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Il Foglio Rassegna Stampa
06.03.2013 Bibi Netanyahu, trattative per il prossimo governo
commento di Giulio Meotti

Testata: Il Foglio
Data: 06 marzo 2013
Pagina: 1
Autore: Giulio Meotti
Titolo: «Obama arriva in Israele»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 06/03/2013, a pag. 1-4, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo "Obama arriva in Israele".


Giulio Meotti                 Bibi Netanyahu

Roma. A un mese e mezzo dalle elezioni che hanno riconfermato Benjamin Netanyahu alla guida del paese, Israele non ha ancora un governo. Il 20 marzo a Gerusalemme arriva Barack Obama e sarà la sua prima visita da presidente degli Stati Uniti nella regione. Netanyahu, molto indebolito rispetto al precedente esecutivo, si presenterà all’appuntamento con un governo formato dai partiti centristi di Tzipi Livni, Yair Lapid, Shaul Mofaz e dalla destra di Naftali Bennett. Per la prima volta da quando è in politica, “Bibi” farà a meno degli alleati naturali, i partiti ultraortodossi, mentre il ministero della Difesa dovrebbe andare all’ex capo di stato maggiore Moshe “Boogie” Yaalon e Netanyahu vorrebbe lasciare gli Affari esteri nelle mani di Avigdor Lieberman. Due i temi al centro dei colloqui fra Netanyahu e Obama: il dossier iraniano e i negoziati con i palestinesi di Ramallah. “Il viaggio non sarà per le photo opportunities, ma si concentrerà su Iran e stato palestinese”, ci dicono dal gabinetto del primo ministro. Sulla sfida atomica di Teheran, Netanyahu sta cercando di pattuire con la Casa Bianca i “contingency plans”, i piani militari di attacco nel caso in cui falliscano i già debolissimi colloqui sul nucleare di Teheran. “Le parole non fermeranno gli iraniani”, ha detto Netanyahu in collegamento con l’Aipac di Washington. Secondo il secondo canale televisivo d’Israele, Obama avrebbe assicurato a Netanyahu che la “finestra di opportunità” per un attacco su Teheran si aprirà a giugno. La data è quella delle elezioni presidenziali in Iran. Netanyahu intenderebbe offrire al presidente dell’Anp, Abu Mazen, una serie di gesti di distensione. Obama avrebbe chiesto a Israele un piano di ritiro dalla Cisgiordania, non sul modello di Gaza, ma un nuovo freeze, un congelamento delle costruzioni negli insediamenti che sorgono fuori dai blocchi principali. Netanyahu sarebbe anche pronto a liberare “un numero significativo” di militanti di Fatah detenuti in Israele da prima degli accordi di Oslo (1993) e a consegnare armi e munizioni alle forze di sicurezza palestinesi. Per l’arrivo del presidente Obama in Israele, Benjamin Netanyahu accetterebbe di consegnare all’Anp alcune aree della Cisgiordania attualmente sotto controllo militare israeliano. Fra queste, le vie di accesso alla nuova città palestinese di Rawabi, presso Ramallah, e alla zona industriale di Tulkarem. Rawabi è una città completamente nuova finanziata dal Qatar in nome del “nation building”, con tanto di cinema, campi da calcio, piscine, centri commerciali e zone pedonali. Il premier israeliano sta pensando di tornare ai colloqui con una proposta di accordo ad interim, dunque non definitivo: Israele individuerà i confini naturali in modo “da includere il massimo numero di israeliani che vivono in Cisgiordania, e il minimo numero dei palestinesi”. Israele si concentrerà sui grandi blocchi di insediamenti, mantenendo una presenza nella Valle del Giordano. Netanyahu ha in mente un “piano Allon plus”, che ricalchi quello presentato dopo la Guerra dei sei giorni dall’ex leader laburista Yigal Allon. In sostanza, Israele vuole conservare il dieci per cento della Cisgiordania, oltre alla regione di Gerusalemme, le aree con la più alta densità di colonie ebraiche, le fonti idriche e quattro strade principali. Nel piano di Netanyahu sono le “zone di difesa irrinunciabili”, come la strada di collegamento tra la zona costiera e il Giordano, con il suo snodo all’incrocio di Tapuah; Gerusalemme, che per assicurarsi il destino di capitale d’Israele deve inglobare le città satelliti che pareggino la forza demografica degli arabi, e i “Green Line Settlements”, gli insediamenti a ridosso della linea del 1967 e a pochi minuti di auto da Tel Aviv. Restano due problemi: l’irredentismo palestinese, che finora ha rifiutato il compromesso sui blocchi di insediamenti e un messaggio chiaro di “reversibilità” per quasi centomila coloni, la parte più motivata e accanita. Il rischio è la guerra civile. Due giorni fa Shai Piron, l’uomo forte di Yair Lapid in Parlamento, ha detto che per entrare in coalizione Netanyahu ha offerto ai suoi l’evacuazione delle colonie più isolate in Giudea e Samaria. Il giornale della destra governativa Makor Rishon ha rivelato che il prossimo governo ha già una lista di comunità da evacuare. La prima dovrebbe essere Ma’aleh Rechavam, che prende il nome del ministro Zeevi ucciso da terroristi palestinesi nel 2001 e che fa parte della comunità di Nokdim, dove vive l’attuale ministro degli Esteri Lieberman. I coloni rispondono a questo piano con uno slogan: “Espansione contro espulsione”.

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