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Un nuovo governo per Israele
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Cari amici,
se non ci saranno sorprese veramente grosse è ormai assai probabile che il processo politico israeliano produca in questi giorni un nuovo governo ancora presieduto da Netanyahu, com'era del resto previsto fin dalla convocazione delle elezioni. Il ridimensionamento di voti e seggi subito dal suo partito non gli ha impedito di continuare a tenere il centro della scena politica, anche se ha dovuto fare i conti con l'asse formato dai due nuovi protagonisti della politica israeliana e vincitori delle elezioni: Lapid del centrista e metropolitano partito di Yesh Atid (c'è il futuro) e Bennet della formazione sionista religiosa Bait Hayehudì (casa ebraica), che si sono alleati strettamente e imprevedibilmente fra loro.
Saranno però ancora probabilmente affidati a suoi fidi il ministro degli esteri (carica lasciata sospesa per il leader di Israel beitenu (Israele è la nostra casa) Lieberman (in attesa della fine dell'inchiesta giudiziaria che lo ha coinvolto) e quello della difesa, non più di Barak che si è ritirato ma di un altro ex capo di Stato maggiore dell'esercito, Moshé Yaalon, che è fra i leader del Likud; a Tzipi Livni andrà la Giustizia e la responsabilità delle trattative coi palestinesi, peraltro bloccate dal loro rifiuto di negoziare. Lapid avrà probabilmente la responsabilità dell'economia e i ministri di Bennett si occuperanno di affari religiosi e sociali, tradizionalmente riservati ai charedim, che questa volta rimangono fuori dal governo con alte proteste e minacce di vendetta.
La novità centrale del governo entrante sarà infatti proprio questa, la sostituzione dei charedim coi sionisti religiosi: frutto della vittoria dei laici di Yesh Atid, che hanno fatto un punto fondamentale del loro programma lo smantellamento dell'isolamento sovvenzionato in cui vivevano i charedim: senza obblighi di fare il militare né di lavorare, mantenuti miseramente da sussidi governativi assai onerosi complessivamente ma distribuiti ormai a un gruppo molto numeroso e crescente non tanto di grandi studiosi della Torah, quanto di persone autocondannate a una sorta di ghetti interni al paese. Nessuna economia può prosperare e nessuna difesa funzionare, nessuna società crescere se il dieci per cento della popolazione si taglia fuori dalla modernità, rifiuta di mantenersi e di mescolarsi col resto del paese, mostrandosi anche spesso più o meno ostile alla sua esistenza e ribelle alla sua legge.
E' stato per molti una sorpresa che anche Bennett abbia accettato e anche sostenuto queste posizioni. In parte si è trattato di una tattica riuscita per evitare che Netanyahu escludesse i sionisti religiosi dal governo, dandogli un tratto maggiormante centrista col "taglio delle ali" e - a quanto si dice - sfogando così anche un vecchio rancore personale nei confronti di quello che qualche anno fa era stato un suo importante collaboratore. Ora il governo ha un carattere non diverso da quello precedente, con una presenza di sinistra moderata (Livni al posto di Barak), un centro nutrito (Lapid e una parte del Likud) e un'ala destra molto attenta alla sicurezza del paese (un'altra parte del Likud e Bennett), il che corrisponde alle indicazione di un elettorato che non ha votato contro la politica di sicurezza di Netanyahu ma ha chiesto modernizzazione e una maggiore attenzione ai temi sociali.
Ma da un altro punto di vista la contrapposizione fra sionisti religiosi e charedim è forte e tradizionale nella società israeliana, anche se generalmente fraintesa dai giornali europei e italiani. Pur rispettando i precetti ebraici ed essendo nutriti da autentico spirito religioso, i sionisti religiosi sono ben dentro la modernità per strumenti, mentalità, stile di vita. Considerano inconcepibile non lavorare, studiano le materie "moderne" (cioè le scienze, l'inglese, l'economia, ecc.) sono diventati progressivamente il nerbo dell'esercito, vivono per lo più (ma non solo, e non solo loro) negli insediamenti oltre la linea verde, ma sono ben distribuiti in tutta la popolazione israeliana e difficilmente distinguibili da essa. I charedim vestono abiti tradizionali di foggia ottocentesca, per lo più vivono in quartieri loro, fanno seguire ai loro figli un curriculum scolastico che esclude tutto ciò che non sia religioso (e questo del curriculum scolastico sarà certamente una ragione di scontro, perché Bennett e Lapid vogliono uniformare almeno in parte quello delle scuole religiose ai requisiti nazionali), hanno spesso un rapporto di forte contrapposizione alla società israeliana. In realtà sono molto diversi fra loro, a seconda delle diverse scuole e provenienze, ma certamente non nutrono simpatia per i nazionalisti religiosi. E' uno scontro antico, che risale ai primi insediamenti e al primo rabbino capo di Israele, quel rav Kook che i nazionalisti religiosi considerano loro maestro. E che sarà destinato a protrarsi oltre la formazione del governo, per esempio nella designazione del nuovo vertice del rabbinato israeliano.
Insomma, il nuovo governo israeliano ha tinte nazionali, laiche, moderniste, che rispecchiano i settori più dinamici sul piano economico, culturale e anche demografico le parti più dinamiche della società israeliana. Ha davanti un compito difficilissimo: gestire un rapporto sempre più deteriorato con l'Autorità Palestinese, riuscire a non farsi schiacciare dalle pulsioni dell'amministrazione americana verso un appeasement con l'islamismo, assicurare la sicurezza del paese minacciato dall'aggressività di movimenti antisemiti che hanno preso il comando di paesi vicini come l'Egitto e probabilmente presto anche la Siria, sventare la minaccia nucleare iraniana, continuare a sviluppare l'economia del paese assicurando quel progresso sociale che è un'esigenza particolarmente sentita dall'elettorato. Non possiamo che augurargli il miglior successo.
Ugo Volli |
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