Arabia Saudita: polemiche sui droni Usa commento di Mattia Ferraresi
Testata: Il Foglio Data: 07 febbraio 2013 Pagina: 1 Autore: Mattia Ferraresi Titolo: «Un amico a Riad»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 07/02/2013, a pag. 1-4, l'articolo di Mattia Ferraresi dal titolo "Un amico a Riad".
Mattia Ferraresi Arabia Saudita
New York. Oggi John Brennan si presenta davanti alla commissione Intelligence del Senato con la doppia etichetta di difensore muscolare della sicurezza nazionale e di puntiglioso avvocato di scuola gesuita che si destreggia nell’ambito della filosofia morale. Le due identità sono la tesi e l’antitesi di un analista in cerca di sintesi, un uomo umbratile che compila le “kill list” di Obama nel seminterrato della Casa Bianca e dagli amboni dell’accademia difende la guerra “giusta, etica e saggia” dei droni con un linguaggio più vicino a sant’Agostino che a Dick Cheney. Ad accompagnarlo c’è una serie di rivelazioni che negli ultimi giorni ha reso la promozione dell’architetto dei droni a capo della Cia politicamente più delicata e ha moltiplicato le domande sui criteri con cui l’Amministrazione Obama gestisce la guerra telecomandata al terrore in Pakistan, Yemen e Somalia. E il Mali infestato dai jihadisti è il prossimo passo. L’ultima notizia della serie l’ha data il Washington Post e nessun esperto di intelligence e sicurezza nazionale è cascato dalla sedia quando l’ha letta: da due anni i droni dell’Amministrazione che bombardano la penisola araba operano da una base dell’Arabia Saudita. Diversi giornali americani da tempo sapevano della base condivisa da americani e sauditi ma su richiesta della Casa Bianca hanno accettato di non pubblicare la notizia, almeno finché Obama non ha deciso di elevare il suo più stretto consigliere antiterrorismo al piano più alto dell’agenzia di Langley. Brennan ha gestito i negoziati con Riad sui droni, ha contribuito a creare un clima di cooperazione fra agenzie americane e saudite che a Washington serve per contenere a suon di missili la proliferazione di al Qaida nella penisola araba e, in cambio, scherma Riad dai tumulti della regione. Il nuovo capo della Cia che ieri è stato torchiato a Capitol Hill in passato ha lavorato in Arabia Saudita, e conosce meglio il mondo arabo che lo scenario afghano-pachistano. I droni che colpiscono il Pakistan sono l’appendice di una guerra ereditata, quelli dello Yemen sono gli strumenti della sua guerra. Brennan è la giuntura di un rapporto fra intelligence americana e saudita che si è rinsaldato quando nel 2009 gli infiltrati di al Qaida nella penisola araba hanno cercato di uccidere il principe Muhammad bin Nayef. Il senso del nemico comune è precipitato in una strategia condivisa. Un agente saudita ha fermato l’attentatore che voleva far esplodere la bomba che aveva nelle mutande su un aereo americano e gli uomini di Riad hanno messo al servizio dell’America la loro maggiore capacità di infiltrarsi nei ranghi del terrore yemenita sventando una serie di attentati con bombe improvvisate spedite attraverso i corrieri postali. L’ex funzionario della Cia Bruce Riedel dice che la cooperazione con i sauditi in molti casi “ha fatto la differenza fra il successo e il fallimento” e l’idillio strategico ha fruttato alla leadership saudita maggiore sicurezza e ottimi affari militari: l’America ha permesso a Riad l’acquisto di 84 F-35 di nuova generazione, roba da 25 miliardi di dollari. Nei corridoi di Washington i sauditi si sono trasformati da infidi finanziatori del terrorismo in fedeli alleati per il controllo dello scenario yemenita a cui Brennan si è dedicato anima e corpo. La base per i droni americani è soltanto l’ultimo frutto del suo lavoro. L’altra notizia che ha innalzato la tensione nel processo di conferma di Brennan è il memorandum legale pubblicato da Nbc, un documento che mostra pubblicamente quello che finora era stato soltanto dedotto ufficiosamente: il presidente si muove nel quadro legale della guerra al terrore di Bush, gli obiettivi legittimi dei droni sono i “comandanti” di al Qaida che pongono una “minaccia imminente” agli Stati Uniti, ma non sono necessarie prove chiare per colpire una minaccia imminente. E’ soltanto un altro modo di chiamare la guerra preventiva di Bush. La senatrice democratica Dianne Feinstein, capo della commissione Intelligence, ha detto che le recenti rivelazioni dovrebbero ispirare un movimento verso la trasparenza: “Ora che la posizione legale dell’Amministrazione è pubblica, la gente può giudicare la legalità di queste operazioni”. Brennan ha lavorato a quello che chiamano soltanto il “playbook”, il gran regolamento dei droni che dovrebbe guidare non soltanto l’Amministrazione Obama ma tutte le presidenze a venire e ha creato il sistema dei “signature strike”, gli attacchi contro terroristi dei quali non si conoscono le identità, ma è certo siano uomini in età militare (fra i 16 e i 60 anni) che si trovano in luoghi inequivocabilmente connessi alla rete di al Qaida. David Axelrod, amico e consigliere del presidente, dice che “dorme meglio sapendo che Brennan non dorme” e il direttore dell’intelligence, James Clapper – quello che ha chiesto a Petraeus di dimettersi – ha spiegato che “non c’è nessuno che tiene di più alla sicurezza nazionale”. In un percorso parallelo a quello di Obama, Brennan deve armonizzare la parte inflessibile della propria identità con quella prudente, deve far convivere i droni e i principi morali, la sicurezza e i diritti. Qualcuno dice che il falco Brennan ha un cuore di colomba, ma l’esposizione dei segreti della spia preferita di Obama aprono contraddizioni in cui i rappresentanti del popolo americano non possono non mettere il dito.
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