Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 06/02/2013, a pag. 3, l'articolo di Pio Pompa dal titolo "I jihadisti in fuga dal Mali vogliono portare la guerra in Libia".
Mali Logo di al Qaeda
"Papa Holland au Mali”, titolava sabato il sito Jeune Afrique sulla visita del presidente francese a Timbuctù e Bamako. La popolazione maliana ha accolto Hollande con tale fervore da indurlo ad affermare che quello era “il giorno più bello” della sua vita politica. Chissà se in quel momento di esaltazione siano venuti in mente a Hollande, al ministro degli Esteri Laurent Fabius e a quello della Difesa Jean-Yves Le Drian gli intricati labirinti di rocce granitiche che solcano il massiccio dell’Adrar degli Ifoghas, nel nord est del Mali, regione grande poco meno dell’Italia dove si sono rifugiati i jihadisti di Aqmi, del Mujao e di Ansar Eddine. Oppure i dispacci dei servizi inglesi che, per primi, hanno segnalato la concreta possibilità che l’operazione condotta contro l’impianto algerino di In Amenas potesse essere replicata soprattutto in Libia. Scenari, questi, che gravano ora sull’intervento militare francese che, come ha riconosciuto lo stesso Hollande, ha costretto i terroristi al ritiro senza determinarne, però, la sconfitta. Il santuario islamista dell’Azawad è stato chiuso dopo la fuga dei jihadisti, che ora attendono sul terreno a loro più favorevole le forze “crociate”, con l’intenzione di impantanarle tra i monti Adrar e le dune del deserto del Sahel. Ma questa è solo una delle scelte tattiche e strategiche assunte dalle formazioni jihadiste e filoqaidiste in risposta all’iniziativa militare di Parigi. “Sono almeno 15 – racconta al Foglio una fonte araba d’intelligence – i gruppi di terroristi suicidi, sul modello di quello che ha operato a In Amenas (divenuto già una leggenda per i jihadisti di mezzo mondo), pronti a colpire, specie in Libia, Niger e Algeria, gli interessi francesi e di altri paesi occidentali. Ciascun gruppo (composto da un minimo di 25 aspiranti martiri accuratamente selezionati) viene tenuto isolato dal resto dei miliziani e sottoposto a un duro addestramento da istruttori, la maggior parte dei quali ha combattuto in Algeria, Iraq e Afghanistan. La coltre di silenzio imposta dalle autorità di Algeri su quanto avvenuto a In Amenas non ha tuttavia impedito che fosse colto uno degli aspetti più preoccupanti della vicenda: la capacità, senza precedenti, mostrata da Aqmi e dai suoi alleati di riunire in un unico commando un così alto numero di terroristi suicidi”. L’ombra sanguinosa di In Amenas sembra volersi allungare verso la Libia, scelta dai jihadisti come sede organizzativa e operativa da contrapporre all’offensiva lanciata contro di loro. Il tutto nella consapevolezza che le autorità di Tripoli, nonostante le rassicurazioni date all’occidente, non sarebbero in grado di contenere l’eventuale onda d’urto proveniente dalla crisi maliana. Problemi che sono stati al centro delle dichiarazioni rese, la settimana scorsa, dal capo della missione Onu di supporto in Libia (Unsmil), il libanese Tarek Mitri, secondo cui oltre 200 mila ex ribelli armati si aggirerebbero liberamente nel paese in quanto “non ancora pronti per essere assorbiti” dall’esercito e dalle forze di polizia. Tra di essi proliferano le formazioni jihadiste, dedite a ogni tipo di traffici – prevalentemente droga e armi – che hanno manifestato apertamente la loro opposizione all’intervento militare francese nel Mali gettando le basi per una fattiva collaborazione con i gruppi terroristi fuggiti da quel paese. Gruppi che conoscono bene il sud del Sahara per averne attraversato più volte gli innumerevoli passaggi. Per la Libia, nonostante abbia chiuso dal 15 dicembre dello scorso anno i confini con Algeria, Ciad, Niger e Sudan, sarà impossibile nelle condizioni attuali impedire l’infiltrazione delle bande jihadiste salafite. La guerra giusta al terrorismo non si esaurisce “dans l’espace d’un matin”.
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