Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 04/03/2013, a pag. 35, l'articolo di Stefano Jesurum dal titolo "Nuovi studi aiutano a capire meglio ma resta l'unicità dell'Olocausto".


Stefano Jesurum

Memoriale della Shoah di Washington
Condividiamo il commento di Stefano Jesurum, ma non ci stupiamo, visto il giornale citato.
Il New York Times è sì uno dei più importanti quotidiani del mondo, ma la sua linea guida è quella di sottovalutare e insonorizzare tutti quegli argomenti che potrebbero prestare il fianco all'accusa di non essere politicamente corretti.
Da questa linea discende anche la banalizzazione della Shoah.
Il memoriale di Washington è un'istituzione che suscita grande rispetto, il New York Times no. (Sempre sul NYT, invitiamo a leggere l'analisi di Angelo Pezzana, pubblicata in altra pagina della rassegna di oggi).
Ecco il pezzo:
«The Holocaust just got more shocking» (l'olocausto è diventato più scioccante) è il titolo con cui il New York Times presenta il risultato di un lavoro iniziato tredici anni fa dall'United States Holocaust Memorial Museum. Una ricatalogazione documentata di tutti i «siti» nazisti funzionanti in Europa tra il 1933 e il 1945, circa 42.500 tra ghetti, campi di concentramento e lavoro forzato, bordelli, luoghi per l'eliminazione di anziani e infermi, aborti, esperimenti, lager per lo sterminio scientifico. Il tutto in nome della eliminazione del popolo ebraico e della germanizzazione. Vittime sei milioni di ebrei più i milioni di oppositori politici, omosessuali, zingari, polacchi, russi e altri gruppi etnici.
Il lavoro, che ha già scatenato bande di negazionisti, scuote gli studiosi «fermi» alla catalogazione dello sterminio compiuta una quindicina di anni fa dalla Croce Rossa. Ora la domanda è se quel titolo del NYT sia corretto e se la Shoah possa essere o meno «più scioccante». Il raffinarsi della ricerca aiuta senz'altro la comprensione del fenomeno ma mette paradossalmente in luce l'ignoranza della reale essenza del fenomeno stesso. Ci può essere qualcosa di più «scioccante» di ciò che nel nostro pensare collettivo evocano Auschwitz o il Ghetto di Varsavia? Può esistere qualcosa di «peggio» di quanto è stato trasformato in metafora del male assoluto e radicale? La risposta è che sì, può senz'altro esistere, anzi esiste, qualcosa di more shocking. È ciò che si sta facendo, «memorializzare» la Shoah, ovvero, come non si stanca di ripetere Georges Bensoussan, il cocciuto storico che tra l'altro dirige la Revue d'histoire de la Shoah, renderla un evento culturale, così facendo isolandola dalle sue radici geografiche, demografiche e, appunto, storiche. Ben vengano nuovi studi sugli assassinii compiuti dalla Germania hitleriana, sui milioni di morti, che sono tutti uguali. Ma si faccia attenzione alla (conscia o inconscia) ondata autoconsolatoria per cui Auschwitz e Varsavia e le infinite realtà documentate dai ricercatori americani diventano sinonimo, in parte autoassolutorio, dei delitti contro l'umanità. No, la Shoah (e qui sta l'errore del NYT) non può essere più scioccante di quanto è stata. Sempre che la si prenda per ciò che fu: un crimine contro gli ebrei, non contro una generica entità umana.
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