Magari non dovrei, ma sono sollevato
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Auschwitz
Cari amici,
devo confessarvelo, ogni anno, quando finisce la giornata della memoria mi sento sollevato. Capisco naturalmente la sua utilità, la necessità di avere una data di riferimento per il ricordo della Shoah, e mi sento profondamente parte del lutto per la morte di quella metà del popolo ebraico che è stata sterminata dal nazismo - anche se la data fissata dalle autorità religiose ebraiche per questo lutto non è il 27 gennaio, ricorrenza della liberazione di Auschwitz, ma un un altro giorno del calendario ebraico di poco precedente quello in cui si ricorda la fondazione dello Stato di Israele.
Mi sento sollevato, come deve sentirsi sollevato per l'ebraismo chiunque esca da un lutto. La vita deve continuare, bisogna ricordare il dolore della scomparsa ma non restarvi catturati: questo è un insegnamento dell'ebraismo, che impone sempre la memoria, proibisce la rimozione fisica dei corpi dei defunti e quella mentale della loro identità; ma dà al lutto limiti precisi, codificandone esplicitamente le fasi e stabilendone i limiti.
Ma mi sento più sollevato perché fatico a reggere una certa retorica che con tutte le migliori intenzioni si è costruita e si frequenta intorno alla Shoah. La parola "Olocausto", per esempio, che è tratta dal lessico dei sacrifici che si sono fatti alla divinità. La Shoah (che in ebraico vuol dire catastrofe, disastro) non è stato un sacrificio, è stato un orribile crimine, Dio non c'entra, sono stati degli uomini, dei movimenti politici, degli Stati, una certa cultura. Autorevolissimi prelati hanno parlato di Auschwitz come del Golgota, implicando una specie di ripetizione della morte di Gesù. Capisco che dal punto di vista cristiano questa sia una sacralizzazione e un riconoscimento; ma dal mio è un errore. Non bisogna cercare di costruire una teologia della Shoah, bisogna semmai capire quali convinzioni teologiche e religiose l'hanno favorita e giustificata. Per esempio quelle di coloro come molti nella storia cristiana, dai padri della Chiesa fino ad Agostino, a molti papi, a Lutero e oggi ai lefebvriani e a certi vescovi del Medio Oriente, hanno propalato l'immonda calunnia del "popolo deicida", con le calunnie secondarie del sangue cristiano impastato nelle azzime, dell'avvelenamento dei pozzi, della profanazione dell'ostia. E nel mondo islamico di quelli che hanno diffuso le calunnie parallele degli ebrei discendenti dalle scimmie e dai maiali, nemici e assassini dei profeti, eccetera eccetera. Tutti coloro che, religiosi ma anche laici, hanno decretato che il futuro (la parusia, il secondo avvento, il giudizio finale di Allah, la società senza classi, il dominio della ragione, quel che volete, sarebbe avvenuto solo con la scomparsa del popolo ebraico. Poco importa se questa scomparsa doveva essere assimilazione, conversione, acquisto della cultura occidentale o altro. Alla fine la scomparsa è diventata la soluzione finale.
Sono sollevato perché non mi piace la parte della vittima. Non mi interessa che i miei fratelli uccisi siano onorati con monumenti e bei discorsi. Capisco che i monumenti e i discorsi servano alla memoria, ma il rischio di essere fissato in un'essenza di vittima, di avere il dovere di fare la vittima, di essere buono in quanto vittima mi sembra intollerabile, in realtà non il contrario della Shoà ma la sua continuazione. Come diceva Golda Meir, preferisco che ci vogliano condannare piuttosto che compiangere. Il senso è che se ci condannano siamo vivi, se ci compiangano siamo morti.
E qui vengo alla ragione vera del disagio, la separazione fra Shoah e Israele. In occasione della giornata della memoria, oltre che i sinceri amici del popolo ebraico, si scatenano i nemici di Israele, quelli che dicono che gli ebrei oggi fanno ai palestinesi quello che hanno subito dai nazisti. Il che è palesemente, clamorosamente falso. Per dare solo due dati. Primo: nelle guerre arabo-israeliane fra morti civili e militari, terroristi e loro vittime, i morti sono stati circa 50 mila, dalle due parti. Molto meno delle vittime della guerra civile siriana. Meno dell'un per cento della popolazione. Tantissimi di cui portare il lutto (per gli innocenti uccisi dal terrorismo, per coloro che sono caduti in difesa del diritto alla vita di Israele). Ma senza alcun confronto con il progetto nazista di distruzione totale del popolo ebraico e la sua realizzazione al 50 per cento (cui per quanto poterono, gli arabi della Palestina dettero il loro contributo). Secondo: non è vero che Gaza sia Auschwitz, basta vedere le fotografie, leggere dei rifornimenti, sapere delle visite di stato che vi si recano, guardare i razzi che vi si costruiscono e che vi si lanciano contro le città israeliane.
Ecco, io sono sollevato soprattutto di non dover sentire più quest'anno il ricordo e le condoglianze di gente che, per quanto sta in loro, aiutano al progetto di una seconda distruzione del poipolo ebraico, che è quasi unanime nel mondo arabo e musulmano. Non mi importa niente di chi compiange gli ebrei morti e non vuole che gli ebrei vivi si difendano. Considero costoro altrettanto ributtanti e forse più (in quanto ipocriti) di coloro che semplicemente celebrano il progetto hitleriano con gioia e magari rimpiangono che non si sia compiuto, come si legge sui media arabi. Sono sollevato di non sentirli più parlare dei crimini del nazismo, mentre favoriscono quelli dell'islamismo. Magari non dovrei, ma sono sollevato.
Ugo Volli