Riduci       Ingrandisci
Clicca qui per stampare

 
Ugo Volli
Cartoline
<< torna all'indice della rubrica
Dietro le maschere e il vino 24/02/2013
 
Dietro le maschere e il vino
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
 

Cari amici,

è piuttosto buffo il fatto che questa giornata elettorale, in cui è annunciata l'affermazione di un bizzarro (e pericoloso) comico travestito da politico rivoluzionario coincida con la festa ebraica di Purim, che da molti viene definita "carnevale ebraico" - ma si tratta di un paragone molto inquietante per gli ebrei, perché gli eccessi del carnevale spesso si sfogavano in passato alle loro spalle con assalti e pogrom. Fatto sta che di Purim gli ebrei usano travestirsi, danzare  e bere in allegria, "fino a non distinguere più" il nome dell'eroe della storia che si ricorda, Mordechai, da quello del cattivo Haman, cioè a perdere per un attimo la cognizione della polarità fra bene e male, che sembra la condizione della politica italiana attuale.

In realtà la festa di Purim merita una considerazione più attenta dello sguardo divertito ai modi della sua celebrazione. Perché a differenza del carnevale (che come dice la parola nel mondo cristiano è un semplice congedo portato all'eccesso dal cibo "grasso" e dalle comodità normali prima del periodo quaresimale che si è espanso nella storia fino a diventare il momento del "mondo rovesciato", come spiegano Bachtin e Le Roy Ladurie) ha un contenuto storico e narrativo preciso. 

Si tratta di un tentativo di "soluzione finale del problema ebraico"  montato da un primo ministro persiano venticinque secoli fa circa, nel momento in cui tutto il mondo ebraico (dalla Giudea a Babilonia alla Persia, appunto) era compreso nell'impero persiano.
Vi ricorda qualcosa?
Anche la motivazione è molto moderna: il ministro Haman dice al re Achaferosh (nella trascrizione ebraica, l'occidente lo chiama Serse):
"vi è un popolo appartato e disperso fra i popoli di tutte le province del tuo regno, le cui leggi sono diverse da quelle d'ogni altro popolo, e che non osserva le leggi del re; non conviene  quindi che il re lo tolleri."
La manovra genocida viene bloccata attraverso una sorta di congiura o commedia di palazzo, in cui l'eroina è una bellissima ebrea in incognito, Ester, che seduce il re guidata da suo cugino Mordechai, e ottiene la condanna a morte del ministro nemico e la libertà degli ebrei di difendersi.
Ne segue, appena accennata nel testo, ma chiara, una sorta di guerra di resistenza vittoriosa ebraica contro i genocidi e la libertà religiosa. 

A questa storia è seguita nella tradizione ebraica un grande lavorio interpretativo. Si è notato che nel testo non viene mai menzionato il nome divino ne attribuita al divino alcuna azione, il che è una grande eccezione nel canone ebraico (ma nella benedizione che ne accompagna l'uso liturgico si ringrazia per i "miracoli che compisti a quel tempo"), si è fatto notare che vi è un'assonanza con la  celebrazione dell'espiazione ebraica, il giorno più austero e solenne del calendario liturgico, cioè Kippur o Yom Ha-Kippurim, che si può leggere ke-purim, cioè "come Purim" - il che è un accostamento ovviamente problematico ma interessante; si è sostenuto autorevolmente (nel Talmud) che l'adesione al patto con Dio, che fu in qualche modo forzato al momento della rivelazione del Sinai (Dio avrebbe minacciato di rovesciare la montagna sul popolo ebraico se non lo avessero accettato) fu poi ribadito proprio nell'episodio di Purim, anche se nel testo biblico non ve n'è traccia.
Lo stesso Talmud riporta infine il ricordo di una discussione fra i membri del Sinedrio se inserire o meno la festa fra le ricorrenze ebraiche e il testo nel canone biblico, come avrebbe voluto la stessa regina Ester. E la risposta fu positiva a entrambe le domande, tant'è che festa e libro sono fra i più amati ancora oggi dagli ebrei, magari travestiti da ricorrenze giocose.

Il fatto è che l'ebraismo è descritto in maniera molto inadeguata come una "religione", nel senso cristiano di una parte della vita staccata dalla dimensione giuridica e statale e caratterizzata dalla fede e dalla "storia sacra".
Esso è piuttosto una forma di vita integrale, che comprende inseparabilmente la dimensione politica, sociale, giuridica, etica e la sfera del rapporto con la divinità. Le sue feste hanno dunque quasi tutte una dimensione memoriale e politico-teologica.
Questo vale in particolare per le ultime due aggiunte in periodo post-biblico, che ricordano entrambe conflitti armati sostenuti dal popolo ebraico per la propria autodifesa contro pericoli mortali: Hannukkah, la "festa delle luci" contro l'assimilazione alla civiltà "moderna" del tempo, cioè all'ellenismo, e Purim contro un brutale tentativo di genocidio.

Da quei tempi sono trascorsi ventidue secoli e passa, ma la lezione resta quella: un "popolo appartato e disperso fra i popoli di tutte le province, [...] le cui leggi sono diverse da quelle d'ogni altro popolo" rischia continuamente l'odio e l'eliminazione e deve sapersi difendere innanzitutto mantenendo la percezione della propria unità e del proprio destino collettivo.

 E' la morale di questa festa, soprattutto nel momento in cui di nuovo un primo ministro persiano parla di eliminare dalla faccia della terra quel popolo ribelle che non si piega al suo comando.
 

Ugo Volli

è piuttosto buffo il fatto che questa giornata elettorale, in cui è annunciata l'affermazione di un bizzarro (e pericoloso) comico travestito da politico rivoluzionario coincida con la festa ebraica di Purim, che da molti viene definita "carnevale ebraico" - ma si tratta di un paragone molto inquietante per gli ebrei, perché gli eccessi del carnevale spesso si sfogavano in passato alle loro spalle con assalti e pogrom. Fatto sta che di Purim gli ebrei usano travestirsi, danzare  e bere in allegria, "fino a non distinguere più" il nome dell'eroe della storia che si ricorda, Mordechai, da quello del cattivo Haman, cioè a perdere per un attimo la cognizione della polarità fra bene e male, che sembra la condizione della politica italiana attuale.

In realtà la festa di Purim merita una considerazione più attenta dello sguardo divertito ai modi della sua celebrazione. Perché a differenza del carnevale (che come dice la parola nel mondo cristiano è un semplice congedo portato all'eccesso dal cibo "grasso" e dalle comodità normali prima del periodo quaresimale che si è espanso nella storia fino a diventare il momento del "mondo rovesciato", come spiegano Bachtin e Le Roy Ladurie) ha un contenuto storico e narrativo preciso. 

Si tratta di un tentativo di "soluzione finale del problema ebraico"  montato da un primo ministro persiano venticinque secoli fa circa, nel momento in cui tutto il mondo ebraico (dalla Giudea a Babilonia alla Persia, appunto) era compreso nell'impero persiano.
Vi ricorda qualcosa?
Anche la motivazione è molto moderna: il ministro Haman dice al re Achaferosh (nella trascrizione ebraica, l'occidente lo chiama Serse):
"vi è un popolo appartato e disperso fra i popoli di tutte le province del tuo regno, le cui leggi sono diverse da quelle d'ogni altro popolo, e che non osserva le leggi del re; non conviene  quindi che il re lo tolleri."
La manovra genocida viene bloccata attraverso una sorta di congiura o commedia di palazzo, in cui l'eroina è una bellissima ebrea in incognito, Ester, che seduce il re guidata da suo cugino Mordechai, e ottiene la condanna a morte del ministro nemico e la libertà degli ebrei di difendersi.
Ne segue, appena accennata nel testo, ma chiara, una sorta di guerra di resistenza vittoriosa ebraica contro i genocidi e la libertà religiosa. 

A questa storia è seguita nella tradizione ebraica un grande lavorio interpretativo. Si è notato che nel testo non viene mai menzionato il nome divino ne attribuita al divino alcuna azione, il che è una grande eccezione nel canone ebraico (ma nella benedizione che ne accompagna l'uso liturgico si ringrazia per i "miracoli che compisti a quel tempo"), si è fatto notare che vi è un'assonanza con la  celebrazione dell'espiazione ebraica, il giorno più austero e solenne del calendario liturgico, cioè Kippur o Yom Ha-Kippurim, che si può leggere ke-purim, cioè "come Purim" - il che è un accostamento ovviamente problematico ma interessante; si è sostenuto autorevolmente (nel Talmud) che l'adesione al patto con Dio, che fu in qualche modo forzato al momento della rivelazione del Sinai (Dio avrebbe minacciato di rovesciare la montagna sul popolo ebraico se non lo avessero accettato) fu poi ribadito proprio nell'episodio di Purim, anche se nel testo biblico non ve n'è traccia.
Lo stesso Talmud riporta infine il ricordo di una discussione fra i membri del Sinedrio se inserire o meno la festa fra le ricorrenze ebraiche e il testo nel canone biblico, come avrebbe voluto la stessa regina Ester. E la risposta fu positiva a entrambe le domande, tant'è che festa e libro sono fra i più amati ancora oggi dagli ebrei, magari travestiti da ricorrenze giocose.

Il fatto è che l'ebraismo è descritto in maniera molto inadeguata come una "religione", nel senso cristiano di una parte della vita staccata dalla dimensione giuridica e statale e caratterizzata dalla fede e dalla "storia sacra".
Esso è piuttosto una forma di vita integrale, che comprende inseparabilmente la dimensione politica, sociale, giuridica, etica e la sfera del rapporto con la divinità. Le sue feste hanno dunque quasi tutte una dimensione memoriale e politico-teologica.
Questo vale in particolare per le ultime due aggiunte in periodo post-biblico, che ricordano entrambe conflitti armati sostenuti dal popolo ebraico per la propria autodifesa contro pericoli mortali: Hannukkah, la "festa delle luci" contro l'assimilazione alla civiltà "moderna" del tempo, cioè all'ellenismo, e Purim contro un brutale tentativo di genocidio.

Da quei tempi sono trascorsi ventidue secoli e passa, ma la lezione resta quella: un "popolo appartato e disperso fra i popoli di tutte le province, [...] le cui leggi sono diverse da quelle d'ogni altro popolo" rischia continuamente l'odio e l'eliminazione e deve sapersi difendere innanzitutto mantenendo la percezione della propria unità e del proprio destino collettivo.

 E' la morale di questa festa, soprattutto nel momento in cui di nuovo un primo ministro persiano parla di eliminare dalla faccia della terra quel popolo ribelle che non si piega al suo comando.
 

Ugo Volli

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui