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Il Foglio Rassegna Stampa
16.03.2013 Novità sul fronte Turchia-Curdi
Analisi di Carlo Panella

Testata: Il Foglio
Data: 16 marzo 2013
Pagina: 3
Autore: Carlo Panella
Titolo: «La road map della pace tra i curdi e la Turchia sa di petrolio»

Sul FOGLIO di oggi, 16/03/2013, a pag.3, con iltitolo ''La road map della pace tra i curdi e la Turchia sa di petrolio'', l'analisi di Carlo Panella sui rapporti tra Tuchia e Curdi.

 
Carlo Panella

Roma. Otto militari turchi ostaggi del Pkk, il partito curdo di Abdullah Ocalan, sono stati liberati due giorni fa e consegnati in Iraq, al di là del valico di Mazlum Der, a una delegazione guidata da due deputati turcocurdi del partito Bdp. L’avvenimento, la cui dinamica è stata minuziosamente concordata tra i dirigenti del Pkk e il governo Erdogan, è di portata storica. E’ il primo atto di pace tra la Turchia e il Pkk e segna l’inizio del “percorso di Imrali”, che prevede una road map per giungere alla fine di una guerra tra Pkk e Turchia che in 30 anni ha fatto 40 mila vittime. Imrali è il nome dell’isola nel mar di Marmara in cui sorge il carcere di massima sicurezza (una sorta di Alcatraz) in cui è rinchiuso dal 1998 Abdullah Ocalan. A partire dal 17 novembre 2012 la cella di Ocalan è stata sede di intensissimi contatti tra i dirigenti del Mit (il servizio segreto di Ankara), deputati turco-curdi del Bdp e alditri emissari. La trattativa, inconcepibile sino a pochi mesi prima, è iniziata – con apparente contraddizione – proprio al culmine di un inasprimento dei combattimenti tra il Pkk e l’esercito turco. Ma è intervenuto un fatto nuovo che che ha imposto prima una tregua e poi l’inizio della trattativa per la pace. E’ infatti accaduto che il presidente curdo dell’Iraq Jalal Talabani e il presidente della regione del Kurdistan iracheno Massud Barzani hanno concluso col governo di Erdogan un fondamentale accordo commerciale per la esportazione del petrolio estratto nel Kurdistan iracheno verso la Turchia e non più verso i terminali iracheni del Golfo arabico. L’accordo è considerato illegale dal governo di Baghdad e il premier Nuri al Maliki ha inviato truppe speciali ai confini del Kurdistan iracheno (che hanno avuto alcuni scontri a fuoco con i peshmerga iracheni di Barzani), accusando la Turchia di “creare una crisi irreparabile tra i due paesi” sottraendo a Baghdad il potere aldi commercializzare il petrolio del Kurdistan iracheno. Tayyp Erdogan ha però risposto con uguale durezza e si è fatto personalmente garante della concretizzazione di questi accordi petroliferi che peraltro completano l’integrazione economica del Kurdistan iracheno (in cui le holding turche hanno investito miliardi di dollari) nel complesso economico della Turchia. Base strutturale non già per una secessione del Kurdistan iracheno, ma per una sua effettiva autonomia, in ambito federale, dall’Iraq. Da parte sua, la Turchia, grazie a questi accordi, si garantisce un nuovo, strategico, afflusso energetico proprio nel momento in cui sono in crisi i suoi rapporti con l’Iran, a causa dell’appoggio di Erdogan alla rivolta contro il regime siriano, alleato di Teheran. Talabani e Barzani, hanno però imposto che parte integrante di questi accordi petroliferi sia il ribaltamento della posizione turca nei confronti della “questione curda” e quindi del Pkk (su cui sono parimenti intervenuti per imporre la trattativa, forti del fatto che i suoi “santuari” sono nel Kurdistan iracheno). Erdogan ha accettato di pagare questo prezzo e si è addirittura dichiarato disposto a “bere del veleno, pur di arrivare ad una soluzione del conflitto”. Il veleno, sempre rifiutato da tutti i governi turchi, consiste essenzialmente nella riforma della Costituzione turca (come richiesto da Ocalan) che introduca uno statuto autonomo per il Kurdistan turco, ovviamente non prima della fine di ogni atto di ostilità. Il primo passo di questa pacificazione è stata la liberazione degli 8 ostaggi, a cui seguirà il disarmo, in forma pubblica, di 100 pshmerga del Pkk. Poi, seguiranno altri passi di una inaspettata de-escalation che è peraltro indispensabile per evitare che la caduta del regime del siriano Assad inneschi un nuovo focolaio di guerra nel piccolo, ma strategico, Kurdistan siriano.

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