Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 01/02/2013, a pag. 3, l'articolo di Tatiana Boutourline dal titolo "Teheran riscopre l’arte del corteggiamento con il volubile Egitto ".
Tatiana Boutourline Mahmoud Ahmadinejad con Mohamed Morsi
Milano. Il nuovo oggetto del desiderio di Teheran si chiama Egitto. Per la seconda volta in quattro mesi, il ministro degli Esteri iraniano, Ali Akbar Salehi, si è recato in visita al Cairo dal 9 al 10 gennaio. La stampa iraniana ha fornito ragguagli costanti sui progressi della missione ed esperti iraniani ed egiziani hanno commentato l’upgrading delle relazioni tra Teheran e Damasco su tutti i canali della tv iraniana.
Negli incontri con il presidente Mohammed Morsi e con lo sheikh Ahmed al Tayyeb della moschea di al Azhar, Salehi ha sottolineato l’esistenza di obiettivi comuni, ha glissato sulla Siria e ha insistito sull’importanza di promuovere l’unità della comunità islamica (gli attriti tra sciiti e sunniti – ha sottolineato – sono amplificati dalla stampa occidentale). Per suggellare l’intesa, Salehi ha poi suggerito il Cairo come sede dei prossimi negoziati sul nucleare tra l’Iran e i 5 più 1. Le cronache iraniane registrano “una grande alchimia” tra Morsi e il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, ma la candidatura è piuttosto la conferma che Ali Khamenei intravede convergenze con il nuovo corso della politica estera egiziana.
Ripiegato sui disordini interni, il Cairo non ha ancora sciolto la riserva sulla possibilità di ospitare i colloqui (le reazioni egiziane sembrano tiepide, ma Salehi dice che lo stallo è da attribuirsi all’occidente) e Khamenei deve ancora sciogliere il rebus sul pragmatismo di Morsi: andrà o no in una direzione favorevole all’Iran? Per Teheran il feeling con il Cairo si è manifestato per la prima volta nel febbraio del 2011 quando l’Egitto ha lasciato che una nave da guerra iraniana varcasse il canale di Suez. “Il regime precedente vedeva l’Iran come un nemico, noi no”, disse pochi mesi dopo un portavoce governativo. Nel frattempo delegazioni di politici e businessmen hanno fatto la spola tra il Cairo e Teheran e, all’inizio del 2012, i Fratelli musulmani hanno ipotizzato che il trattato di pace con Israele potrebbe non essere più vincolante. Tuttavia, nonostante la relazione sia in via di ridefinizione, prevale la sensazione che questa campagna d’Egitto resti impervia per Teheran. L’Iran sfodera le sue armi seduttive – il presidente, Mahmoud Ahmadinejad, ha assicurato di essere disposto a prestare la sua opera in una fabbrica egiziana pur di aiutare i nuovi amici a far fronte alle difficoltà economiche – ma il Cairo accoglie le sue profferte con l’entusiasmo di una dama vittoriana.
Ma nel risiko regionale post primavera araba, l’Egitto rappresenta un tassello troppo significativo perché l’Iran rinunci al suo corteggiamento. Poco prima della trasferta di Salehi, al Cairo si è tenuta una conferenza smaccatamente anti iraniana. Lo chargé d’affaires iraniano Mojtaba Amani ha protestato, ma le autorità hanno obiettato: “Certi eventi sono al di fuori del nostro controllo”. In un mesto debriefing con i suoi superiori ad Amani non è rimasto che confermare: “Ci sono tendenze politiche differenti in Egitto e alcune si oppongono alla ripresa delle relazioni”. Il momento più imbarazzante per Teheran è però andato in scena l’agosto scorso durante il vertice dei paesi non allineati. Morsi era atteso alla conferenza come una rockstar, il primo presidente egiziano a Teheran dai tempi di Anwar Sadat. Doveva essere il trionfo del marketing diplomatico iraniano e la presenza del segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, moltiplicava l’eco dell’evento. Per l’agenzia Fars la partecipazione di Morsi era la conferma che l’Egitto “stava voltando le spalle all’America e a Israele”. Al dunque, però, l’uomo del momento si è lanciato in un attacco veemente contro Bashar el Assad. La delegazione siriana ha lasciato la conferenza all’istante. “Morsi è politicamente immaturo”, ha commentato un politico conservatore, ma i contatti con il presidente non sono stati interrotti.
L’amara primavera araba
La primavera araba si è rivelata amara per le pubbliche relazioni di Teheran. Fino al 2011 l’Iran ha felicemente cavalcato la causa panislamica e l’ostilità della comunità internazionale nei confronti del suo programma nucleare pareva inversamente proporzionale alla simpatia delle piazze mediorientali. Di questi tempi però l’immagine del regime è in caduta libera: da campione della riscossa palestinese antisionista e anti imperialista a sponsor della mattanza siriana. Mentre la minaccia di uno strike incombe sui cieli iraniani, da Riad a Manama ad Ankara non c’è nessuno nella regione interessato a spezzare l’isolamento di Teheran.
L’Iran, dunque, guarda al Cairo. A settembre il ministro del Petrolio, Rostam Qasemi, ha annunciato la probabile vendita di due milioni di barili di petrolio all’Egitto, ma Morsi ha capito che l’accordo gli avrebbe sbarrato l’accesso al sistema finanziario americano ed è saltato tutto. Successivamente l’Egitto ha incluso Teheran in un gruppo di mediatori regionali sul dossier siriano, ma la sfida di far dialogare Iran, Arabia Saudita e Turchia si è rivelata improba. Secondo il Times, poco dopo Natale Qassem Suleimani, famigerato capo della milizia al Quds, ha incontrato al Cairo Essam al Haddad, il consigliere per la politica estera del presidente egiziano. Suleimani avrebbe suggerito a Morsi la creazione di un apparato di intelligence parallelo, indipendente dai servizi segreti controllati dai militari. Il ritmo dei contatti tra Teheran e il Cairo è rilevato con crescente irritazione dai sauditi.
Per il quotidiano al Asharq al Awsat, “la politica iraniana è un virus che sta contaminando le relazioni tra l’Egitto e gli altri paesi arabi”. Si tratta di avvertimenti di cui Morsi non può non tenere conto visto che l’Iran non potrebbe competere con la munificenza dimostrata dal Consiglio di cooperazione del Golfo (e da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti in particolare). E’ Damasco però il freno principale alla corsa iraniana verso il Cairo: “Se cade lui (Assad ndr), il fronte della resistenza verso Israele sarà rotto”, ha spiegato l’influente Ali Akbar Velayati. Teheran cerca una sponda con Mosca e avverte: “Un attacco contro la Siria sarà considerato un attacco contro l’Iran e i suoi alleati”.
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