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La Stampa Rassegna Stampa
05.02.2013 Francia: ebrei in fuga verso New York
commento di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 05 febbraio 2013
Pagina: 1
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Ebrei in fuga da Parigi a Manhattan»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 05/02/2013, a pag. 1-15, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo "Ebrei in fuga da Parigi a Manhattan".
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Non abbiamo sentito in proposito la voce di Gilles Bernheim, Gran Rabbino di Francia, troppo preso dal crollo della civiltà occidentale a lanciare anatemi contro chi ha una visione della famiglia diversa della sua, per accorgersi che gli ebrei francesi se ne stanno andando, visto che in Francia essere ebrei è diventato un atto di grande coraggio. (ap)
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Maurizio Molinari     "Non è sepolto troppo in profondità"

Verso le 12 di ogni sabato sui marciapiedi dell’Upper West Side si sente parlare francese. Si tratta di gruppi di fedeli in uscita dalle sinagoghe sulla 75°, 78° e 84° Strada, frequentate da un numero di ebrei francesi che cresce ogni settimana.

Sono famiglie con bambini, giovani, docenti o manager. Il consolato sulla Fifth Avenue non ha stime numeriche di questo fenomeno, le cui manifestazioni si moltiplicano.

Nella «Manhattan Day School» i docenti si sono trovati ad accogliere i figli di una famiglia arrivata con un preavviso di pochi giorni.
Mentre Alessia Lefebure, direttrice dell’«Alliance Program» fra Columbia University e «Sciences Po», parla di «un notevole numero di docenti ebrei parigini che chiedono di insegnare qui».

Per comprendere cosa sta avvenendo bisogna entrare nel Jewish Center sulla 86 Strada, dove nel marzo 2012 gli ebrei newyorchesi si strinsero assieme ai correligionari francesi per commemorare le vittime della strage nella scuola «Ozar Hatorah» di Tolosa, dove il jihadista Mohammed Merah uccise un rabbino trentenne, i figli di 6 e 3 anni e un’altra bambina di 8 anni. A guidare quella cerimonia fu Zachary, 29 anni, di Strasburgo, manager nei trasporti. «Se New York si riempie di ebrei francesi il motivo è da rintracciarsi nel 2002 - spiega quando in coincidenza con la Seconda Intifada palestinese iniziò da noi una stagione di aggressioni fisiche da parte degli arabi che non è più cessata, hanno portato il conflitto del Medio Oriente nelle nostre strade». Oltre l’80% dei circa 600 mila ebrei francesi - la seconda comunità più numerosa fuori da Israele, dopo quella americana - viene da Marocco, Tunisia e Algeria. Famiglie sefardite con alle spalle secoli di convivenza con i musulmani, obbligate a fuggire dal Maghreb a causa dei pogrom arabi degli Anni 50-60 ma che avevano poi ritrovato in Francia la coesistenza fra fedi monoteistiche. «I sintomi dell’intolleranza musulmana verso di noi c’erano anche prima del 2002 - aggiunge Daniel, impiegato di una banca francese a Manhattan - ma la Seconda Intifada li ha trasformati in atmosfera asfissiante». «L’uccisione di Ilan Halimi, 23 anni, nel febbraio 2006 fu il primo choc. Poi ne sono seguiti altri» spiega David, padre di due figli, cresciuto a Las Lilas, alla periferia di Parigi: «Quando da ragazzo andavo a scuola il 20% dei residenti erano ebrei, ora non è rimasto quasi più nessuno».

L’allontanamento dalla Francia segue un percorso che Noam Ohana, manager di BeaconLight Capital, ricostruisce così: «Ci si sposta dalla periferia di Parigi al centro, fino al XVI quartiere che ha quasi più ristoranti kosher di Manhattan, e poi il salto successivo è verso Israele o New York». La tesi di Ohana, autore del libro «Da Science Po a Tzahal», è che «gli ebrei francesi se ne vanno per motivi che non si limitano all’intolleranza ma includono ragioni simili a quelle che spingono ad andarsene il ceto medio-alto, ovvero la ricerca di migliori opportunità rispetto ad una società che non consente più di pensare in grande». Come dire: è il modello francese ad essersi indebolito. Ciò che accomuna Zachary, Daniel, David e Noam è aver frequentato le scuole pubbliche, essersi formati nella «laicità dello Stato» e aver realizzato negli ultimi 5-6 anni che «la nazione è cambiata perché dilagano le polemiche religiose». Sui cellulari c’è chi ha memorizzato le immagini dei fischi alla Marsigliese nello «Stade de France» nell’agosto 2001, in occasione di Francia-Algeria, e li riascolta, sempre più incredulo per l’«intolleranza verso la nostra nazione». La sorella di David è stata aggredita a Nizza da alcuni arabi. «Episodi che avvengono in continuazione, in strada o sulla metro - aggiunge Aharon, designer in una start up - ti obbligano a camminare a testa bassa, a mettere il cappello per celare la kippà». Il rimprovero alla polizia è di «classificare spesso le aggressioni non come antisemitismo ma rapine o violenze» celando le vere dimensioni del fenomeno.

Le simpatie politiche sono a metà fra destra e sinistra. Ohana conosce dal di dentro i socialisti di Hollande ed assicura che «c’è la determinazione a garantire maggiore sicurezza agli ebrei» ma sulla possibilità di convincerli a tornare c’è chi è prudente: «Non possono controllare le aspirazioni di coloro, ebrei o meno, che vogliono andare altrove a perseguire i propri sogni». Aharon è più concreto: «Trovare lavoro in una corporation in Francia per gli osservanti è impossibile mentre a New York non bisogna neanche spiegarlo, tutti sanno che a Kippur, nelle feste o il sabato non lavoriamo». Il risultato è che Parigi è una città da cui gli ebrei se ne vanno, senza clamore ma con continuità, portandosi dietro tradizioni e simboli. Come le maglie della «AS Menorah», che gioca sui campi di Harlem, contribuendo a modificare l’identità di una Francia dove i musulmani aumentano e gli ebrei diminuiscono.

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