Bene ha fatto Stefano Montefiori a intervistare Olivier Roy, giudicato un esperto guru del mondo arabo, che però non ne imbrocca mai una giusta. Aveva visto la rivolta contro Mubarak come l'inizio di un nuovo Medio Oriente, sottovalutando il pericoli già presente dei Fratelli Musulmani, prendendo quindi una sonora cantonata. Continua oggi, anche se cerca miserabili giustificazioni. Accusa infatti i ribelli al governo Morsi di non essere pronti per la democrazia, mentre la reaaltà è un'altra. I giovani di piazza Taharir lottavano per la modernità e la democrazia, ma sono stati schiacchiati dai Fratelli Musulmani. Se l'Europa non capisce nulla del fondamentalismo islamico deve rigrazioare i vari Roy. Ecco l'intervista uscita oggi 27/01/2013, a pag.12, sul CORRIERE della SERA:

Olivier Roy
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
PARIGI — L'idea di fondo di Olivier Roy, esperto francese di islam e docente all'Istituto universitario europeo di Firenze, è che con le primavere arabe sono crollati cinquant'anni di cultura politica: culto del capo carismatico, socialismo arabo, panarabismo e anche islamismo, nonostante l'avanzata dei Fratelli musulmani (che infatti una volta arrivati al potere in Egitto e Tunisia vedono la loro ideologia scontrarsi con la realtà). Tutte quelle ideologie sono finite, e al loro posto la democrazia tarda a impiantarsi.
I morti di ieri a Port Said sono cronaca o politica?
«Entrambe le cose, in questa fase qualsiasi fatto di cronaca diventa oggetto di una strumentalizzazione politica. Quel che ha fatto seguito alle primavere arabe è una cultura della contestazione e della protesta più che una cultura della democrazia. Tutto diventa politico, anche una partita di calcio o la sentenza sugli scontri seguiti a una partita di calcio».
I giudici che ieri hanno emesso le condanne contro gli ultrà sono parte del vecchio sistema?
«Sono sicuramente percepiti — a torto o a ragione — come espressione dell'era Mubarak. I Fratelli musulmani al potere da pochi mesi non hanno avuto modo di mettere i loro uomini nella magistratura, i giudici sono ancora gli stessi di un tempo, ma si tratta di un apparato giudiziario relativamente indipendente, va detto. Già all'epoca di Mubarak i magistrati erano abbastanza professionali. Ciò non toglie che la piazza possa identificare anche loro come "il sistema"».
Le manifestazioni e gli scontri sono spontanei o organizzati?
«Sono azioni spontanee, che a posteriori assumono un significato e un'importanza politici. L'opposizione non è abbastanza strutturata per organizzare proteste e usare la situazione di caos a proprio vantaggio. Ci possono essere provocazioni e elementi che giocano alla politica del tanto peggio tanto meglio, uomini dell'ancien régime e elementi radicali. Ma, di fondo, c'è l'incapacità di tutti — dei Fratelli musulmani e della cosiddetta opposizione liberale — di strutturare politicamente la protesta. Sono violenti moti di strada».
Che pensa della minaccia dei laici di boicottare il voto legislativo?
«È una mossa che illustra bene il vero problema dell'Egitto di oggi. Anche l'opposizione liberale resta nella dinamica del confronto e dell'antagonismo, invece che affidarsi a una cultura della democrazia. I laici considerano il regime dei Fratelli musulmani come illegittimo, e lo stesso accade in Tunisia. Chiedono la partenza di Morsi, l'annullamento della Costituzione, boicottano le elezioni».
Su Morsi pesano i sospetti di brogli passati.
«Ma anche in caso di irregolarità, l'atteggiamento dell'opposizione non è democratico. I liberali dovrebbero partecipare alle prossime elezioni legislative, dove conservano intatte le possibilità di conquistare la maggioranza. Nessuno degli attori in gioco si pone in un'ottica istituzionale e democratica. Tutti scelgono la strada della protesta e della negazione dell'altro. La delegittimazione continua dell'avversario politico. Così si sprigiona il caos».
Che può fare l'Occidente?
«Non molto, ed è bene che non intervenga. Intanto perché non ha i mezzi per farlo, poi perché troppa retorica, troppa voglia di impartire lezioni non fa che alimentare la tensione. Questo non è proprio il momento di mettersi a dare voti ai buoni e ai cattivi».
Quanto ci vorrà per avere più stabilità?
«Molto tempo, immagino. Del resto mi avrebbe stupito il contrario. L'avvento di una democrazia compiuta è un processo di lungo termine, non un evento puntuale».
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