Il mostro buono
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Hans Magnus Enzensberger, Il mostro buono di Bruxelles - ovvero l'Europa sotto tutela (Einaudi, pp. 98 € 10).
Parlamento europeo, Strasburgo
Cari amici,
mentre aspettiamo con qualche timore il risultato elettorale, voglio farvi qualche considerazione su ciò di cui non si è discusso durante la campagna, cioè di politica, della gestione e della forma del potere. Si è parlato molto di fatti personali, se questo faceva feste con le donnine allegre, se quello aveva davvero la laurea, se quell'altro aveva nella sua fedina penale più o meno denunce; un po' si è discusso in maniera assai demagogica di tasse (questa da abolire, quella da inventare) e di spese (gli aerei militari da togliere e mantenere), ma non del quadro generale delle entrate e delle spese del nostro Stato, né tantomeno delle ragioni della crisi economica e del modello di sviluppo che vogliamo usare per cercare di uscirne. Si è parlato per un po' di banche, ma per cercare di coinvolgere questo o quello nei reati emersi qua e là, non per discutere la loro strana organizzazione (le Fondazioni ecc.); un po' di diritti civili ma in riferimento a un tema visto in maniera isolata e piuttosto apocalittica, non in riferimento al sistema dei diritti che una democrazia moderna riconosce o meno. Non si è discusso seriamente della divisione dei poteri, che è centrale in democrazia, della pretesa della magistratura non solo di selezionare la classe dirigente e di decidere la politica criminale dello Stato, per esempio in tema di mafia, ma anche quella industriale, mettendo in gravissima difficoltà le poche grandi industrie che ci restano e negando la prevalenza della volontà politica di governo e parlamento.
Soprattutto non si è parlato dei grandi schieramenti politici, dei rapporti con l'America e con la Russia, che continuano a competere sul territorio europeo; non si è parlato del Medio Oriente, che pure è un confine che ci sfiora, con le convulsioni integraliste vicine fino a 80 chilometri dalla Sicilia (la Tunisia) e i missili degli ayatollah capaci di raggiungere il nostro territorio, presto con le armi atomiche e tutto quel che accade in Egitto e Siria, che sono più vicini della Norvegia e dell'Irlanda. Non si è parlato di Israele, e per fortuna forse, perché se ne sarebbe discusso in maniera demagogica e sbagliata.
Non si è ragionato soprattutto della ragione per cui non si è parlato di tutte queste cose e che a me preme non solo perché sta nel titolo di queste cartoline, ma perché la nostra vita dipende sempre più da lei - voglio dire l'Europa. In realtà la politica internazionale, quella economica e sociale, quella dei diritti civili, buona parte di quella legislativa, ci vengono ormai dettate dall'Europa. E' l'Europa che decide cosa dobbiamo pensare sul Medio Oriente (vi ricordate l'improvviso voltafaccia di Monti all'Onu), se le coppie gay possano o meno adottare dei bambini (c'è una sentenza della Corte Europea che ha appena fatto notizia), che livello di riserve debbano avere le banche, quanto può spendere lo Stato, come debba essere strutturato lo studio universitario, perfino (sono aneddoti, ma veri), quanto inclinata possa essere una zucchina per meritare questo nome, se la cioccolata possa avere o meno dentro grassi diversi dal burro di cacao, quale dev'essere la lunghezza dei profilattici. Il parlamento per cui abbiamo votato ha in realtà più o meno l'autonomia di un vecchio consiglio regionale, le decisioni vere vengono prese altrove. In parte sono decisioni buone (i diritti civili), in parte sono sbagliate (l'università, ne parlo per esperienza), in parte sono pessime (la politica mediorientale e quella dell'immigrazione). Resta il fatto che la politica si fa lì, fra Bruxelles e Strasburgo.
Ma come si fa? Chi decide? Con che procedure? E come i cittadini europei influenzano questa politica? Di questo non si parla affatto, se non per predicare che "bisogna cedere altra sovranità all'Europa" (Napolitano), "che la crisi sarà utile perché farà crescere il potere europeo rispetto a quello degli Stati" (Monti), ecc. In realtà non se ne parla anche perché la questione è estremamente complicata: c'è una Commissione e un Consiglio dei ministri, che si riunisce in varie formazioni e non può essere sfiduciato, un presidente della Commissione, un presidente semestrale del Consiglio, un presidente europeo un Parlamento che non ha la possibilità di proporre leggi con un suo presidente, tre o quattro tribunali, leggi che si chiamano "direttive" e che per lo più non sono sottoposte ad approvazione parlamentari, una costituzione di quasi 500 articoli che nessuno conosce davvero, una banca centrale indipendente ma sotto tutela tedesca, elezioni rare e sostanzialmente inutili, soprattutto c'è una burocrazia molto potente e che non risponde a nessuno.
Per capire qualcosa di questo labirinto, vi suggerisco di leggere un libretto appena uscito "Il mostro buono di Bruxelles - ovvero l'Europa sotto tutela" di Hans Magnus Enzensberger (Einaudi, pp. 98 € 10). La figura di Enzensberger è assai complessa, non mi interessa discuterla qui se non per richiamare l'altro suo breve libro sul terrorismo, "Il perdente radicale" (pubblicato da Einaudi anch'esso). Il quadro che emerge da questa sua inchiesta sul funzionamento dell'Unione Europea è veramente inquietante, soprattutto per chi, come me, è estremamente diffidente su tutti i discorsi complottistici e cospirazionistici. Quel che ci viene presentata è una burocrazia portatrice di un progetto politico preciso, risalente ai "padri dell'Europa", in primo luogo Monnet, che consiste nell'uniformazione del Continente e nell'assunzione di un certo modello di società. Questo progetto è protetto dai meandri del sistema, che sono estremamente complessi e dal suo "deficit democratico", cioè dal fatto che non esistono meccanismi per cui i cittadini possano davvero entrare nel merito delle scelte che vengono fatte, come in tutti i sistemi democratici normali. Si tratta invece di una "postdemocrazia", più o meno illuminata, in cui un ceto selezionato per cooptazione decide in maniera pochissimo trasparente obiettivi e metodi, badando bene a non esporsi al giudizio popolare.
Dal punto di vista pratico, il sistema funziona spesso bene, nel senso che è riuscito a garantire non solo molti decenni di pace, ma anche una serie di progressi e comodità, per esempio per tutti coloro che si trovano a operare fuori dal loro paese, dai turisti alle aziende esportatrici; da un altro ha però ridotto drasticamente lo spazio di decisione politica e lo ha trasformato in amministrazione.
Non c'è modo, per gli europei, di decidere liberamente che cosa convenga loro in campo energetico e dei rapporti internazionali, quanto debbano essere accoglienti e quanto difendere la loro identità, che rapporto vogliano istituire fra libertà economica e diritti sociali: tutto questo e molto altro ancora (per quel che ci riguarda qui, per esempio, i rapporti col Medio Oriente), lo decide la burocrazia europea, molto più benevola e gentile, ma anche molto più efficace e altrettanto opaca del vecchio comitato centrale dell'Urss. Il "deficit democratico", apprendiamo da Enzesberger, non è un accidente ma un progetto, un modo di governare, un pensiero politico che considera i cittadini incapaci di decidere e si basa sul gentile esproprio delle loro antiche prerogative in cambio della comodità economica e del "progresso". Non ci sarebbe modo, sostengono gli eurocrati, di governare un continente in maniera davvero democratica (ma l'America lo smentisce), dunque tanto vale accontentarsi e lasciar fare.
E' giusto? Anche attribuendo al "mostro di Bruxelles" la migliori intenzioni, o non credo e non sono soddisfatto da molti aspetti delle politiche europee, in particolare da quelli che hanno fatto coniare la parola "Eurabia", da cui queste cartoline prendono spunto. Non pretendo di aver ragione. Ma una discussione aperta sarebbe opportuna e molto più importante di quella sul rapporto fra Berlusconi e il gentil sesso o fra Giannino e l'università di Chicago.
Ugo Volli