Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 11/03/2013, a pag. 18, l'articolo di Massimo Gaggi dal titolo "La «dura» preferita da Obama. Seconda chance per Susan Rice".

Susan Rice
Obama sempre peggio. Stando al pezzo di Gaggi, infatti, il presidente degli Usa vorrebbe piazzare Susan Rice a capo del consiglio per la sicurezza nazionale americana.
Ricordiamo che uno dei fallimenti più clamorosi di Susan Rice è stato quello di scambiare per reazione a un video su Maometto l'attacco all'ambasciata americana di Bengasi dell'11 settembre scorso, attacco che portò all'assassinio dell'ambasciatore Chris Stevens e di suoi tre collaboratori.
Con un curriculum simile, com'è possibile pensare a Susan Rice come 'consigliere per la sicurezza nazionale' ?
Per maggiori informazioni sulla figura di Susan Rice, invitiamo a leggere l'articolo di Piera Prister dal titolo "La doppiezza di Susan Rice all'Onu su Israele".
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=47210
NEW YORK — «Susan si difenda qui, in diretta tv, dagli attacchi dei repubblicani. E se vuole usare un linguaggio da marinaio (noi diremmo da scaricatore di porto, ndr), faccia pure senza problemi». Poche settimane fa, andata al Daily Show, programma satirico di Jon Stewart, per rilanciare la sua immagine dopo le aspre polemiche che le sono costate la nomina a Segretario di Stato al posto di Hillary Clinton, Susan Rice dovette prendere atto che, al di là degli attacchi un po' pretestuosi sul «caso Bengasi», le è ormai stata costruita addosso l'immagine di donna irascibile e dalla lingua tagliente. Un personaggio di valore con doti fuori dal comune, l'ambasciatrice degli Stati Uniti all'Onu. Che però, col suo modo di parlare diretto, è quanto di più lontano si possa immaginare dal diplomatico abituato a un linguaggio felpato.
Obama l'avrebbe nominata ugualmente perché apprezza di lei, oltre che la brillantezza, anche l'assoluta lealtà. La Rice, poi, col suo temperamento impaziente, infastidito dalle liturgie e focalizzato solo sui risultati, è caratterialmente abbastanza simile al presidente. Che fu costretto a fare marcia indietro quando capì che i repubblicani al Senato non avrebbero mai ratificato la sua nomina. Costretto a scegliere John Kerry, Obama dichiarò che considerava una vigliaccata l'ostracismo del quale era stata vittima la Rice. Da allora medita un «indennizzo» che potrebbe arrivare sotto forma di un ritorno alla Casa Bianca come capo del Consiglio per la Sicurezza nazionale al posto di Thomas Donilon che pare intenzionato a lasciare a metà del 2013, dopo il G8.
L'indiscrezione circola da settimane e ieri è stata confermata al Washington Post da una fonte «anonima ma autorevole» della Casa Bianca. Per la Rice sarebbe davvero una rivincita, con la possibilità di influenzare direttamente la politica estera americana. Anche se questo ridurrebbe l'autonomia di Kerry e, quindi, creerebbe nuove occasioni di attrito tra gli apparati del Dipartimento di Stato e della Casa Bianca, dopo le tensioni degli ultimi anni descritte in libri recenti, da «The Disposable Nation» nel quale Vali Nasr, un assistente di Holbrook al Dipartimento di Stato, racconta degli interventi «a gamba tesa» dei funzionari della Casa Bianca sulla politica estera, a «Benghazi: The Definitive Report», un saggio scritto da ex soldati dei corpi speciali sugli errori commessi in Libia prima e dopo l'uccisione dell'ambasciatore Stevens. E si sostiene che dalla Casa Bianca il consigliere antiterrorismo di Obama, John Brennan, ora promosso capo della Cia, autorizzò missioni militari del Pentagono in Nord Africa all'insaputa del Dipartimento di Stato. Con la Rice non solo il posto di consigliere antiterrorismo, intanto passato a Lisa Monaco, ma anche quello di consigliere per la sicurezza nazionale avrebbe un profilo più alto finendo per fare ombra a Kerry.
In compenso all'Onu finirebbe l'assedio alla Rice che, dopo Bengasi (parlò a caldo dell'assassinio di Stevens come di un'aggressione compiuta da rivoltosi che inscenavano proteste, mentre poi emerse che si era trattato di un attacco terrorista studiato a tavolino) è oggetto delle attenzioni continue della stampa. E siccome Susan è una che non fa mai un passo indietro, dopo il caso Bengasi è diventata ancor più dura nel confronto con giornalisti e diplomatici. Alla stampa, che la critica perché la considera troppo morbida nei confronti di alcuni dittatori africani per motivi di «realpolitik» ha replicato, sarcastica: «Ho letto cose che non sapevo, ad esempio che ho perso una gara gastronomica con Idi Amin, nella quale si mangiavano cuori umani». E giorni fa è trapelato che al Consiglio di sicurezza ha avuto un battibecco con l'ambasciatore cinese da lei accusato di dire «cose ridicole» per giustificare gli esperimenti missilistici della Corea del Nord. «Tenga la lingua a posto» la gelida risposta del diplomatico asiatico. Ora attorno alla Rice è stata stesa una cortina protettiva, ma l'impresa non è facile. Meglio la Casa Bianca, dove a esporsi sarà sempre il presidente.
Per inviare la propria opinione al Corriere della Sera, cliccare sull'e-mail sottostante