Sulla STAMPA di oggi, 17/02/2013, a pag.19, con il titolo " Khamenei: Washington ha cercato il negoziato" Claudio Gallo, corrispondente da Londra, riferisce notizie che valgono più della colonna nella quale sono state impaginate. Ne viene fuori un Ali Khamenei non molto diverso da Ahmadinejad, soltanto più furbo nell'uso della 'taqqiyya', la dissimulazione, come osserva acutamente Gallo. Nega l'evidenza della bomba nucleare, ma ammette che con gli Usa di Obama ci sono negoziati. Nell'insieme, una ottima analisi dei rapporti Usa-Iran.
Ali Khamenei, grande esperto in 'taqqiyya', dissimulazione
Durante un discorso ieri a Tabriz, capoluogo dell'Azerbaijan iraniano, Ali Khamenei è tornato a parlare di nucleare e rapporti con gli Stati Uniti, confermando, al di là del gioco dialettico di negazioni e affermazioni, l'importanza che la Guida Suprema dell'Iran attribuisce all'argomento a quattro mesi dalle presidenziali, mentre il paese accusa il peso delle severe sanzioni internazionali. Il Grande Ayatollah ha ripetuto la sua nota posizione: «Noi non costruiremo la bomba atomica. Non lo faremo: non perché la cosa dà fastidio agli americani ma perché la nostra posizione è basata sulla credenza religiosa che le armi atomiche siano un crimine contro l'umanità. Tutte le armi atomiche andrebbero distrutte».
Khamenei aveva già formalizzato la contrarietà religiosa alla bomba nucleare in una fatwa nel 2005, un documento che ha condotto a interminabili discussioni (spesso probabilmente sterili) tra gli specialisti se le sue parole dovesse essere prese alla lettera o come una esempio di «taqqiyya», la dissimulazione che la morale sciita permette in caso di minacce.
Agitando l'immagine stereotipata del paese che non si piega e solleticando l'indomabile orgoglio persiano, Khamenei ha ricordato che «è un diritto legale dell'Iran di dotarsi di una rete di energia nucleare civile», ammettendo che le sanzioni «portano pressione e molestano». Poi ha aggiunto, per la gioia dei media occidentali che facilmente vedranno nelle sue parole una minaccia fattuale: «Se volessimo costruire una bomba atomica gli Stati Uniti non potrebbero impedircelo».
La Guida Suprema ha di nuovo lasciato intendere che di trattativa diretta con Washington non se ne parla («negli ultimi anni ce l'hanno chiesto un paio di volte», ha detto) perché gli americani «con una mano vogliono trattare con l'altra ci minacciano».
Ma è davvero un no incondizionato? Walter Posch, esperto di Iran all'Istituto tedesco per gli affari internazionali e la sicurezza non lo crede: «La sua interpretazione dell'antagonismo con gli Usa - spiega - si basa sul conflitto di interessi e mette l'ideologia in secondo piano», nella sua posizione cioè non ci sono quelle rigidità politico-religiose che renderebbero il dialogo impossibile. D'altra parte, se Teheran non si accorda con Washington mentre ci sono le colombe Kerry e Hagel con chi mai potrà farlo?
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