Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 01/03/2013, in prima pagina, l'articolo di Daniele Raineri dal titolo " Così l’America fa la guerra dentro la Siria con i ribelli ".
Daniele Raineri Barack Obama con John Kerry
Roma. L’Amministrazione Obama sta addestrando i ribelli siriani “in una base di un paese non meglio specificato”, scrive il New York Times, come al solito servizievole, il giorno in cui il segretario di stato americano John Kerry incontra a Roma l’opposizione siriana. Il Foglio a dicembre aveva già rivelato che la base è il Kasotc, in Giordania, a nord della capitale Amman, una vastissima zona militare costruita su disegno del Pentagono nel 2009 per addestrare i soldati alle operazioni nei paesi arabi e ora usata per addestrare i ribelli siriani – non quelli appartenenti ai battaglioni islamisti radicali. A ottobre 2012 è arrivato al Kasotc un contingente di 150 “specialisti” militari americani – ma è un luogo dove le forze speciali americane sono di casa. Quegli istruttori preparano combattenti siriani dell’opposizione, in gran parte ex ufficiali con esperienza militare che hanno disertato. L’addestramento comprenderebbe la messa in sicurezza dei 75 depositi dove il governo di Damasco conserva le armi chimiche. L’America ha promesso ieri durante la riunione dei cosiddetti paesi Friends of Syria anche sessanta milioni di dollari di aiuto e l’invio di “equipaggiamento non letale” ma utile in guerra: veicoli corazzati, giubbotti antiproiettile, visori notturni per combattere di notte. Kerry annuncia questo cambio di politica estera americana appena due giorni dopo l’incontro con il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, che rappresenta un governo, quello russo, schierato dalla parte di Assad. Come se ci fosse un qualche coordinamento sull’asse Washington- Mosca, ma non è ovviamente possibile ipotizzare di più (per esempio, che il Cremlino abbandonerà il presidente Bashar el Assad al suo destino). L’Amministrazione Obama ha lavorato al suo ingresso nella guerra civile in Siria al fianco dei ribelli e contro Assad con un effetto teatrale di cedimento progressivo. Il mese scorso è trapelata la notizia che il presidente americano Barack Obama si è opposto a Pentagono, Cia e dipartimento di Stato che insistevano per armare i ribelli. Invece è proprio quello che stava accadendo. Poi sono cominciate le incongruenze, come l’apparizione sul campo di battaglia di massicce quantità di armi pesanti in mano ai ribelli, che lunedì si è scoperto sono arrivate grazie al governo saudita e sotto lo sguardo complice – come minimo – di Washington. All’inizio di questa settimana Kerry ha dichiarato che Washington stava considerando un incremento negli aiuti “non letali” e, dopo un leak ben piazzato sul Washington Post (non si può sempre sfruttare il New York Times, che quel giorno aveva già lo scoop sulle armi saudite) che confermava il cambio di linea politica, è arrivato il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney, a infiocchettare tutto un giro di parole per dire che dal “no” del mese prima l’America è passata al “sì” pubblico all’appoggio ai ribelli dentro la Siria. Gli aiuti saranno distribuiti non più soltanto all’opposizione, che passa la maggior parte del suo tempo lontano dalla Siria, ma a una selezione di gruppi che combattono sul terreno. “Giubbotti antiproiettile e walkie-talkie, saranno utili contro gli Scud e i Mig russi a disposizione del governo”, commenta sarcastico un attivista siriano su Internet. Nel commento c’è del vero, questo non è ancora l’aiuto capace di cambiare il corso della guerra come accadde in Libia, ma può avere due effetti. Il primo è accelerare la spinta su Damasco dei guerriglieri, che già stringono in semicerchio la capitale, e quindi premere Assad – o se non lui, l’establishment militare – a negoziare. Il ministro degli Esteri siriano, Walid al Muallem, lunedì ha detto per la prima volta che il governo “è pronto a trattare anche con i gruppi armati”. Il secondo effetto è quello di contenere i gruppi islamisti, tremendamente efficaci in combattimento ma vicini ad al Qaida nell’ideologia e nel modo di fare la guerra. Se i gruppi laici che si sentono rappresentati dall’opposizione siriana riusciranno a ottenere vittorie militari, saranno meglio posizionati anche per il dopo.
La spia saudita
Secondo fonti del Foglio, ieri a Roma era presente – con passaporto diplomatico – il capo degli agenti dell’intelligence saudita che gestisce in Siria i rapporti con il gruppo estremista Jabhat al Nusra, designato come “terrorista” dagli americani.
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