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Riportiamo da SHALOM di febbraio, a pag. 22, l'articolo di Angelo Pezzana dal titolo "Israele cambia governo? Sempre le stesse critiche". La campagna elettorale per il rinnovo della Knesset e i commenti ai risultati, sono stati l’ennesima, utile occasione per capire quanto peso hanno i pregiudizi nei confronti dello Stato ebraico nei giornali italiani. Scriviamo a ragion veduta “Stato” e non “governo”, perché le critiche sono le stesse che da sempre vengono rivolte alla politica israeliana, non importa quale governo la rappresenti. Nel raccontare l’atmosfera pre-elettorale i due giornali della sinistra, Unità e Manifesto, divisi in superficie da una diversa appartenenza partitica, sono però uniti, tutto l’anno, dalla medesima ideologia pro-araba, per cui gli unici israeliani buoni sono quelli che criticano sempre e comunque, il governo. Mai che scrivano quanto la democrazia israeliana si nutra di questi oppositori, in genere intellettuali famosi e riveriti nel proprio paese, professori d’università, l’élite della classe dirigente nel campo dell’educazione, storici, qualcuno arriva a negare la stessa esistenza del popolo ebraico in quanto tale, e ne ricevono in cambio interviste e fama internazionale. Israele è così apartheid da tenerli tutti su un comodo piedestallo, onorandoli con riconoscimenti e premi. I medesimi sono poi quelli che appaiono, con dichiarazioni tanto appassionate quanto sofferenti, in interviste pubblicate sulla maggior parte dei nostri quotidiani, dai più piccoli ai giornaloni. La loro unica preoccupazione è rivolta al cattivo governo di Israele che non vuole fare la pace con i palestinesi. Salvo poche eccezioni, sono tutti schierati, estrema sinistra, centro-sinistra, cattolici, non citiamo la destra perché nelle edicole quotidiani di destra non ce ne sono, e se ce ne fossero riprodurrebbero le stesse posizioni ostili che caratterizzano gli altri. Va da sé che il tiro a segno aveva come obiettivo la faccia di Bibi Netanyahu, e quando è successo che l’articolo del corrispondente o dell’inviato erano corretti, ci pensava il titolo a ricordare quanto il premier fosse “falco”, mai un accenno alle responsabilità, enormi, della controparte palestinese. Di Mahmoud Abbas devono essere riportate solo le lagnanze, mai i comportamenti , che rivelerebbero in pieno la sua ostilità ad affrontare seriamente una discussione con il proposito di arrivare alla pace. Abbas è “buono” per definizione, per questo vanno evitate quelle sue affermazioni che potrebbero danneggiarlo, soprattutto quelle che rivelano il suo livore antisemita. Nei sondaggi l’unione Likud/IsraelBeitenu era in calo, ma non sufficiente a determinare una sconfitta, mentre non erano in crescita quelle forze che avrebbero potuto sostituirlo, anzi, si affacciavano due nuovi, possibili leader, entrambi di difficile classificazione. Non riuscendo a collocare Yair Lapid né a destra né a sinistra, il coro unanime si è soffermato sulle sue doti fisiche, fino a descriverlo come “ il più sexy di Tel Aviv”, “il bello della Tv” in attesa di vedere se si schiererà con Bibi oppure no. L’altra novità di queste elezioni è Naftali Bennett, anche lui marchiato come “l’idolo dei coloni”, perché nella sua campagna elettorale non ha inserito il problema dei palestinesi, e forse perchè porta una kippà all’uncinetto, anche se è difficile identificarlo come un ultra-ortodosso, anzi, i sondaggi avevano rivelato che un buon 30% di chi l’avrebbe votato apparteneva all’area laica. Scriviamo a pochi giorni dal voto, quindi non sappiamo a chi Shimon Peres affiderà l’incarico di formare il governo. Ma ci siano concesse alcune osservazioni, soprattutto sul grande assente in queste elezioni, il “ fattore palestinese”. Come mai nessuno si è chiesto la ragione ? Non sarà che i tira-molla di Mahmoud Abbas hanno stancato gli israeliani, che ormai non lo vedono più come un interlocutore ? E non sarà anche che certe definizioni degli israeliani che vivono oltre la linea verde cominciano a diventare obsolete ? Perché continuare a chiamarli “coloni”, come ha scritto Francesca Paci, in un reportage sulla Stampa del 23.1 titolato “ Fra i coloni dei territori: per noi nessuno è abbastanza falco “, quando la popolazione che vive nelle regioni Binyiamin, Giudea e Samaria, situate intorno a Gerusalemme, hanno espresso un voto tutt’altro che unificato ? Ma se i palestinesi sono mancati in campagna elettorale, sono sempre presenti in gran parte delle analisi dei nostri “esperti”, che si interessano a Israele soltanto in relazione alla “questione palestinese”, come se la sua soluzione dipendesse soltanto dalla buona volontà del governo israeliano. Persino Obama ha criticato Netanyahu prima delle elezioni, rimproverandolo perché la sua politica ha allontanato Israele dal consesso internazionale. Intromissione nella politica di un altro Stato ? Non ci risulta che qualcuno gliel’abbia fatto notare. Le oche di Capitol Hill starnazzano a più non posso quando Israele costruisce abitazioni a casa sua, ma stanno ben zitte, a becco chiuso, quando i missili da Gaza piombavano su Israele. Che è una nazione indipendente, il cui governo decide quale politica attuare dopo aver consultato i cittadini, come usa in una democrazia. Usa e Europa volgano il loro sguardo verso i regimi arabo-musulmani, li visitino meno con il cappello in mano, come è successo di recente anche all’Italia, e poi facciano la differenza con Israele. E imparino a rispettarne le istituzioni, sotto molti aspetti avremmo solo da imparare. Per finire, qualche parola sulle dichiarazioni di Moni Ovadia, sempre in prima fila quando c'è da sparare contro Israele e le 'malefatte' del governo. Poteva lasciarsi sfuggire questa occasione ? Adesso si augura che Netanyahu venga cacciato a furor di elettori, ma forse non ha capito molto leggendo i risultati. Bibi è rimasto alla guida del partito più votato dagli israeliani, si consoli. L'ebreo contro Israele è un articolo molto quotato sul mercato - le sue quotazioni non potranno che salire. Angelo Pezzana |
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