Scolpitelo nei cuori. Robert S.C. Gordon
L’olocausto nella cultura italiana (1944-2010)
Bollati Boringhieri Euro 27
Tra il marzo e il maggio 195o Giuseppe Novello pubblicò sulla «Stampa» un breve ciclo di tre disegni intitolato «Le tappe dell'oblio»; uscivano di domenica, giorno riservato alla sua rubrica. Il primo è del 12 marzo. Siamo in un salotto della buona borghesia, l'ambientazione che gli era congeniale. È l'ora del tè: si vedono persone ben-vestite, forse informate (circolano libri e riviste), o quantomeno educate a fingere un'attenzione intelligente. Tiene banco un signore senza collo, con gli occhiali e il papillon: «Io poi comincio anche a dubitare che in Germania siano veramente esistiti i campi di concentramento». Il papillon andava sviluppando un suo discorso e tirava una conclusione, non l'ultima ma una fra tante, senza nemmeno l'intenzione di dare scandalo (notare che non parlava di campi di sterminio, ma di concentramento). Proprio come Altan oggi, all'epoca Novello era un registratore sociolinguistico infallibile. La guerra era finita da cinque anni, e da due si era ormai esaurita la piena delle memorie scritte a caldo dai reduci dei campi. Pacato e inesorabile, Novello fermava con poche linee la situazione: inchiodando per sempre il senso comune di un'epoca, la lingua semicolta delle nostre classi dirigenti, la volubilità della memoria collettiva e delle percezioni condivise, i cicli e anticicli della storia con la esse maiuscola. Nell'economia rappresentativa della vignetta di Novello c'è, in essenza, la complessa ricchezza della storia che Robert Gordon ricostruisce per noi in Scolpitelo nei cuori. La diastole del titolo, ripreso dalla poesia-epigrafe di Se questo è un uomo, si deve all'editore italiano, mentre quello originale, che suonava anodino e anzi un po' accademico, è qui retrocesso a sottotitolo: L'Olocausto nella cultura italiana (1944-2o1o). Gordon, che insegna a Cambridge, è un italianista noto nel nostro Paese. Dieci anni fa Carocci ha tradotto un suo libro su Primo Levi che rimane il più bello dedicato allo scrittore torinese, Le virtù dell'uomo normale. Tre anni fa ha dato un seguito alla sua ricerca pronunciando la prima delle Lezioni Primo Levi promosse dall'omonimo Centro studi di Torino: «Sfacciata fortuna». La Shoah e il caso. Gordon presenta questa volta una storia generale della Shoah «nella cultura italiana», cioè nel costume e nell'antropologia nazionale a ogni livello. È un lavoro che nessuno studioso italiano aveva mai tentato, un'indagine che descrive la singolare interazione di centralità e marginalità del nostro Paese rispetto allo sterminio. Imitatrice e alleata della Germania nazista nella persecuzione degli ebrei, l'Italia, scrive Gordon, ebbe «da una parte, un ruolo di genitura e di collaborazione nel genocidio e, dall'altra, fu un compagno di viaggio incerto, a tratti persino ostruzionista». Già le cifre sembrano consentire una lettura bifocale: sui 4omila cittadini italiani di origine ebraica (questa la cifra allo scoppio della guerra) "solo" 7.800 circa, un venti percento, furono deportati, potrà dire chi coltiva il mito degli italiani-brava-gente alla cui confutazione Gordon dedica un capitolo efficace. Purtroppo, le stesse cifre dicono che fra quei deportati i sopravvissuti furono poco più del dieci per cento. Sono molte le false percezioni che Gordon demolisce: nessuno tra i dati che espone è del tutto nuovo, ma completamente originale è il quadro d'assieme della ricerca, il suo (per dirla in inglese) scope. Oggi sappiamo bene che dei Lager tedeschi si ebbe ben presto in Italia un'impressione forte, grazie alle prime fotografie e reportage del '44-45. Non prese forma, invece, una nozione precisa e radicata dell'evento (vedi la vignetta di Novello), meno che mai si percepì la specificità ebraica del nesso deportazione-sterminio. La memoria non si convertì in consapevolezza: fu la costante frustrazione di Primo Levi. Dai mesi dell'«Italia divisa in due» fino agli anni doppiozero Gordon registra le brusche escursioni del tema-Olocausto in casa nostra (e argomenta, dalla sua postazione non italiana, la scelta di questa parola). È una vicenda con un alto numero di concause in reciproca interferenza. Anche in questo libro il saper distinguere è il talento migliore di Gordon, che definisce «trasversali» i suoi dieci capitoli: ma in realtà la forma di Scolpitelo nei cuori è curvilinea, un accerchiamento progressivo della questione che fa spesso leva su antitesi, su coppie di libri o di film messe a contrasto: Giacomo Debenedetti vs Curzio Malaparte, Carlo Lizzani vs Ferzan Ozpetek. Naturalmente un capitolo benissimo concepito riguarda Primo Levi. Gordon indaga la ricezione della Shoah entro la sua medesima opera, cercandone la traccia fra i suoi «scritti occasionali pedagogici» (quindi, inquell'impegno di testimonianza nelle scuole che fu il «terzo mestiere» di Levi dopo quelli di chimico e scrittore) e nella sua biblioteca: quali i libri sulla Shoah che egli leggeva, recensiva, consigliava? Quali le preferenze e quali le esclusioni, e perché? Le pagine dove Gordon trasforma una bibliografia - la bibliografia sintetica su Auschwitz inclusa nell'edizione scolastica di Se questo è un uomo,1973 - in un'avvincente narrazione a intreccio sono un vero pezzo di bravura. Grazie a questo libro vediamo meglio che cosa vi sia di specificamente italiano nel modo tenuto da Levi per testimoniare Auschwitz, ma vediamo meno bene (risultato paradossale per uno studioso straniero) che cosa nella postura intellettuale di Levi risulti esportabileall'estero in maniera tanto fluida e durevole. Il prezzo pagato dall'opera di Levi per entrare nel dibattito internazionale - non tanto letterario ma soprattutto filosofico, politico, persino teologico - è la perdita del referente (i suoi concetti viaggiano ormai sganciati dall'evento-Auschwitz sul cui fondamento egli li aveva elaborati) e un eccesso di generalizzazione, per cui nozioni come «zona grigia», «vergogna» o «violenza inutile» giungono a significare cose ben diverse da quelle descritte nei suoi libri, dove invece posseggono una precisa quanto delimitata ponderatezza. Scolpitelo nei cuori è destinato a rimanere per lungo tempo come un'opera di riferimento, perché il quadro generale che ci offre è persuasivo: lo è di certo sulla misura mediana, cioè rispetto alla dimensione nazionale promessa dal titolo. Le future ricerche potranno portare novità tanto al livello micro quanto al livello macro: con l'ingrandire vicende su cui Gordon è stato sintetico per ragioni di spazio o - all'opposto - con l'indagare quanto realmente abbiano influito, sulla ricezione di Auschwitz in Italia, gli eventi della politica internazionale. Dalla guerra fredda al processo Eichmann alla caduta del muro di Berlino, essi hanno forse un'importanza maggiore di quella che Gordon gli attribuisce; ma resta ferma, insieme con l'importanza di quest'opera, la sobrietà della voce saggistica di Gordon nel raccontarci una storia che ci riguarda, con buona pace del papillon e dei suoi campi di concentramento.
Domenico Scarpa
Il Sole 24 Ore