Egregio dott.Volli,
certo,fa male che ci siano ebrei che odiano se stessi (e Israele) nella stessa misura in cui amano il proprio partito (di sinistra). Di più, l'amore per il partito fa loro spesso velo all'essere ebrei fino al punto di rinnegarsi, mettendo in non cale verità e dignità. Per contro, a fronte di questi (per citarne uno, Anna Foa) ci sono altri non ebrei che amano invece Israele: e tra costoro mi onoro esserci con tutto il mio cuore, con tutta la mia anima, con tutta la mia mente.
Un suo appassionato ammiratore,
Angelo Costanzo, Latina
Gentile lettore,
odio di sé è un termine riassuntivo di una situazione psicologica molto complessa. In questo caso, sono d'accordo con lei, il punto è l'adesione a una parte politica sentita come garanzia di superiorità morale che permette o addirittura impone di giudicare con il massimo rigore il proprio popolo, come se nella relazione con Israele ci fosse un rischio di contaminazione. Il pregiudizio - che viene dall'assunzione dalla propaganda dei nemici vecchi e nuovi - è che gli ebrei o Israele siano colpevoli. Il solo modo per sfuggire a questa colpa è di unirsi a quelli che la denunciano: essere buoni ebrei significa, per questo modo di pensare, ergersi a giudici severissimi e inflessibili dei propri fratelli e indulgenti se non complici coi loro nemici: solo così ci si può salvare. Peccato che di tutto questo agli antisemiti non importi nulla, se non il vantaggio tattico di avere degli ebrei che condannano il loro popolo: i Goldstone, i Falk, i Chomsky e tutti gli altri anche in Italia. Per fortuna la grande maggioranza degli ebrei non ragiona così.
Ugo Volli