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La Stampa Rassegna Stampa
30.01.2013 La priorità dei governi israeliani deve essere la pace coi palestinesi
Yehoshua, però, perchè non analizza mai la posizione palestinese ?

Testata: La Stampa
Data: 30 gennaio 2013
Pagina: 1
Autore: A. B. Yehoshua
Titolo: «Una proposta semplice per Yair Lapid»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 30/01/2013, a pag. 1-29, l'editoriale di A. B. Yehoshua dal titolo " Una proposta semplice per Yair Lapid ".


A. B, Yehoshua            Yair Lapid

Siamo d'accordo con A. B. Yehoshua quando si augura la pace tra Israele e palestinesi. Chi non lo vorrebbe ?
Yehoshua, però, analizza sempre e solo la posizione israeliana, come se fosse il responsabile dello stallo dei negoziati. Forse farebbe piacere anche ai lettori della Stampa un'analisi del comportamento e dei desideri della controparte palestinese.
Per esempio, quali mosse avrebbe fatto Abu Mazen per dare un nuovo slancio ai negoziati? Nelle sue commemorazioni pubbliche degli assassini di Monaco (da lui descritti come eroi) si può intravedere una volontà di avere rapporti amichevoli con lo Stato ebraico? Senza dimenticare la esaltazione dei martiri suicidi.
Ecco il pezzo di Yehoshua:

I risultati delle elezioni parlamentari israeliane ovviamente mi rallegrano ma al tempo stesso mi inquietano.

La gioia più grande è dovuta al fatto che l’arroganza e la tendenza al razzismo dei partiti di destra, che ricorrono in maniera cinica e demagogica a slogan apparentemente patriottici, non solo è stata frenata ma anche respinta. La sconfitta del partito unificato di Netanyahu e Lieberman, un partito che ha accentuato l’estremismo di destra di entrambe le fazioni e incoraggiato quello dei partiti religiosi, non solo ha dimostrato l’errore tattico compiuto dal primo ministro, patrocinatore dell’alleanza del suo partito, il Likud, con quello di Liebermann, ma ha confutato la tesi della destra secondo la quale è la stessa destra la fedele rappresentante della vera volontà del popolo, che non crede in una pace con i palestinesi. La classe media e i laici israeliani, che hanno partecipato in maniera massiccia alla grande protesta sociale dell’estate del 2011, hanno osato respingere gli allarmismi isterici e di Netanyahu e indicare una strada diversa.

Non dobbiamo però dimenticare che, anche se il clima generale in Israele appare ora più umano, il grande partito guidato dall’ex giornalista Yair Lapid, dal quale dipende la composizione del terzo governo Netanyahu, è una formazione alle prime armi: lui e i suoi compagni dovranno stare attenti a non cadere facile preda di sofisticate manipolazioni di veterani del Likud e dei partiti religiosi.

Questo nuovo partito centrista, creato dal nulla come altri suoi predecessori, dovrà consolidarsi ideologicamente e politicamente all’interno della Knesset se vorrà evitare un destino analogo a quello di altri partiti di centro guidati da personalità famose saliti alla ribalta con grande clamore e con trionfali vittorie ma svaniti nel nulla dopo una o due legislature. Uno di questi partiti era quello anti-religioso fondato dal padre di Yair Lapid, il giornalista Tomi Lapid, eletto con un notevole numero di rappresentanti ma ben presto scomparso. Lo stesso destino subì il partito Dash, fondato nel 1977 non da un giornalista bensì da uno degli uomini più ammirati a quel tempo in Israele, il generale Yigael Yadin, celeberrimo combattente della Guerra di Indipendenza del 1948 e brillante docente di archeologia che raccolse intorno a sé personalità di tutto rispetto. Ma anche quel partito liberale, alleatosi con Menachem Begin, non poté evitare la deriva a destra e dopo pochi anni si sgretolò.

Un partito, per poter essere ben strutturato e mettere profonde radici nella realtà israeliana, non deve avere solo un programma politico ma anche una base ideologica. E anche il nuovo partito di Yair Lapid, malgrado la simpatia che provo nei suoi confronti, rivela la debolezza tipica della sinistra laica israeliana, armata di buone intenzioni ma priva di quella stabilità ideologica in grado di garantire una sua duratura presenza politica. Di conseguenza un suo sgretolamento e una sua frantumazione sono sempre in agguato.

Come si dovrebbe destreggiare allora nella complessa realtà israeliana, assillata da problemi esistenziali e di identità nonché dalle preoccupazioni economiche tipiche di un paese avanzato? A mio parere sarebbe un peccato se investisse tutta la sua energia nella lotta per la revoca dell’esonero dal servizio militare dei giovani ultraortodossi e l’abolizione dei generosi sussidi garantiti agli studenti delle yeshivà, le accademie talmudiche. Obiettivi di indubbio valore morale ma poco significativi rispetto al problema fondamentale che deve affrontare lo stato di Israele: come fermare il pericolo di uno stato binazionale.

Un ritorno al negoziato è senz’altro importante, ma Israele ha già alle spalle migliaia di ore di trattative, di conferenze e di riunioni con i palestinesi. E la pace ancora non c’è, sia a causa del divario di base tra le due parti ma soprattutto a causa della mancanza di una reale pressione da parte della comunità internazionale per il raggiungimento di un accordo. Il nuovo partito di Lapid potrebbe allora avanzare una richiesta concreta, reale: l’immediata sospensione di nuove costruzioni negli insediamenti e lo smantellamento di tutti gli avamposti illegali sparsi sulle terre dei palestinesi in Cisgiordania. Una richiesta di tutto rispetto che potrebbe essere facilmente implementata anche senza la buona volontà dei palestinesi e che non implica uno scontro diretto con i coloni. Se Lapid e i suoi compagni la metteranno in atto noi, veterani sostenitori della sinistra che hanno votato per il partito Merez e che hanno seguito dubbiosi la mossa del giornalista Lapid, potremo levare davanti a lui e ai suoi compagni tanto di cappello.

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