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La Repubblica Rassegna Stampa
25.01.2013 Turchia, avanti verso il il Califfato
il velo islamico ora permesso anche nei tribunali

Testata: La Repubblica
Data: 25 gennaio 2013
Pagina: 15
Autore: Alix Van Buren
Titolo: «Col velo in tribunale, in Turchia la svolta delle donne avvocato»

Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 25/01/2013, a pag. 15, l'articolo di Alix Van Buren dal titolo "Col velo in tribunale, in Turchia la svolta delle donne avvocato".

Turchia, ora il velo sarà "permesso" anche nei tribunali. Continua indisturbato il piano di islamizzazione della Turchia iniziato da Recep Erdogan. LaTurchia laica di Kemal Atatürk destinata a diventare solo un pallido ricordo, nel silenzio generale. Oggi il velo è "permesso". Domani sarà "obbligatorio"?
Ecco il pezzo:

I notiziari turchi esultano: «Le avvocatesse da oggi potranno esercitare in Tribunale con il capo coperto dall’hijab”, il velo islamico: «È caduto un altro ostacolo», il divieto di esibire simboli religiosi nelle corti giudiziarie come negli edifici della pubblica amministrazione. In verità, sono i settori vicini al governo ad applaudire la misura presa dal Consiglio di Stato di Ankara. Perché una buona metà della Turchia, invece, bofonchia contro l’ennesimo «slittamento del Paese verso l’islamizzazione», iniziato a loro avviso dopo l’ascesa al potere di Erdogan, attuale primo ministro, fondatore del Partito per la giustizia e lo sviluppo (Akp) nato da una costola del Refah, una formazione islamista. Lo stesso Erdogan, del resto, aveva imperniato la trionfale campagna elettorale del 2002 sulla promessa di liberalizzare l’hijab.
Visti i numeri nelle urne, non sorprende che molte donne si siano battute al suo fianco, intente a picconare il “kemalismo”, l’ortodossia ufficiale dello Stato contenuta nel nazionalismo laico introdotto negli Anni Venti da Mustafa Kemal Ataturk, il padre fondatore della Turchia moderna. Non stupisce nemmeno che l’hijab sia diventato un simbolo potente dello scontro fra kemalismo e Islam: più in generale, fra i “custodi” della laicità — i generali — e gli islamisti che li hanno allontanati dal potere. A forza di picconate, due anni fa il velo islamico è entrato nelle università.
Ora, a rispecchiare la polarizzazione della società, nei campus universitari e negli edifici pubblici si vedono distese di teste sia velate sia scoperte: l’impiegata avrà, per obbligo, i capelli sciolti, mentre la madre venuta a trovarla indosserà il “turban” islamico. A proposito del quale, s’incappa in un’altra incongruenza: ferreamente interdetto dai militari nelle proprie sedi, l’hijab è consentito a patto che le signore rimuovano lo spillone che tiene il velo accostato al mento. Eppure questo diventò un affare di Stato, quando Emine Erdogan, moglie del premier, un passato da islamista anche lei, fu respinta dai militari per il rifiuto di togliere lo spillone. La signora Emine non è sola: dalla sua parte ha milioni di musulmane: «Siamo noi la vera faccia della Turchia», dice. Ribatteva Mehmet Ali Birand, uno dei più ascoltati commentatori liberali, scomparso giorni fa: «La questione della libertà di fede poteva valere fino a poco fa. Ora è una lotta fra Islam moderato e Islam radicale. È una guerra all’interno della nostra società».

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