Sul FOGLIO di oggi, 16/02/2013, a pag.1 e 3, due articoli rispettivamente sulla Siria e sulla decisione dell'Unione Europea di non inscrivere Hezbollah nella lista dei movimenti terroristi, un'altra dimostrazione di Eurabia che avanza.
Daniele Raineri: " I ribelli siriani ricevono armi straniere contro Assad e i ribelli islamisti"
Roma. I ribelli siriani ricevono massicce quantità di armi pesanti, mai viste prima in quasi due anni di guerra civile. Sono armi portatili controcarro che non si trovano in Siria o nei paesi confinanti, ma vengono in blocco dagli arsenali delle nazioni dell’ex Yugoslavia. Lanciarazzi Rpg-22 e M79 Osa, cannoni senza rinculo M60, capaci di neutralizzare i carrarmati di epoca sovietica dell’esercito del presidente Bashar el Assad, e quindi di rovesciare la situazione su un campo di battaglia durissimo, dove i guerriglieri erano costretti ad affrontare i corazzati con fucili e bombe artigianali. Ci sono anche lanciagranate a tamburo Rbg-6, sono le repliche prodotte in Croazia di un’arma da truppe speciali costruita in Sudafrica, come quella che si vede nella foto. Da quando è scoppiata la rivoluzione nel marzo 2011 si è parlato più volte di aiuti in arrivo ai ribelli siriani dall’esterno attraverso canali clandestini, di armi, equipaggiamento e istruttori militari; ma questo appoggio era troppo esiguo, o le notizie non erano vere, o non c’erano prove, oppure si trattava di un esercizio di wishful thinking per il futuro. Il prezzo delle armi sul mercato nero nei paesi confinanti con la Siria è schizzato alle stelle negli ultimi due anni, e questo prova che i ribelli non le hanno mai ricevute gratis, anzi, erano costretti a procurarsele a caro prezzo da venditori che approfittavano del loro stato di necessità. A partire da metà gennaio però gli avvistamenti di questo nuovo arsenale sono diventati così numerosi da non poter essere ignorati. Questo traffico d’armi è partito da sud, dalla zona di Deraa, tra la capitale Damasco e il confine con la Giordania, e si è espanso verso nord, fino alla battaglia di Aleppo. Nelle basi militari della Giordania, a nord della capitale Amman, gli Stati Uniti e alleati arabi ed europei hanno messo in piedi un’operazione per sostenere i ribelli siriani “laici” – un termine qui usato per comodità, che però rischia di essere fuorviante. Questa rotta delle armi è opposta rispetto a quella solita, che passa attraverso il confine nord, quello con la Turchia, più lontano e più sicuro. Un altro indizio che si tratta di una massiccia e deliberata operazione d’aiuto dall’esterno. I nuovi arrivi appaiono soltanto nelle mani dei gruppi del vero Free Syrian Army, quindi della guerriglia allineata alla Coalizione dell’opposizione siriana, l’organismo politico che si riunisce fuori dalla Siria ed è riconosciuto dai paesi occidentali. Questi gruppi sul vasto spettro delle fazioni che fanno la guerra al governo siriano stanno all’opposto rispetto ai battaglioni islamisti e di Jabhat al Nusra, che combattono per creare un califfato e sono ideologicamente e operativamente affiliati ad al Qaida. I gruppi con le nuove armi sono più o meno “secolari” e fedeli all’idea originaria della rivoluzione che ha come traguardo finale la cacciata di Bashar el Assad, e sono certamente quelli che fanno meno paura. Nel nuovo arsenale non ci sono armi contro gli aerei. Chi le fornisce vuole i ribelli siriani impegnati in una guerra di terra contro i corazzati, ma non li vuole in grado di controllare i cieli. Elliot Higgins, un esperto di armi britannico che segue giorno per giorno l’evoluzione del conflitto siriano attraverso le armi usate, nota con il Foglio che le armi consegnate hanno anche un’altra caratteristica: “Le munizioni non si trovano facilmente nell’area mediorientale, i ribelli resteranno sempre dipendenti da chi gliele ha cedute”. In altre parole: il benefattore ignoto “può decidere in qualsiasi momento di interrompere i rifornimenti e di rendere le armi inutilizzabili”. A fine dicembre Reuters intervistò fonti dell’opposizione siriana che raccontarono di “un piano delle intelligence occidentali per contenere lo strapotere dei gruppi di ribelli estremisti nel nord della Siria”, aiutando altri gruppi di ribelli. A fine gennaio il principe saudita Turki bin Faisal, ex capo dei servizi del regno, fece un appello pubblico perché i ribelli fossero armati e “messi alla pari con il regime che combattono”. Jabhat al Nusra dilaga a nord Chiunque sia lo sponsor munifico, potrebbe essere in ritardo, perché al nord Jabhat al Nusra sta guidando i ribelli a una vittoria dopo l’altra: ha già espugnato basi e aeroporti militari e ora assedia l’obiettivo più importante al nord, l’aeroporto internazionale di Aleppo. Forse chi arma i ribelli ha in mente un obiettivo ancora più importante: la capitale Damasco, dove sta cominciando la battaglia che decide chi vincerà la guerra.
Editoriale: " Hezbollah ringrazia"
Non è servita finora l’esortazione del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu a trarre “le necessarie conclusioni” e aggiungere Hezbollah alla lista nera delle organizzazioni terroristiche. Non è servita neppure la richiesta di John Brennan, alto consigliere del presidente Obama per l’anti terrorismo e prossimo capo della Cia, ad “agire attivamente per scoperchiare la struttura di Hezbollah e smantellare i meccanismi finanziari e le reti operative del gruppo, per prevenire altri futuri attentati”. L’Unione europea ha scelto il disonore e la codardia di fronte alle schiaccianti prove fornite dal governo bulgaro sulla responsabilità di Hezbollah nell’attentato contro i turisti israeliani dello scorso luglio a Burgas. Mettere Hezbollah sulla lista nera, come è già successo per Hamas, è l’unica via per consentire all’Unione europea di congelare i beni dell’organizzazione in Europa. Punire Hezbollah con l’inserimento nella lista nera significa anche lanciare un segnale forte contro il suo coinvolgimento nella guerra civile siriana e indebolire l’asse con l’Iran. Bruxelles si ripara invece dietro alla ipocrita distinzione fra le attività sociali e quelle militari dei terroristi di Nasrallah. Come hanno spiegato Matthew Levitt ed Ely Karmon in due saggi appena pubblicati, questa è una falsa divisione dei ruoli. Il denaro che gli sciiti libanesi raccolgono nella umma europea serve a un solo fine: la guerra contro Israele e i musulmani sunniti. A Burgas si è consumato il più grave attentato contro gli ebrei sul suolo europeo dalla fine della Seconda guerra mondiale. L’Europa che si riempie la bocca della memoria dell’Olocausto ha però scelto, di nuovo, di alzare le mani di fronte alle terribili minacce che incombono sul popolo ebraico. Viviamo in strani tempi, in cui il massimo premio mondiale di fotogiornalismo viene assegnato a un funerale palestinese a Gaza. Ci sono cataste di morti innocenti in Siria, ma i benpensanti del World Press Photo non hanno resistito, ancora una volta, a porre Israele sul banco dei carnefici. Hezbollah e Hamas ringraziano. E tornano a raccogliere denaro per i loro katyusha.
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