Pubblichiamo il testo dell’intervento di Fiamma Nirenstein durante l’incontro con le Associazioni Italia-Israele del Piemonte, tenutosi ieri a Torino, nel quale le è stato riconosciuto il ruolo che ha avuto nell’ultima legislatura, cinque anni di lavoro incessante. Il suo non è un addio, continuerà da Gerusalemme la sua, nostra battaglia in difesa di Israele.
Fiamma Nirenstein
Grazie cari amici di Torino e Piemonte. Un’esperienza si è conclusa per me, ed è bello vedere la propria fatica premiata, riconosciuta. E’ straordinario anche, in quest’Italia delle ipocrisie e del politically correct che in questo ci sia sincerità, non compaia affettazione, non desiderio di apparire. In genere le celebrazioni hanno un secondo fine, vi si celebra il proprio conformismo, qualche idea che piaccia alla gente, che serva per il futuro. Qui non è così. Voi premiate una persona che ha nuotato contro corrente, penso di poterlo affermare senza falso orgoglio. In genere un ebreo riceve molto onore nel Giorno della Memoria, nel ricordo degli ebrei uccisi, o anche per esempio quando in maniera generica , con piglio universalistico, si parla di “diversi” di “oppressi” di “perseguitati” facendo un gran minestrone. Un esempio: uno, il servizio di Rai 3 sulla giornata internazionale dei Giusti indetta dall’Unione Europea. Non c’è stato verso di udire la parola ebrei in cinque minuti circa, non si è detto che i bambini uccisi a Marsiglia erano vittime dell’antisemitismo islamista. Fare questo, non dire pane al pane, non solo significa mentire, ma toglie ogni possibilità di reagire. Faccio un esempio: quando Halimi fu rapito nessuno credette alla pista antisemita. La madre di Ilan che ho ospitato a Roma per una conferenza sull’ antisemitismo, disperata spiegò alla polizia mille volte che doveva cercare su quella pista, che suo figlio era stato rapito in quanto ebreo, ma nessuno le credette. Indagarono sulla pista della malavita comune, della droga... così la non identificazione dell’obiettivo portò dopo tre settimane alla perdita di Ilan, torturato da un gruppo antisemita islamista che lo buttò in una discarica della banlieu parigina, dopo che le sue grida si erano sentite in un casermone della zona, mai identificate per quello che erano perchè non si voleva sapere la verità.
La mia strada è stata quella di identificare gli obiettivi cercando di non sbagliare, non solo nel campo dell’antisemitismo, ma in quello generale, cercando di analizzare così da identificare quello che si doveva fare. Per seguire questa direzione ho capito che non mi dovevo avventurare per le strade sconosciute della politica intesa in senso generale, dovevo fare ciò che sapevo, che sentivo, ciò per cui ero portata, camminare sulla mia strada, non perdere la via. La mia via era quella dell’identità, della mia storia personale.
Sono contenta di aver fatto e di aver concluso il mio lavoro in parlamento, vi ho portato tutto il mio essere ebrea, il mio essere donna, il mio non essere di sinistra e tuttavia di restare sempre liberal rispetto ai diritti umani, sessuali, riproduttivi, religiosi... Sono rimasta me stessa, non ho abbandonato le mie priorità e i miei interessi. Ho scritto tutta la vita di diritti umani e di politica estera; di diritti umani e di politica estera ho seguitato a occuparmi. IL mio amore è sempre stato Israele, il mio amore è rimasto Israele. Penso che questo abbia coinvolto molte persone, in maniera bipartisan. Non dimenticherò mai quando l’intero emiciclo ha votato contro la conferenza dell’ONU di Durban, una falsa conferenza contro il razzismo, in realtà una conferenza razzista contro Israele. Non credevo ai miei occhi: il lavoro era stato lungo, ma quell’intero parlamento che si opponeva alla delegittimazione, che difendeva l’unica democrazia del Medio Oriente all’unanimità mi ha convinto che dentro ciascuno vibra una verità che deve essere risvegliata. Era un grande momento di crescita per un Parlamento arrivare a questa consapevolezza, come lo è stato uscire in piazza durante le due guerre di Gaza, di tutti gli schieramenti, per difendere il diritto di Israele a difendersi da Hamas e le sue migliaia di Katiushe. Era dunque vero quello che ha detto alla sua giovane figlia una volta incontrandomi per strada l’onorevole Rossana Boldi: “Questa è Fiamma, che ci fa il piacere e l’onore di portare in Parlamento le ragioni di Israele” Ma ci tornerò più avanti: il tema è che non esiste il problema tanto paventato della doppia fedeltà per un ebreo, chi la teme fra gli ebrei, chi la vitupera fra i non ebrei non capisce di che cosa sta parlando.
Essere in parlamento è un’occasione molto importante per fare i conti con sè stessi, io li ho fatti nella posizione di privilegio di vicepresidente della commissione esteri. E’ un’occasione, perchè devi fare continuamente delle scelte che definiscono chi sei. Spesso l’identità si definisce “contro”.Io le ho fatte per esempio votando contro il governo quando si è trattato di decidere se essere a favore del trattato con Gheddafi, e anche credo di essere stata la sola a votare contro, come è accaduto in occasione di altri trattati con paesi totalitari, quando si è votato un accordo culturale con la Siria di Bashar Assad poco prima della rivoluzione. Sono stata “contro” disertando ogni incontro con gli iraniani, battendomi contro una visita al loro parlamento, difendendo gli armeni, esprimendomi in commissione per i diritti umani in presenza di rappresentanti cinesi, parlando chiaro ai rappresentanti del governo ungherese sulla scandalosa azione di Jobbik nel loro parlamento quando hanno chiesto la lista degli ebrei (poi al Consiglio di Europa ho chiesto di togliere le credenziali ai rappresentanti di Jobbik e di Alba Dorata, e ho fatto un viaggio in Ungheria per incontrare la comunità e per parlare con rappresentanti del parlamento e del governo).
Mentre tutto il mondo civettava con le Primavere Arabe, ho svolto in parlamento un lavoro di realistica consapevolezza di quanto stava accadendo, ho invitato rappresentanti delle dissidenze arabe (Tarek Heggy, Farid Ghadry..), ho promosso un’audizione e poi una manifestazione con donne arabe tunisine, egiziane e con le iraniane, per parlare dell’oppressione islamista contro la donna che si è determinata dopo le rivoluzioni. Ho organizzato una raccolta di firme e anche una manifestazione di parlamentari contro Assad, tenuto una conferenza stampa con Ghadri, ho molto battagliato, sia sul nucleare che sui diritti umani, per svegliare la coscienza del parlamento sull’Iran. E’ stato particolarmente commovente quando ho portato in audizione Caspian Makan il fidanzato di Neda Sultan, la ragazza uccisa per strada mentre manifestava contro Ahmadinejad. Sull’Iran ne ho fatte di tutte, per esempio ho richiesto con un’interrogazione l’inserimento delle Guardie Rivoluzionarie nella black list dell’unione europea, e una contro l’ingresso dell’Iran nel consiglio dei diritti umani, e con una mozione ho sollevato la violazione dei diritti umani dopo il caso di Mahmoud Vahidnia e alri scomparsi, dopo che aveva criticato l’ayatollah Khamenei.
Ho sollevato fino all’ultimo giorno, letteralmente, in cui il governo è venuto a rispondere a una mia interrogazione, la questione degli Hezbollah, chiedendo che siano messi nella lista delle organizzazioni terroriste, e già nel 2008 avevo presentato un’interrogazione sul loro ruolo in Libano. Ho cercato anche di sollevare un pò di consapevolezza sul tema tabù dei palestinesi, di cui, quando si esamina la realtà, è come mettere in questione la verginità della Madonna.
Ho portato in interrogazione il documento sui finanziamenti pubblici ai palestinesi e sulla mancanza di trasparenza che affligge tutti i contribuenti italiani e non solo italiani, problema sollevato con grande profondità dalla ricerca di Giovanni Quer per le Associazioni Italia Israele, la Federazione e Informazione Corretta... E il tabu è stato ulteriormente intaccato dalla presentazione in Parlamento del libro di Itamar Marcus direttore dell’organizzazione Palestinian Media Watch che in una manifestazione bipartisan ha presentato “deception, il tradimento del processo di pace”, un video in cui si fa vedere da fonti documentarie inattaccabili, come chi ha abbandonato il processo di pace siano i palestinesi e non Israele.
La lista delle mie iniziative parlamentari sarebbe molto lunga da esporre, non credo che nessuno abbia voglia di sentirla tutta, volevo solo darvene un vanaglorioso assaggio, si trova sul mio sito e la mia associazione Summit ne è stata parte fondamentale.
Non ho contato il numero delle manifestazioni, non conto mai niente nella vita, ma penso che dato che voi siete l’associazione Italia-Israele ora vogliate sentire parlare del come è andata l’attività parlamentare che ha riguardato Israele . In generale, è stato un lavoro enorme, anche perchè la scelta, con cui i miei uffici seguiti prima da Sharon Nizza, che adesso è stata candidata per la sua bravura alle elezioni appena concluse, e poi da Raffaella Del Santo e Costantino Pistilli, si sono davvero distinti, è stata quella di affiancare sempre un’iniziativa rivolta al pubblico a un ‘azione parlamentare. Un modo di proiettare nella discussione fra la gente ciò che facevo dentro le aule di Montecitorio e di mettere in pratica una teoria che cullo da tempo, sulla necessità di collegare le leadership con l’opinione pubblica. L’esempio più noto è quello dell’iniziativa al Tempio di Adriano, “per la Verità per Israele”: se andate a vedere l’infinito elenco dei partecipanti alla maratone verbale, vi troverete sì gli interventi di Fini, di Veltroni e di Berlusconi, ma anche quelli di Saviano e di Lucio Dalla, tutti a favore di Israele.
Mentre dunque conducevamo tanto lavoro pubblico di convegni e conferenze sull’antisemitismo, le sue caratteristiche, le sue radici, mentre mettevano in luce l’aspirazione genocida dell’Iran o la storia dei profughi dai paesi arabi, organizzavamo anche manifestazioni pubbliche di sostegno vero e proprio a Israele anche in momenti molto delicati, come durante le guerre di Gaza, e sempre con successo inaspettato e molto impegno di convinzione personale.
Certamente, al di là che qualcuno possa dissentire dalla impostazione data al lavoro che era sempre molto occidentalista e filoisraeliana, in questi convegni, organizzati da Summit, l’organizzazione che adesso sarò probabilmente costretta a chiudere, davanti a un pubblico di migliaia di persone abbiamo raccolto le migliori menti, la discussione più approfondita e anche inconsueta per l’Italia. Abbiamo fatto qualcosa di inusitato, ovvero portato l’elite italiana e internazionale a affrontare fuori della retorica grandi questioni internazionali, non alla maniera di Repubblica o del Corriere della Sera, non col tono del birignao che ha in Italia la politica estera, non nella maniera politically correct, ma dicendo pane al pane dei diritti umani, vino al vino dell’aggressività antisemita e antiamericana, e anche alla politica europea e di Obama.
Sono ogni giorno stupefatta da come la questione dei diritti umani sia stata perversamente trasformata in uno strumento di sostegno per chi questi diritti calpesta, come le maggioranze automatiche dell’ONU ne abbiamo fatto un ambito che solo gli ipocriti possono citare come fonte di giustizia. Basta pensare al suo Consiglio per i Diritti Umani che si occupa quasi esclusivamente di Israele, tiene ben lontana la problematica iraniana ma anche quella cinese o africana e oggi, che la situazione lo richiederebbe disperatamente, anche quella delle Primavere Arabe. Quanto ci sarebbe da battagliare invece su queste ultime!
Ed è proprio ora che dovrebbero essere stabiliti i paletti di quello che è stato un motivo fondamentale del mio lavoro, da me ripetuto in mille occasioni, cioè la condizionalità: tu avrai i miei aiuti solo se eviti di perseguitare donne, omosessuali, ebrei, cristiani, solo se non compi azioni belliche e non reprimi le opposizioni.
Ho portato questa istanza in Parlamento, al Consiglio d’Europa e all’Unione Europea e ho trovato appoggio e simpatia fra i delegati dei parlamenti nazionali: sono i vertici di queste istituzioni, i funzionari di collegamento che poi tremano nel disegnarne l’applicazione. Mi sono sentita rispondere da uno di loro che non si può chiedere agli egiziani di non minacciare continuamente Israele, è una delle loro principali carte identitarie e non si può intervenire. Io temo che questa considerazione sia anche quella che domina i rapporti col mondo palestinese, che impedisce di affrontare il tema dell’incitamento bestiale che proviene da quel mondo. I terroristi sono in definitiva un loro elemento identitario, ed è orribile ma presente nel modo in cui l’Europa tratta con loro, ben sapendolo.
Torniamo a Israele. Vi dicevo che ho portato in aula la questione di Durban ottenendone un voto commovente su cui ora tornerò, la questione Goldstone, su cui ho ottenuto un successo, la questione del riconoscimento unilaterale che alla sua prima tornata fu compresa molto bene da tutta l’aula: l’unilateralismo era un modo da parte dei palestinesi di affossare ogni processo di pace, di rifiutare il dialogo e soprattutto di stabilire che Israele non è un interlocutore, una forma di estrema delegittimazione che ha trovato la strada per diventare realtà col voto imperdonabile del governo Monti all’ONU. Come ha potuto Monti rovesciare la politica di cinque anni di decisioni governative e parlamentari in un attimo di opportunismo scavalcando ogni istanza democratica, come ha potuto inchinarsi all’ acquiescenza alla sinistra che non gli è valsa politicamente un bel niente, approfittando del facile abbandono di Israele anche da parte di vecchi amici?
La risposta risiede nella volatilità della consapevolezza del problema israelo-palestinese, nell’ignoranza, nel cinismo, nella futilità delle nostre classi dirigenti che non si pongono mai fino in fondo i problemi che trattano, come invece accade per esempio al Congresso e al Senato americani che si spaccano o concordano in modo consistente sulle questioni politica internazionale. La risposta sta nell’utilizzo incessante e storicamente ripetuto (penso a Bettino Craxi, per esempio) della moneta palestinese per comprare consenso politico a sinistra. Ricordo che quando è accaduto l’episodio della Flotilla, su cui poi ho proposto una mozione di condanna dell’organizzazione terrorista che l’aveva programmata e portata a termine, anche vecchi amici di Israele amavano mostrasi indignati contro la “violenza israeliana”, rifiutandosi di ragionare sulla reale dinamica dell’evento,che voi conoscete benissimo come una inaccettabile provocazione, condotta alla sua conclusione tragica con intenzione e premeditazione da parte turca. Manca proprio l’amore della conoscenza, non importa nulla dell’epistemologia di un evento. L’opinione pubblica su Israele è fragile, volatile, sottoposta a continue spinte, dunque richiede un lavoro deciso e costante come quello che voi compite ogni giorno, occorre resistenza di fronte ai colpi e ai contraccolpi, di fronte alla disapprovazione sociale, al tradimento politico.
Tuttavia penso che questi cinque anni abbiano cambiato qualcosa, nonostante l’attacco antisemita e antisraeliano, che poi sono la stessa cosa, che sferra colpi terribili sul terreno della delegittimazione. Ho sempre scelto, durante questi anni, che il governo doveva sopravvivere e che io non avrei remato contro col mio voto o col mio atteggiamento, anche se a volte ero piena di dubbi. Ma non mi sono mai state richieste mosse di propaganda, comparsate televisive, riunioni di partito, dichiarazioni di fedeltà, prese di posizione pubbliche. Ho fatto quel che volevo. Direi che la mia vicenda parlamentare è stata quello che dovrebbe essere un’avventura in parlamento: la scelta di una persona per le sue competenze specifiche. Cinque anni fa io ero corrispondente da Gerusalemme, avevo scritto moltissimi articoli e molti libri, la mia certificata competenza in politica estera è stato il campo in cui sono stata richiesta di partecipare e poi quello in cui ho lavorato come vicepresidente della commissione esteri e come parlamentare che lavora su progetti di legge come quello sulla cooperazione, in comitati come quello per l’indagine sull’antisemitismo, in audizioni, relazioni, interrogazioni, mozioni... Ho lavorato in ambiti che controllavo dal punto di vista della conoscenza, dove sapevo e dove mi pareva giusto, non ho cercato visibilità, nè ho cercato, forse sbagliando, di dire la mia su cose che non conoscevo.
Penso che questi anni possano aver ottenuto qualche risultato, certe cose resteranno, dai tanti viaggi (uno l’anno) dell’associazione Italia-Israele fino all’identificazione di Israele come oggetto di delegittimazione e antisemitismo in tante iniziative, alla fondazione della associazione di amicizia fra i Parlamenti dei due Paesi che non esisteva e ora è permanente e deve incontrasi una volta all’anno.
Vorrei spiegare per finire un concetto: liberare un’istituzione europea dal viluppo di menzogna e di prevenzione che circonda lo Stato d’Israele è un’operazione che si fa soprattutto per salvare quella istituzione dalla sua propria rovina, dalla sciatteria, dalla perdita di identità democratica. E’ l’affermazione del valore della democrazia, della lotta per i propri cittadini e per la propria sopravvivenza, è una festa per la creatività, per la tecnologia, per la buona economia, per i giovani che difendono il loro paese senza retorica ma con patriottismo. Qualcuno l’ha capito.
Per me sono stati anni molto fruttuosi, fortunati, felici. Ora, è il tempo di andare in Israele, è il tempo dell’aliah. Lo faccio per me stessa, per Israele, lo faccio per l’Italia.