York Times c’è anche chi non sostiene apertamente di annientare Israele, ma fa in modo di rimuovere qualsiasi straccio di giustificazione per sostenerlo, seguendo alcune regole elementari: promuovere il mito della “moderazione”palestinese, riabilitando i gruppi terroristici e demonizzando i “coloni”.

Come nel 1930 al fine di evitare di essere visto come un giornale “ebraico”, il New York Times aveva minimizzato il genocidio nazista degli ebrei europei, così oggi Thomas Friedman, Roger Cohen (l’alleato di Teheran) e Nicolas Kristof sono i giornalisti ebrei che stanno guidando la demonizzazione di Israele, lodando sfacciatamente la “primavera araba” e il “pragmatismo” dell’Iran. Thomas Friedman ha un ruolo importante nel plasmare il piano di Obama affinchè Israele ritorni alla linea di armistizio pre-1967, quella che Abba Eban aveva soprannominato i “confini di Auschwitz”. E’ stato Friedman ad aver scritto che la Casa Bianca è “disgustata” dagli interlocutori israeliani. Il famoso giornalista ebreo è sempre stato un militante sostenitore della causa palestinese. Secondo lui, i coloni israeliani sono “un cancro per il popolo ebraico” e quelli che “collaborano” alla costruzione degli insediamenti sono “nemici della pace” e, niente di meno, “nemici dell’interesse nazionale degli Stati Uniti”.

“Quel che i coloni israeliani e i terroristi suicidi palestinesi hanno in comune è che gli uni stanno insistendo per il massimo uso della forza contro gli altri”, aveva scritto dopo l’assassinio del giovane studente Kobi Mandell. Secondo Friedman costruire una casa sul territorio conteso è di fatto l’equivalente morale dell’uccisione di ebrei, anche in età scolare. Mettere i due aspetti sullo stesso piano, come fa sempre Friedman, crea demonizzazione. All’età di quattordici anni Kobi, insieme al suo amico Yosef Ishran, è stato immobilizzato e lapidato a morte, il suo corpo nascosto in una grotta. I terroristi si erano impregnati le mani del suo sangue con ilquale avevano imbrattato le pareti della grotta. Friedman ha anche attraversato il Rubicone, quando aveva sostenuto che “il denaro ebraico” (notare: non il denaro israeliano) avesse indotto la standing ovation di tutto il Congresso, democratici e repubblicani insieme, dedicata al Primo Ministro di Israele, Benjamin Netanyahu.

Già nel 1929, durante le rivolte arabe, il corrispondente locale del New York Times, Joseph Levy si era vantato di essere un convinto anti-sionista. Ottant’anni dopo, quando i Fogel sono stati massacrati a Itamar, il New York Times ha deciso di non mettere la notizia in prima pagina né fare commenti. E come dimenticare il titolo, “Farisei sul Potomac”, dell’editorialista Maureen Dowd su quel che considerava l’ipocrisia morale del Partito Repubblicano?

 Ogni mattina, aprendo il New York Times, il lettore vi trova accurati riferimenti alla Shoah, la dimostrazione più estrema dell’impotenza ebraica, che però, mentre avveniva venivano ignorati o impaginati nelle ultime pagine del giornale. con articoli come quello di Peter Beinart dal titolo “Per salvare Israele, boicotta gli insediamenti”.

 Mentre ricorda l’uccisione di 6.000.000 di ebrei nella Shoah, il New York Times si augurta una punizione collettiva per 600.000 ebrei vivi nei ‘’territori’’ . Nulla stimola di più la violenza contro “i coloni” di quell’uso della Shoah. Gli accaniti sostenitori dell’OLP e i suoi propagandisti del New York Times sono i descendenti di uno dei giornalisti più celebri del suo tempo, il primo vincitore del Premio Pulitzer, Walter Duranty, che negli anni Trenta aveva condizionato il pubblico americano con colossali bugie sulla carestia in Ucraina.
Per convincere il mondo che la versione di Stalin era quella vera, le fandonie di Duranty costarono milioni di vite alla popolazione sovietica.

Il New York Times ignora costantemente l’antisemitismo genocida che guida Hamas e Hezbollah, che descrive come gruppi “militanti” interessati al benessere sociale dei palestinesi e dei libanesi. Gli articoli da Jenin, Nablus, Tulkarem e Betlemme durante la Seconda Intifada, avrebbero potuto essere adatti ai talebani nelle grotte afgane. I terroristi palestinesi sono stati descritti come combattenti per la libertà mentre andavano incontro al loro nobile destino. La linea favorevole del New York Times incoraggia gli arabi a credere di poterla fare franca, poiché l’omicidio gli viene condonato.
Rafforzando l’affermazione islamica secondo cui coloro che sono morti sul Monte del Tempio erano dei martiri a difesa dei luoghi santi, falciati dalle selvagge, non provocate, autorità israeliane, il New York Times ha anche aizzato milioni di musulmani contro Israele. Chiamando la zona “sito musulmano” e omettendo ogni riferimento al Monte del Tempio o a un suo legame con l’ebraismo, il New York Times ha convinto il mondo che Ariel Sharon aveva calpestato un luogo sacro al solo islam, contribuendo a innescare la Seconda Intifada.

Come l’ultimo articolo di Levine dimostra, il New York Times è un quotidiano cripto-nazista il cui messaggio, puro e semplice, è: “Ebrei, tornatevene a casa, di nuovo”. C’è un festival Klezmer a Cracovia quest’anno, approfittatene.

Giulio Meotti è l'autore di " Non smetteremo di danzare " (Lindau Ed.) pubblicato in inglese con il titolo " A New Shoah", scrive per Yediot Aharonot, Wall Street Journal, Arutz Sheva, FrontPage Mag,The Jerusalem Post, Il Foglio. Informazione Corretta pubblica in lingua italiana - nella rubrica “Meotti International”-  i suoi articoli scritti in inglese per le testate sopra citate.


http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90

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