La neve nell’armadio Enrico Mottinelli
Auschwitz e la vergogna del mondo
Giuntina Euro 12
“Credo che tutti i sopravvissuti si vergognano per sé, e per chi ha permesso, per chi è rimasto in silenzio o ha partecipato all’annientamento di milioni di innocenti nella civile e cristiana Europa”
Queste parole così intense, come solo possono essere quelle che scaturiscono da chi ha conosciuto il Male Assoluto, sono tratte dalla conversazione che Enrico Mottinelli ha avuto con Edith Bruck, scrittrice ebrea sopravvissuta ad Auschwitz, posta in appendice al saggio “La neve nell’armadio” che la casa editrice Giuntina, specializzata in testi di argomento ebraico, manda in libreria in questi giorni.
Caporedattore alla Garzanti, l’autore ha esordito nella narrativa con il romanzo “Lontano padre” (e/o) e, dopo aver pubblicato nel 2008 “Il sapore del ferro” (Carte scoperte), approda alla saggistica con un’opera di pregio.
La neve nell’armadio, il cui titolo richiama il verso di una poesia di Nelo Risi, marito di Edith Bruck, è un saggio che sin dalle prime pagine colpisce il lettore per l’alta cifra linguistica e per l’accuratezza dell’analisi attorno a quell’inspiegabile sentimento della vergogna che pervade i superstiti della Shoah e che per tutta la vita alberga nel loro animo.
Con l’ausilio di un ampio corredo di note l’autore riflette sul tema della vergogna della vittima cioè non di chi ha commesso un atto riprovevole bensì di chi lo ha subito e da qui estende la sua riflessione alle vittime di Auschwitz domandandosi quale sia il significato della loro “vergogna”.
Mottinelli identifica Auschwitz in un’accezione più ampia, preferendolo ad altri termini quali Shoah o Olocausto perché Auschwitz è il luogo per eccellenza dello sterminio dove si è compiuto il più grave scempio da parte di esseri umani nei confronti di altri esseri umani.
Una riflessione limpida e appassionata è quella che l’autore dedica alla “fatica della testimonianza e dell’incredulità altrui” tali al punto che “parlare di quell’inferno risulta doppiamente penoso: per la lividezza dell’orrore impresso nelle carni e rivissuto ogni volta con lo stesso dolore; e per la diffidenza degli ascoltatori”.
Se le vere vittime di Auschwitz sono coloro che sono stati gassati nelle finte docce e poi accatastati come pezzi di legna su altri cadaveri in attesa di entrare nei forni crematori e i “salvati” sono in realtà un errore nel ciclo perfetto dello sterminio, fra le prime non si può non tenere conto dei sopravvissuti che, una volta tornati a casa, hanno percepito così intenso il tormento della loro esistenza da preferire il suicidio.
E dunque se l’esperienza di Auschwitz è stata così devastante da rendere loro insopportabile la vita: “…non è un modo anche questo di dare la morte?”
La vergogna della vittima dei campi di sterminio cresce inesorabilmente anche per il senso di colpa che la pervade a posteriori sia per non aver fatto abbastanza per opporsi all’orrore, sia per aver accettato senza ribellarsi l’esproprio della dignità pur di avere salva la vita. A questo stato d’animo va aggiunto il rimorso per la mancata solidarietà con i compagni.
Nella seconda parte del libro Mottinelli riflette sulla responsabilità della memoria che deve passare dai testimoni diretti, ormai sempre meno per ragioni anagrafiche, a ciascuno di noi che non potrà esimersi dal dovere di conoscere e tramandare alle future generazioni l’”eredità” dei sopravvissuti.
In quanto essere umani Auschwitz riguarda tutti noi e “…se chi è portato a guardare dentro Auschwitz sente il peso dell’inguardabilità, sente la presenza di un intollerabile, percepisce il pudore violato dell’essere dell’uomo, coglie un denudamento che tocca l’intimità dell’essere delle vittime oltre l’abuso compiuto sui loro corpi, allora costui è una nuova vittima di Auschwitz e ne diventa perciò un potenziale testimone”.
Edith Bruck non ha dubbi sul valore e la necessità della “testimonianza” che per lei è “l’adempimento di una promessa, quella fatta ai sommersi del lager che le chiedevano di non dimenticare, di raccontare un giorno quello che stava vedendo” benché ogni racconto rappresenti il tormento di una nuova immersione nell’orrore, con la consapevolezza che ciò che è più essenziale non si può dire a parole né capire sino in fondo.
Educare alla memoria è compito delle istituzioni – afferma Edith Bruck – e bisogna rifuggire dallo “spettacolo” dello sterminio che il 27 gennaio invade gli schermi televisivi perché l’educazione deve essere costante e dosata.
“La memoria è importante per qualsiasi cosa. La nostra vita è fatta di memoria, se perdessimo la memoria la vita non avrebbe più alcun valore”
Fra le molte proposte editoriali che ogni anno arrivano in libreria per il giorno della memoria il saggio di Enrico Mottinelli spicca per l’analisi approfondita di un tema così complesso come quello della vergogna delle vittime, per l’accurata ricostruzione storica e per la capacità di penetrare con garbo e sensibilità nel dolore incommensurabile dei sopravvissuti alla Shoah.
Un’opera preziosa che invita a riflettere sull’eredità del passato e sugli insegnamenti che da esso possiamo trarne per un futuro di pace e tolleranza.
Giorgia Greco