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La Stampa Rassegna Stampa
07.03.2013 Ribelli siriani rapiscono 20 caschi blu sul Golan
che, secondo il quotidiano torinese, diventa una zona 'contesa'

Testata: La Stampa
Data: 07 marzo 2013
Pagina: 18
Autore: Francesca Paci
Titolo: «Siria, 20 Caschi blu sequestrati dai ribelli sul Golan»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 07/03/2013, a pag. 18, l'articolo di Francesca Paci dal titolo "Siria, 20 Caschi blu sequestrati dai ribelli sul Golan".



Venti caschi blu rapiti dai ribelli siriani sul Golan.
La Stampa illustra la notizia con questa cartina, il cui titolo recita 'La zona contesa'. Il Golan non è una zona contesa, Israele l'ha annesso nel 1981. Non è oggetto di trattative, dal momento che l'unico impiego che ne faceva la Siria era quello di piattaforma per razzi con cui bombardare le città israeliane sottostanti.
Ecco l'articolo:

La missione Onu Undof (United Nations Disengagement Observer Force) è stata istituita il 31 maggio 1974 e controlla il cessate il fuoco tra siriani e israeliani, dopo che questi ultimi al termine della Guerra dei Sei Giorni del 1967 hanno assunto il controllo delle Alture. È formata da 1.001 soldati, 40 civili stranieri e 99 locali. I Paesi che forniscono le truppe sono Austria, Croazia, India e Filippine.

Il rapimento di una ventina di peacekeepers dell’Onu sul versante siriano del Golan è come la bandierina d’una barca che indica il cambio di vento. Assad piange con Chavez l’assottigliamento del fronte amico, i profughi raggiungono assai prima del previsto quota 1 milione e i ribelli armati, sostenuti ormai ufficialmente anche dalla Lega Araba, alzano il tiro. Questo non significa che l’epilogo sia vicino, come provano i due feroci anni di guerra civile, ma di sicuro il rapporto delle forze in campo sta cambiando. Velocemente.

«Damasco ha 48 ore di tempo per ritirarsi dal villaggio meridionale di Jamla» (vicino alla ribelle Daraa ndr.), annuncia un giovanissimo miliziano su YouTube aggiungendo che allo scadere dell’ultimatum i caschi blu filippini prigionieri verranno «trattenuti» perché considerati contigui ad Assad, «il collaborazionista dell’America e dei sionisti». Il ragazzo, alle cui spalle si riconoscono tre veicoli blindati Onu e un’autocisterna, afferma di appartenere alla brigata dei martiri di Yarmouk, una delle tante formazioni combattenti emerse negli ultimi mesi tra le fila dello schieramento anti regime. Un gruppo con lo stesso nome (quello del fiume teatro di una celebre battaglia islamica del VII secolo ma anche del campo profughi palestinese di Damasco particolarmente colpito dai governativi) imperversa da qualche settimana su YouTube mostrando di poter contare su un discreto equipaggiamento militare.

«I martiri di Yarmouk sono indipendenti, jihadisti o parte del libero esercito siriano?» si chiedeva giorni fa l’informatissimo blogger Moses Brown postando su Twitter il video di uno di loro con un cannone anticarro jugoslavo M60 e il vessillo islamista. In un altro filmato i miliziani si muovono a bordo di un blindato Bmp di fabbricazione sovietica.

Ma al di là della reale identità dei sequestratori, la cui sigla ha anche recentemente firmato online l’esecuzione di presunti collaboratori del regime, c’è l’acuirsi di una crisi che tira dentro di peso la comunità internazionale (l’Onu ha confermato il rapimento e chiesto il rilascio immediato e senza condizioni dei suoi operatori che fanno parte del contingente Undof, schierato dal 1974 al confine tra Siria e Israele). Proprio ieri era intervenuta anche la Lega Araba offrendo un seggio alla Coalizione nazionale siriana dell’opposizione e autorizzando i propri membri a «offrire aiuto militare ai ribelli» (come già fanno Qatar e Arabia Saudita).

Sebbene il generale Selim Idriss, capo di stato maggiore del Libero esercito siriano, abbia nuovamente chiesto a Bruxelles la fornitura «urgente» di armi spalleggiato dalla disponibilità britannica a inviare veicoli blindati e giubbetti antiproiettile, l'impressione è che il livello dello scontro armato si sia alzato parecchio. Prova ne sia l’occupazione da parte dei ribelli del primo capoluogo di provincia, la settentrionale Al Raqqah, ma soprattutto l’agitazione diffusa in Israele, dove l’ipotesi di un ritiro dei caschi blu dal confine siriano evoca spettri di guerra.

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