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Il Manifesto - La Repubblica Rassegna Stampa
07.02.2013 Il viaggio di Obama in Medio Oriente a fine marzo
Cronaca di Federico Rampini. Critiche di Michele Giorgio

Testata:Il Manifesto - La Repubblica
Autore: Michele Giorgio - Federico Rampini
Titolo: «Obama, storica visita in Israele e in tasca il sogno di rilanciare la pace»

Riportiamo dal MANIFESTO di oggi, 07/02/2013, a pag. 6, l'articolo di Michele Giorgio dal titolo "  Agenda Siria e Iran, il baratro di Obama". Da REPUBBLICA, a pag. 14, l'articolo di Federico Rampini dal titolo " Obama, storica visita in Israele e in tasca il sogno di rilanciare la pace ".

Giorgio rimprovera a Obama il fatto che non abbia messo come priorità del suo viaggio in Medio Oriente, quella di discutere (magari redarguendo a dovere Netanyahu) di negoziati. Non sapevamo che fosse compito di Giorgio quello di decidere l'agenda politica dei viaggi del presidente Usa.
 Corretto il pezzo di Federico Rampini, che si limita a descrivere le tappe e i punti che verranno discussi nel corso del viaggio, ricordando che, il fatto che Obama non sia stato in visita ufficiale in Israele durante il suo primo mandato, era stato motivo di 'rimprovero' da parte dei repubblicani durante la campagna elettorale.
Ecco i pezzi:

Il MANIFESTO - Michele Giorgio : " Agenda Siria e Iran, il baratro di Obama "


Michele Giorgio

«Il popolo iraniano è pronto amarciare a piedi per eliminare Israele se si lancia in una simile avventura (un attacco alle centrali nucleari iraniane, ndr)». Tenere la lingua a freno non è la dote principale di Mahmud Ahmadi Nejad ma al presidente iraniano non manca l’intuito. Ahmadi Nejad infatti non ha dubbi sulle finalità reali del primo viaggio in Israele, in veste di presidente, che Barack Obama effettuerà a partire dal prossimo 20 marzo. L’obiettivo centrale della visita è fare il punto con Israele del quadro mediorientale dopo l’attacco in Siria compiuto dai caccia dello Stato ebraico e, soprattutto, dopo l’importante incontro sul nucleare iraniano del prossimo 26 febbraio in Kazakhistan del gruppo 5 +1, forse con la partecipazione di Teheran. L’eventuale fallimento di quel decisivo meeting di fatto aprirebbe la strada a qualsiasi scenario. Anche ad un’azione militare congiunta di Israele e StatiUniti. Obama ne discuterà conNetanyahu e il presidente iraniano lo ha capito, da qui la sua rinnovataminaccia di una rappresaglia devastante. A sostegno di questa tesi ci sono anche le dichiarazioni del capo di stato israeliano Shimon Peres. «Il presidente Obamahamesso in piedi una coalizione per prevenire la realizzazione di un Iran nucleare », ha detto Peres in occasione della sessione inaugurale della nuova Knesset. «La coalizione ha iniziato con una pressione diplomatica e sanzioni economiche ed è stato chiarito che non sono escluse altre iniziative fuori dal tavolo...Credo che il presidente degli Stati Uniti sia determinato a fare questo». Certo nella visita di marzo sono previsti incontri anche con il presidente dell’Anp Abu Mazen – la leadership palestinese è spaccata tra chi culla la speranza che l’arrivo di Obama sblocchi la situazione paralizzata dal 2009 e chi non si fa illusioni sulle intenzioni del presidente Usa - ed i leader di Giordania, Turchia, Egitto ed Arabia saudita. Obama in Israele non viene per accorciare le differenze con Netanyahu o per riaffermare gli stretti rapporti tra Washington e Tel Aviv come ha scritto il New York Times. Di sicuro la questione israelo- palestinese non è al primo posto nell’agenda del viaggio. Il portavoce della Jay Carney non l’ha neppure menzionata. Il più chiaro di tutti è stato ieri mattina l’ambasciatore degli Stati Uniti a Tel Aviv, Dan Shapiro. Obama in Israele, ha spiegato in un’intervista radiofonica, vuole parlare degli sviluppi della crisi siriana, delle centrali nucleari dell’Iran e di «come impedire che Tehran si doti di armi atomiche» (l’Iran ha sempre negato di voler assemblare un ordigno nucleare). «Se è possibile ricorrere solo amezzi diplomatici, a pressioni economiche e a sanzioni, tanto meglio. Altrimenti abbiamo anche una opzione militare», ha detto Shapira, escludendo peraltro che con l’annuncio della sua visita Obama cerchi di influenzare la composizione del futuro governo di Israele: ossia di costringere indirettamente il premier Benyamin Netanyahu a formare una coalizione in cui i partiti centristi abbiano un ruolo privilegiato. In Israele una reazione positiva all’annuncio della visita è giunta dall’ex ministro degli esteri Tzipi Livni, leader del partito centrista «Ha-Tnua» che potrebbe entrare – dopo averlo escluso per mesi – nella coalizione guidata da Netanyahu assieme con un’altra formazione di centro, Yesh Atid di Yair Lapid. «Speriamo - ha detto Livni - che la visita di Obama serva a migliorare l’intesa con Netanyahu per rilanciare la pace». I dubbi sono forti tra imembri più indipendenti dell’esecutivo dell’Olp, come Hanan Ashrawi. «Qualsiasi iniziativa americana per avere successo deve necessariamente agire per porre fine all’occupazione israeliana dei Territori palestinesi», ha detto Ashrawi, «mantenere l’impunità di Israele e negando il diritto del popolo palestinese alla sovranità, libertà e dignità, è stato letale per il raggiungimento di una pace sostenibile e giusta. Ci aspettiamo quindi che la visita corregga gli errori del passato».

La REPUBBLICA - Federico Rampini : " Obama, storica visita in Israele e in tasca il sogno di rilanciare la pace "


Federico Rampini

NEW YORK —E' di gran lunga il viaggio più atteso per Barack Obama. E anche il più rischioso, politicamente oltre che per la sua sicurezza. L'annuncio era nell'aria: Obama visiterà Israele, perla prima volta da quando è presidente (ci andò nel 2008 ma era so -lo un candidato). La tv israeliana ha anticipato anche una data, il 20 marzo. La Casa Bianca conferma tutto fuorché la data, per ora, aggiungendo che ci saranno altre due tappe in Cisgiordania e Giordania. E già si scatenano scenari, dietrologie, scommesse su questa missione. C'è la versione più cauta nell'entourage del presidente, è quella di chi dice: «Perché ci va? Perché aveva detto che ci sarebbe andato». La lettura minimalista viene adottata per prudenza dal portavoce della Casa Bianca: «Questo viaggio non è focalizzato specificamente sul processo di pace».Inquattroanni diviaggiall'estero la lacuna era vistosa. Gliel'avevano fatto pesare i repubblicani durante la campagna elettorale. «Questo presidente è andato in Egitto (discorso all'università del Cairo, giugno 2009, ndr) e non in Israele. È uno sgarbo grave al nostro alleato storico più fedele», disse Mitt Romney. Quel viaggio mai realizzatosi durante il primo mandato, diventava un appiglio in più per l'accusa della destra a Obama: quella di avere commesso errori strategici sulle primavere arabe, per esempio accelerando la caduta di un alleato come Mubarak perveder poi i Fratelli musulmani al potere al Cairo. Dunque, Obama aveva promesso di visitare Israele e lo farà. Ma con quali obiettivi? Il quotidiano israeliano Haaretz dà una lettura molto ambiziosa di questo viaggio: «È il momento della verità per il governo Netanyahu. È un tentativo senza precedenti (da parte del presidente Usa, ndr) di dare forma in Dopo le elezioni che hanno avuto luogo nei due paesi, il presidente Usa si è rafforzato mentre Netanyahu si è indebolito Israele a una coalizione favorevole al processo di pace». La versione ambiziosa viene riecheggiata da questa parte dell'Atlantico dal Washington Post, che attribuisce al presidente la volontà di «iniziare il secondo mandato dando subito una spinta ai negoziati di pace tra due governi divisi, e di definire gli sviluppi politici che stanno ridisegnando il Medio Oriente». Gli analisti americani vicini alla Casa Bianca sottolineano il cambiamento dei rapporti di forze tra Obama e Benjamin Netanyahu, il cui governo dovrebbe prendere forma proprio a metà marzo. Prima del voto americano di novembre era il premier israeliano a potersi permettere un atteggiamento duro verso Obama (come fece in un memorabile discorso al Congresso di Washington, flirtando coi repubblicani). Dopo le due elezioni che hanno avuto luogo nei due paesi, Obama è stato riconfermato e rafforzato, Netanyahu si è indebolito. Più complessa è la situazione trai palestinesi dove cresce la forza di Hamas, e sono in corso le grandi manovre di riavvicinamento con i rivali del Fatah. Ecco uno dei rischi che la stampa israeliana già indica per Obama: che in Cisgiordania il presidente americano si trovi a parlare davanti a uno striscione che proclama lo "Stato della Palestina", e magari una carta geografica dove non compare Israele. I temi nell'agenda della visita sono stati evocati dal portavoce di Obama, Jay Camey: la tragedia della Siria, e la minaccia nucleare in Iran. Carney ha evitato accuratamente di menzionare il "processo di pace", pernon alimentare aspettative eccessive. Ma è chiaro che Obama affronterà tut -to. Anche le primavere arabe. Il suo ultimo viaggio nell'area fu proprio il Cairo nel 2009, e quel suo discorso all'università fu interpretato ex post come un incoraggiamento alle rivolte antiautoritarie. Con l'Egitto in preda a nuove convulsioni autoritarie, la Tunisia anch'essa destabilizza- Sarà anche un battesimo di fuoco per il suo nuovo segretario di Stato, John Kerry, in ottimi rapporti con l'alleato ta, nuovi pericoli dalla Libia all'Algeria, Obama dovrà precisare la sua analisi di quel che sta succedendo, lasuavisione, lestrategie per il futuro dell'intera area che abbraccia Nordafrica e Medio Oriente. Sarà anche un battesimo di fuoco per il suo nuovo segretario di Stato, John Kerry. Di cui molti osservatori sottolineano gli ottimi rapporti con Israele. Kerry è un personaggio meno glamour di Hillary Clinton, ma potrebbe tranquillizzare degli interlocutori che avevano sentito l'America "distante"? Di certo questo viaggio segna il ritorno di Obama alla politica estera, e in grande stile. Il 2012 per forza di cose era stato un anno più "domestico": in campagna elettorale, meno il presidente viaggia meglio è. Può esporsi all'accusa di curare gli affari del mondo trascurando i problemi degli americani. Libero dalle preoccupazioni elettorali, Obama può cercare di fare quello che prima di lui sognarono Jimmy Carter Bill Clinton: passare alla storia lasciando un'eredità di pacificazione in Medio Oriente. Per i suoi predecessori le delusioni talvolta furono cocenti. Lo stesso Obama ha già assaggiato un insuccesso: nel settembre 2010 orchestrò dei colloqui di pace diretti tra israeliani e palestinesi, per poi vederli naufragare in poche settimane. Ora dovrà evitare che il suo viaggio si riduca ad una semplice "photo-opportunity". Per mirare molto più in alto dovrebbe ave -re una nuova "road m ap", un percorsoversolapace, possibilmente assortito da una tempistica.

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