Anna Segre - Gloria Pavoncello, Judenrampe. Gli ultimi testimoni 11/02/2013
Judenrampe. Gli ultimi testimoni Anna Segre e Gloria Pavoncello Elliot euro 9,90
Ci sono libri che ti cambiano la vita, che generano nell’animo di chi legge un solco indelebile. “Judenrampe. Gli ultimi testimoni” di Anna Segre e Gloria Pavoncello è uno di questi. Un’opera coinvolgente che invita ad ascoltare, a riflettere, la cui lettura ogni tanto bisogna interrompere per lasciar sedimentare l’intensità di quelle testimonianze e non essere emotivamente inghiottiti nel tunnel della morte rappresentato dai campi di sterminio. Cos’era la Judenrampe? Conosciuta come la rampa degli ebrei è stata l’ultima fermata per centinaia di deportati provenienti da tutta Europa, una banchina posta a circa 800 metri all’esterno del campo di AuschwitzII-Birkenau dove dal marzo 1942 al maggio 1944 i treni scaricavano uomini, donne e bambini ancora inconsapevoli del destino di morte che li attendeva. Anna Segre, psicoterapeuta, e Gloria Pavoncello, sociologa, hanno ascoltato con rara sensibilità e trascritto fedelmente le testimonianze di diciassette sopravvissuti alla Shoah: giovani ebrei che tra il 1943 e il 1944 sono stati catturati in Grecia, in Italia, in Libia, a Fiume, a Rodi e condotti sui carri bestiame, in condizioni disumane, a Dachau, Ravensbruck, Bergen Belsen ecc. Erano ragazzi che in poche ore sono diventati adulti vedendo morire i genitori, i fratelli, gli zii, i cugini, gli amici più cari. Ogni racconto è un tassello prezioso, unico per forza e intensità emotiva, che si colloca nell’ampio mosaico costituito dalle testimonianze sulla Shoah delle quali non potremo mai “essere sazi” perché solo il perpetuarsi della memoria “registrata, scritta, filmata” ci preserva dall’oblio che potrebbe derivare dalla morte degli ultimi testimoni. Non è possibile rimanere indenni dopo la lettura di questo libro: i racconti fluiscono con la semplicità del racconto diretto, non filtrato dalle curatrici che hanno ascoltato i testimoni con delicato rispetto, senza porre domande curiose o invasive per la sfera privata a persone già così violate nella loro intimità. Il risultato è un’opera coinvolgente in cui i sopravvissuti parlano in prima persona, senza alcuna interpretazione esterna, delle loro agghiaccianti esperienze che giungono fino a noi mostrando il Male Assoluto di cui sono stati testimoni. Alcuni elementi ricorrono nelle testimonianze rendendo “visibile” un universo fatto di fame, freddo, umiliazioni, sofferenze fisiche e morali: per Yoseph Varon non è possibile trovare sostantivi per descrivere il freddo patito, “un freddo diverso, una sofferenza fisica e morale insieme”, per Edith Bruck l’offerta di una patata calda rappresenta quel gesto di umanità che le ha consentito di “sperare e resistere”, per Mario Limentani indimenticabile è la “scala della morte” e il ricordo del giorno in cui per divertimento una SS “incominciò a togliere i denti ai prigionieri”, per Alberto Mieli atroce è ripercorrere l’episodio di quel figlio costretto dai nazisti a picchiare brutalmente il padre, per Liliana Segre è la solitudine ad aver inciso maggiormente nella sua giovane vita perché a soli tredici anni dover lasciare la mano del padre e farsi carico di se stessi diventa un’esperienza insostenibile. Per i sopravvissuti il ritorno alla vita normale ha significato fare i conti sia con i fantasmi del campo che si ripresentano inesorabili (Ida Marcheria continua a svegliarsi alle 4 del mattino per l’Appello), sia con l’incredulità, l’incomprensione dei parenti e degli amici e con domande subdole, “Ma come hai fatto a salvarti?” da cui scaturiva inevitabilmente un profondo senso di colpa. Per questo, oltre che per la difficoltà e il pudore di narrare ferite indicibili hanno impiegato molti anni prima di cominciare a testimoniare nelle scuole: un dovere che ora sentono imprescindibile, un antidoto all’indifferenza che pervade la nostra società, ma che provoca ogni volta un dolore straziante, una ferita che impiega giorni a rimarginarsi. Il rispetto e l’umiltà con cui le curatrici del libro accolgono le storie dei sopravvissuti si sostanzia anche nei versi struggenti di Anna Segre che accompagnano ciascun racconto: sono brevi testi lirici che, rallentando il ritmo della lettura, arricchiscono e completano la testimonianza e nel contempo riflettono le emozioni intense provate dall’autrice. I Frammenti” posti in chiusura al volume offrono al lettore un’ulteriore chiave di lettura perché riprendendo alcuni temi di forte impatto emotivo che ricorrono frequentemente nelle interviste, quali l’arrivo ad Auschwitz, la perdita della famiglia, l’Appello, consentono la “lettura” delle testimonianze sotto un profilo diverso e molto interessante. Da queste pagine emerge non solo la consapevolezza che i nazisti non sono riusciti ad annientare l’anelito al Bene (l’offerta di una rondella di carota o di una fetta di pane sono gesti di solidarietà indimenticabili per i deportati) ma anche lo stupore dinanzi alla bellezza della natura - il cielo limpido, una margherita trovata fra le ceneri, il sole che continua a sorgere nonostante tutto - rappresentano l’istinto per la vita e la voglia di aggrapparsi a “elementi concepibili” per continuare a vivere. Anna Segre e Gloria Pavoncello non avevano intenzione di scrivere un libro. L’incontro con la valigia di Adriano Mordenti, fotografo di cronaca free-lance, piena di fotografie di ex deportati dai campi di sterminio, ha offerto lo spunto di partenza. La proposta di Mordenti ad Anna Segre di scrivere un ritratto lirico accanto alle immagini dei sopravvissuti per una mostra fotografica si è concretizzata, in un impegno condiviso con Gloria Pavoncello, nelle interviste ai deportati rielaborate successivamente in un progetto editoriale di immenso valore storico e documentale. Le voci e le vicende umane contenute in Judenrampe diventano parte del lettore che a sua volta si fa testimone delle persecuzioni, delle umiliazioni, delle sofferenze, della dignità lesa e mai del tutto ricomposta dei sopravvissuti allo sterminio. Perché nel momento in cui anche l’ultimo testimone sarà scomparso, ciascuno di noi avrà il dovere di tramandare quelle drammatiche esperienze alle nuove generazioni invitandole a leggere, studiare, approfondire la Storia e a non dimenticare che il Male Assoluto si cela dietro l’indifferenza, oggi come allora, quando la gente al passaggio degli ebrei deportati volgeva la testa altrove. Con questo libro le autrici hanno colto perfettamente il messaggio che ci lascia Shlomo Venezia : “Non è lontano il giorno in cui se ne andrà l’ultimo testimone. Proprio per questo è ancora più necessario studiare ogni singolo caso, darsi da fare affinchè non ci siano né buchi di conoscenza né dubbi. E’ l’unica difesa che abbiamo”.