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Il Giornale - Il Foglio - La Stampa - Corriere della Sera - La Repubblica Rassegna Stampa
24.01.2013 Elezioni in Israele, con chi formerà il governo Netanyahu ?
Cronache e commenti di Fiamma Nirenstein, Giulio Meotti, Aldo Baquis, Davide Frattini, Bernardo Valli. Intervista a David Grossman di Fabio Scuto

Testata:Il Giornale - Il Foglio - La Stampa - Corriere della Sera - La Repubblica
Autore: Fiamma Nirenstein - Giulio Meotti - Aldo Baquis - Davide Frattini - Bernardo Valli - Fabio Scuto
Titolo: «Israele senza veri vincitori. Ora la palla passa al centro - Israele, Netanyahu in cerca di alleati, Lapid strizza l’occhio - L'uomo più sexy di Tel Aviv che piace alla classe media: 'Bibi ha sbagliato con Obama' - Uno spiraglio di pace - Bibi non potrà»

Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 24/01/2013, a pag. 12, l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo " Israele senza veri vincitori. Ora la palla passa al centro". Dal FOGLIO, a pag. 1-4, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo " “Bibi e Lapid insieme”. La crisi di Netanyahu e l’attrazione del centro ". Dalla STAMPA, a pag. 16, l'articolo di Aldo Baquis dal titolo " Israele, Netanyahu in cerca di alleati, Lapid strizza l’occhio ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 15, l'articolo di Davide Frattini dal titolo " L'uomo più sexy di Tel Aviv che piace alla classe media: «Bibi ha sbagliato con Obama» ". Da REPUBBLICA, a pag. 1-27, l'articolo di Bernardo Valli dal titolo " Uno spiraglio di pace ", a pag. 15, l'intervista di Fabio Scuto a David Grossman dal titolo " Bibi non potrà più fare l'estremista, ora riparta il dialogo con i palestinesi ", preceduti dal nostro commento.

I commenti di IC riguardanti le elezioni israeliane sono contenuti nei pezzi di Deborah Fait e Manfred Gerstenfeld, pubblicati in altre pagine della rassegna.
Per leggerli, cliccare sui link sottostanti:

http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=&sez=70&id=47833
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=&sez=360&id=47834

Ecco i pezzi:

 

Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein : " Israele senza veri vincitori. Ora la palla passa al centro "


Fiamma Nirenstein

L'avevano sbagliata tutti; tv, carta stampata, politi­ci di tutto il mondo che metteva­no in guardia contro una vitto­ria schiacciante di Benjamin Netanyahu, «King Bibi», come lo aveva sfottuto il Time magazi­ne sbattendone una foto poco rassicurante in copertina. Avrà una maggioranza schiaccian­te, dicevano, contornata dalla crescita della destra. Perchè, sia chiaro, insistevano per co­lonne e colonne ( vedi per esem­pio l’articolo su Herald Tribune di Jodi Rudoren alla vigilia elet­torale) Israele va a destra, oh quanto a destra, nel profondo dei buchi neri dell’etica corren­te, contro Obama, contro l’Eu­ropa, contro l’Onu. Ma le note di biasimo preventivo si sono in­frante sulla grande sorpresa di queste elezioni israeliane: 19 seggi al bel cinquantenne Yair Lapid, capo di Yesh Atid , «C’è un futuro». Fino a due anni fa, era un giornalista e conduttore tv famoso, insofferente con i re­ligiosi che non vogliono servire l’esercito e pesano sulla socie­tà. Yair ha condutto una campa­gna garbata contro Netanyahu, diversa da tutti. Quieto e bor­ghese, difensore della classe media intellettuale, il ragazzo del 63 ha sbancato i croupier , e ora Netanyahu deve vedersela inaspettatamente soprattutto con lui se vuole tentare di for­mare un governo con un mini­mo di stabilità. Altrimenti, le prossime elezioni sono già in vi­sta. Perchè è vero che Bibi, insie­me a Avigdor Lieberman, capo del partito Israel Beitenu , «Israe­le la nostra casa», ha preso 31 seggi che ne fanno l’evidente candidato a formare ancora una volta il governo. É vero an­che che Bennett ha raddoppiato i voti, arrivando a 12 mandati, e che quindi il fronte conservato­re, insieme a Shas, che ha 11 seg­gi, più altri partititini di destra arriva a 60 seggi (la Knesset ne ha soltanto 120) e uno o due in più si rastrellano sempre, forse il povero Kadima ridotto quasi a zero (due seggi, e non è detto).
Ma anche l’altrofronte,quel­lo di centro sinistra, se Yair ci sta, può arrivare esattamente al­lo stesso numero, alle elezioni precedenti ne aveva 55. Dun­que è chiaro perchè Bibi ha de­dicato la sua prima telefonata,
nella notte fra martedì e merco­ledì, a Yair. Congratulazioni, gentilezze e poi: «Potremo fare grandi cose per questo Paese». Quindi, dichiarazioni sulla ne­cessità di formare un governo più largo possibile. I partiti di si­nistra, ce la stanno mettendo tutta per cercare di formare una loro coalizione, anche se il loro voto è molto più frammen­tato e non ha un leader come Bi­bi. Dopo Yesh Atid di Lapid ven­go­no i laburisti con l’ex giornali­sta Shelley Yekimovitch, solo 15 seggi. Anche nella povera performance ha dichiarato che con Netanyahu mai e poi mai. Lo stesso in termini ancora più furiosi lo ha fatto Tzipi Livni, che ha fondato Tnua , «Movi­mento », ma ha preso solo 6 seg­gi. Tuttavia Tzipi si vede, dato il suo passato di ministro degli esteri, come il leader naturale di una coalizione di sinistra, e la sua campagna ha esaltato l’opi­nione pubblica internazionale antisraeliana in modo imbaraz­zante: Bibi non è amico di Oba­ma, ci isola, ci mette in crisi, fac­ciamolo fuori. I suoi nemici non si occupano del fatto che Netnayahu abbia ribadito la te­si dei «due stati per due popoli», abbia invitato Abu Mazen a se­dersi senza precondizioni mil­le volte, abbia reagito con co­struzioni nel West Bank solo do­po che i palestinesi sono andati all’Onu a farsi dare unilateral­mente uno Stato. Bibi è stato persino accusato di aver agita­to troppo il problema dell’Iran, come fosse una piccolezza. La sinistra odia Bibi, ma Lapid no, e non sembra realistico che va­da in coalizione con i tre partiti arabi antisionisti, 10 seggi.
Se vogliamo capire perchè La­pid ha preso tanti voti, la rispo­sta sta nel sogno di Israele, com­movente e illusorio, di essere un quieto Paese democratico e occidentale, in cui si sollevano temi economici tipici di una classe media in sofferenza co­me dappertutto, senza urlare, come ha fatto Yechimovich; si sollevano temi strategici con ri­spetto
per l’esercito, il timore dell’Iran e della Fratellanza Mu­sulmana, a differenza della Liv­ni. Yair il privilegio di non avere quell’atteggimento duro che al­lontana l’israeliano medio dal sogno di essere normale. Yair sarebbe un buon ministro degli esteri, urbano, colto. Riuscirà Bibi a catturarlo nel governo? Questa è la grande domanda. L’ostacolo è l’arruolamento dei religiosi, i quali per la com­ponente nazionalista, come Bennet, sono fra i migliori solda­ti. Gli altri pensano che la Bib­bia sia un’arma migliore del­l’esercito.
www.fiammanirenstein.com

Il FOGLIO - Giulio Meotti : " “Bibi e Lapid insieme”. La crisi di Netanyahu e l’attrazione del centro "


Giulio Meotti            Efraim Inbar

Roma. In passato le elezioni israeliane sono state dominate dal tema della sicurezza, da quella del laburista Ehud Barak nel 1999 a quella del generale Ariel Sharon due anni più tardi. Quelle del 2013 sono state scandite da una parola d’ordine: “Share the burden”. Dalle tasse al servizio militare, tutta la società deve farsi carico delle responsabilità nazionali. Questa dimensione “domestica” della campagna elettorale ha punito Benjamin Netanyahu, che ieri mattina si è risvegliato con due incubi: la perdita di dieci seggi in Parlamento (dove il Likud resta primo partito) e la creazione di una coalizione di governo stabile. “Netanyahu andrà con Yair Lapid”, ci dice Efraim Inbar, capo del Besa Center e consulente del premier (fu Inbar a organizzare il discorso del 2009 di Netanyahu di apertura a uno stato palestinese). Il partito centrista Yesh Atid (“c’è un futuro”) del giornalista televisivo è arrivato secondo, mentre il Labour è finito con quindici miseri seggi. “La crisi di Netanyahu ha molte spiegazioni”, ci dice Inbar. “Il potere logora e premia chi sta fuori, Israele ama volti nuovi, Bibi ha sbagliato a fondersi con Avigdor Lieberman e ha pagato l’attacco personale a Naftali Bennett”. Nelle ultime settimane il Likud ha speso parte della campagna elettorale a criticare il partito Habayit Hayehudi del milionario dei corpi speciali dell’esercito. “Così molti voti di Netanyahu sono andati al centro di Lapid”, prosegue Inbar. “Bibi e il giornalista troveranno un accordo perché sono molto simili. Entrambi concordano sul servizio militare per i religiosi, entrambi sono per non tassare la classe media, entrambi vogliono impedire che l’Iran ottenga la bomba nucleare, entrambi sono attenti al rapporto con gli Stati Uniti e la pensano allo stesso modo sui palestinesi. Sanno cioè che c’è poco da fare, al momento, sui negoziati. Lapid non ha mai parlato dei palestinesi, mentre i partiti che ci hanno scommesso tutto, come Tzipi Livni, sono andati male. La questione agli israeliani non interessa”. Non a caso Lapid ha scelto la colonia di Ariel, la più grande in Cisgiordania, per presentare il suo programma di politica estera. Benjamin Netanyahu, che adesso ha davanti a sé giorni di intensi colloqui con il presidente Shimon Peres per la formazione del governo, ha poche opzioni a disposizione e sono tutte problematiche. La prima è una coalizione di destra pura che si regga sul partito Habayit Hayehudi di Naftali Bennett e gli ultra-ortodossi ashkenaziti. Ma fra Netanyahu e Bennett non scorre buon sangue e Netanyahu avrebbe molti problemi a livello internazionale con “la coalizione più destrorsa della storia israeliana”, come è già stata ribattezzata. Netanyahu cercherà di allearsi con Yair Lapid, il partito Hatnua di Tzipi Livni e la moribonda Kadima dell’ex generale Shaul Mofaz, escludendo un partito confessionale. Un esecutivo che si farebbe carico della leva per gli ortodossi e il matrimonio civile, fondamentali per Lapid. Ambienti vicini a Netanyahu dicono però che il premier tema un governo senza i “timorati”, considerati partner naturali. La terza possibilità è un governo “allargato”, da Bennett al centro di Livni, che però non sarebbe disposta ad allearsi con il milionario conservatore (Livni ha puntato tutto sulla nascita di uno stato palestinese, mentre Bennett è noto per la sua opposizione). Per questo Netanyahu potrebbe spingere per un governo con Bennett e Lapid, senza Livni e gli ortodossi. In ogni caso, l’attrazione del centro si basa sull’arruolamento dei religiosi, tema decisivo in campagna elettorale e per il prossimo governo, dopo che la Corte suprema ha annullato la legge che prendeva il nome del giudice Tzvi Tal che aveva esonerato i religiosi. Lo slogan più usato in campagna elettorale è stato: “Un popolo, un servizio militare”.

La STAMPA - Aldo Baquis : " Israele, Netanyahu in cerca di alleati, Lapid strizza l’occhio "


Bibi Netanyahu

Come costituire un governo stabile e capace di governare in una Knesset frammentata in una dozzina di liste bizzose ed indisciplinate? Questo il problema che da martedì il leader di Likud-Beitenu (31 seggi su 120) Benjamin Netanyahu sta cercando di risolvere di fronte al proprio pallottoliere, mentre il presidente Shimon Peres ha già cominciato le consultazioni.

La prima possibilità è costituire una coalizione con tutti i partiti alla sua destra: Focolare ebraico (11), ortodossi sefarditi di Shas (11), ortodossi ashkenaziti della Torah (7). Fa sessanta deputati: uno meno della maggioranza. E poi, come potrebbe un governo del genere far fronte alle pressioni internazionali sulle colonie? E far passare alla Knesset una finanziaria che richiederà grandi sacrifici popolari?

Ecco allora che si delinea la seconda possibilità: Likud alleato con Focolare ebraico e con i centristi di Yesh Atid (C’è un futuro) dell’ex presentatore televisivo Yair Lapid (19 seggi). Assieme sono 61 deputati. Lapid ha già aperto la porta, respingendo l’idea di costituire un blocco di centro-sinistra in funzione antiNetanyahu. «Non faremo alcun blocco di ostruzione » ha assicurato in tv. «E certamente - ha ammiccato - non ci affideremo a Hanin Zoabi», una parlamentare araba di sinistra. Quindi Lapid guarda a destra e fra lui e Netanyahu esiste anche una base comune: la «spartizione egualitaria dell’onere», ossia l’introduzione di un servizio civile per quanti oggi (per esempio gli ebrei ortodossi) sono esonerati dal servizio militare.

Esiste poi la ipotesi 2-bis: una volta creato un solido nucleo di governo, è teoricamente possibile aggregarvi un’altra lista: Shas, oppure i centristi di Tzipi Livni (6 seggi). Ma a questo punto sarebbe certo un governo afflitto da contrasti interni. Per cui emerge la possibilità numero 3: un governo omogeneo di destra (60) con un partito «volontario» di centro da inglobare. Basta fare un’asta, pensa forse Netanyahu, fra Lapid e la Livni.

Pallottoliere alla mano, esiste una quarta opzione: Likud-Beitenu (31) assieme con tutte le liste di centro sinistra, inclusi i laburisti di Shelli Yachimovic (15). Fanno 71 seggi, più la speranza di ricevere ampi consensi internazionali. A Gerusalemme questa ipotesi appare però fantasiosa: anche perché non potrebbe passare nell’attuale Likud dove prosperano i «falchi».

Di sicuro, concordano gli analisti, oggi Netanyahu ha più bisogno di Lapid di quanto Lapid abbia bisogno di lui. Occorre trovargli un incarico adeguato. Qualcuno pensa che l’ex giornalista televisivo dall’inglese fluente sarebbe un buon ministro degli Esteri. Ma qui il pallottoliere si blocca: perché Lieberman ritiene di dover tornare a quella carica, una volta superati i problemi giudiziari in cui versa. E senza Lieberman, la formazione Likud-Beitenu si spaccherebbe.

CORRIERE della SERA - Davide Frattini : " L'uomo più sexy di Tel Aviv che piace alla classe media: «Bibi ha sbagliato con Obama» "


Davide Frattini                Yair Lapid

TEL AVIV — La seconda moglie Lihi lo chiama «il duro» anche se venticinque anni fa le ha composto una serenata pop e sdolcinata, Vive a Sheinkin, diventata un successo con le Mango, una specie di Bananarama israeliane. Nello studio tiene appesi i guantoni autografati da Mohammed Ali e ha ostentato la solidità da pugile amatoriale fino a quando qualcuno non ha recuperato un vecchio video in cui finisce al tappeto dopo pochi minuti. Ammira Raymond Chandler e ha scritto undici gialli, fuma i sigari cubani, frequenta i banchieri (è stato testimonial per un istituto), vive nel sobborgo elegante di Ramat Aviv Gimmel, a nord di Tel Aviv, che negli anni Ottanta ha dato il titolo a una soap opera. Per tutta la campagna elettorale ha ripetuto di essere un israeliano come gli altri, semplice, vicino a quella classe media che fatica a pagare l'affitto e nel 2011 si è accampata sotto le jacarande di viale Rotschild per protestare contro i tagli e le tasse troppo alte.
Yair Lapid, 49 anni, è il volto nuovo che tutti conoscono. Prima di entrare in politica, conduceva il programma giornalistico più popolare del venerdì sera, teneva una rubrica settimanale sul quotidiano Yedioth Ahronoth, era stato attore nella commedia romantica Il canto della sirena («nella parte di un single, rubacuori e detestabile» commenta Asher Schechter sul giornale Haaretz), è considerato uno degli uomini più sexy del Paese.
Agli ospiti del suo show chiedeva sempre «che cosa rappresenta Israele per te?» e il padre malato — sarebbe morto pochi mesi dopo — gli aveva risposto «Sei tu». Così Yair ha deciso di rappresentare Israele, gli elettori scornati e indecisi fino all'ultimo, di seguire la strada di papà Tommy, celebre giornalista arrivato a essere ministro della Giustizia dopo aver sorpreso i vecchi partiti alle elezioni del 2003, quindici seggi e il ruolo autoassegnato di demonio degli ultraortodossi.
Anche il figlio vuole che la religione «sia separata dallo Stato, ma non siamo un partito anti-haredim». Il suo Yesh Atid (C'è un futuro) ha portato alla Knesset 19 deputati (metà donne) e tra loro due rabbini moderati che sono serviti a addolcire il messaggio principale della piattaforma: tutti devono prestare il servizio militare, compresi i giovani che studiano la Torah. Prima del voto di martedì ha promesso in un'intervista all'Associated Press di non essere disposto «a sedere in un governo con gli ultraortodossi, non voglio essere la foglia di fico per gli oltranzisti di destra. Interpretare il Talmud giorno e notte è una bella occupazione, ma non possiamo più permettercelo: devono andare a lavorare, guadagnarsi uno stipendio, pagare le tasse».
Nel discorso dopo i primi exit poll ha ricordato il padre, la notte in cui aveva conquistato quindici seggi: «Eravamo nel salotto dei miei genitori, tutti siamo saltati in piedi ad abbracciarci, solo lui è rimasto seduto, lo sguardo triste. Gli ho chiesto: "Che succede?" Mi ha risposto: "Solo adesso mi rendo conto della responsabilità che mi sono preso"». Lapid senior era sopravvissuto all'Olocausto e Yair ripete che Gerusalemme non può essere divisa «perché quella città è stata la ragione che lo ha portato qui, lui e tutti noi. Se sarà necessario, combatteremo per lei». Considera Abu Mazen, il presidente palestinese, un interlocutore per i negoziati di pace, anche se lo accusa di «intransigenza».
Come Netanyahu, sembra non aver fretta di riaprire il dialogo con l'Autorità di Ramallah («non è il caso di essere isterici su questo punto») ma vuole che il primo ministro torni a trattare. A differenza di Netanyahu è convinto — ha spiegato al Jerusalem Post — che «bombardare l'Iran sarebbe un errore perché rinvierebbe solo il problema. La soluzione è la caduta degli ayatollah e per ottenerla bisogna rafforzare le sanzioni economiche».
I giornali lo hanno nominato il Barack Obama della politica israeliana e Lapid ricambia: «Il più grosso errore di Bibi è stato inimicarsi il presidente americano e scommettere sul contendente Mitt Romney». Da possibile ministro degli Esteri, starà al suo stile disinvolto rattoppare lo sgarbo diplomatico.

La REPUBBLICA - Bernardo Valli : " Uno spiraglio di pace "

Secondo l'orientamento del proprio giornale, i commenti si dividono tra chi esprime soddisfazione per la relativa vittoria di Netanyahu e quindi si augura un governo di coazione condizionato al centro e chi, invece, nelle proprie previsioni sottolinea la buona tenuta di Bibi, immaginando coalizione di centro destra.
Bernardo Valli, come Zvi Schuldiner sul Manifesto, vede nel risultato elettorale un calo di Netanyahu e punta molto su una coalizione con Lapid, visto come un qualcuno che saprà porre un freno alla linea oltranzista di Netanyahu. Staremo a vedere, anche se su Lapid entrambi si fanno delle illusioni.
 I detrattori di Netanyahu, per altro, continuano ad insistere sulla questione palestinese, come se la responsabilità dello stallo dei negoziati fosse da attribuirsi alla classe politica israeliana. Terrorismo palestinese? Mancanza di volontà araba di negoziare ?  Non sono ritenute cause da considerare.
Ecco l'articolo:


Bernardo Valli

Il sorprendente risultato elettorale di martedi sera è per Israele una boccata d’aria fresca. Non rappresenta una svolta politica epocale. Questo no. Ne è un raggio di luce che si accende sul grigio, anzi cupo, panorama mediorientale. Non è insomma un passo decisivo verso la soluzione dei principali e angoscianti problemi quali sono la questione palestinese e la minaccia nucleare iraniana. Sono in pochi a farsi delle illusioni. Non se ne fanno neppure coloro che si rallegrano per la risicata, corta vittoria di Benjamin Netanyahu, vista come l’inizio del suo declino politico. Attendono con evidente soddisfazione i tormentati compromessi cui il primo ministro incaricato dovrà scendere al fine di creare una maggioranza parlamentare. E soprattutto apprezzano l’arresto della crescita nazional-religiosa, ai loro occhi laici un’ombra minacciosa sulla democrazia israeliana. Ma gli avversari di Netanyahu pensano che lo scossone elettorale non sarà sufficiente per smuovere Israele dallo statu quoin cui è trincerato, protetto da una sofisticata superiorità militare, dalla dinamica della sua società tecnologicamente avanzata, e dall’alleanza con la superpotenza americana. Un’alleanza resistente a tutte le polemiche, anche allo sgarbo di Netanyahu di novembre, quando si è apertamente schierato contro Obama, durante la campagna per la rielezione. Israele è ed è destinato per Washington a restare un irrinunciabile “fortino occidentale” nel Medio Oriente instabile e complicato. (Ciò non toglie che Obama si sia in cuor suo rallegrato per lo schiaffo elettorale ricevuto da Netanyahu, del quale non ha una grande stima). Ma perché parlare di una boccata d’aria fresca se prevale tanto scetticismo sugli effetti positivi del risultato elettorale? In barba a tutti i pronostici, l’ex giornalista televisivo Yair Lapid ha conquistato diciannove seggi nella Knesset, che ne conta centoventi. Quindi ha adesso in mano la chiave della nuova coalizione di governo, perché con i suoi soli trentun seggi Benjamin Metanyahu avrà bisogno di lui per creare una maggioranza parlamentare. Ma votando per Lapid gli israeliani non hanno puntato soltanto su un personaggio nuovo, ed anche giovane, perché Lapid non dimostra neppure i quarantanove anni che ha, ma hanno scelto l’apolitica, qualcosa di diverso dal soffocante dibattito in cui l’esigenza della sicurezza, usata anche come un ricatto, è sempre presente, più o meno sottintesa. Il voto a Yair Lapid è stata un’evasione dalla spirale della paura. Ed anche dalla politica. Un modo di mandare al diavolo la classe dominante, mi dice con espressioni più marcate un intellettuale di Tel Aviv. Il quale confessa di avere votato per Lapid con quell’intenzione. Non perché l’apprezza come uomo politico. Di politica l’ex giornalista non se ne è in effetti quasi mai occupato fino a qualche mese fa, quando ha deciso di affrontare le elezioni. È stato un animatore intelligente del reality show alla tv. Il suo carisma ha origini telegeniche. Hanno contribuito alla sua popolarità l’aspetto e la simpatia. La sua rubrica sul settimanale Yediot Ahronot, il quotidiano più diffuso, aveva accenti più personali che politici e aveva come titolo “Dov’è il denaro”. Gli autori dei sondaggi gli assegnavano la metà dei seggi poi conquistati pensando che i temi della sua campagna elettorale fossero banali, marginali, fossero quelli di una società normale, ad esempio le tasse imposte ai ceti medi urbani, su cui gravano le spese pubbliche, e in particolare quelle in favore dei religiosi, disoccupati volontari, perché dediti allo studio della Torah. Yair Lapid ha apertamente deplorato, e si è impegnato a combatterla, l’esenzione dal servizio militare degli studenti religiosi ortodossi. Perché noi siamo soggetti al fisco e loro sono assistiti? L’argomento ha avuto successo nella laica Tel Aviv, in generale nel ceto medio, emarginato dalla crescente sperequazione nei redditi. I giovani “indignati”, nel 2011 animatori di imponenti manifestazioni di protesta contro la situazione economica, sono stati i grandi elettori di Lapid nel 2013. La boccata di ossigeno è stata questa: appoggiare un candidato con la pacifica aureola della popolarità televisiva, ma in politica una faccia nuova, persino ingenua, che affronta, appunto, le preoccupazioni di una società normale, non assediata, non angosciata dal mondo circostante. Il partito di Lapid, collocato al centro dello schieramento politico, ha un titolo candido, significativo: “C’è un futuro”. Per Yair Lapid la questione palestinese non dovrebbe costituire un grave problema nel caso di una partecipazione a un governo con Netanyahu primo ministro, e quindi a fianco del Likud, formazione di destra, e di “Casa Israele”, il partito ultranazionalista di Liberman, esponente della comunità russa. I quali non hanno nelle loro intenzioni una ripresa rapida del processo di pace. Lui, Lapid, è favorevole all’idea di uno Stato palestinese, come del resto è capitato di esserlo anche a Netanyahu almeno in un’occasione; e al tempo stesso, sempre come Netanyahu, Lapid è contro lo smantellamento delle colonie nei territori occupati e si oppone alla divisione di Gerusalemme. In sostanza non si pone troppo la questione palestinese. La schiva. Avrà invece un serio problema con il partito religioso Shas, indispensabile alla vagheggiata coalizione guidata da Netanyahu, che esige l’esenzione dal servizio militare obbligatorio degli studenti religiosi. E naturalmente anche le sovvenzioni alle scuole in cui si studia la Torah, condannate da Lapid, perché appesantiscono le tasse dei ceti medi. Questi sono i temi che hanno favorito il successo dell’ex giornalista televisivo. Il diciannovesimo voto politico dalla nascita dello Stato ebraico non cambia la situazione mediorientale, ma ha fermato la svolta a destra della società israeliana. E quindi apre qualche spiraglio. Il successo dei partiti centristi, non solo di “C’è un futuro “ di Yair Lapid, ma anche del “Movimento” di Tzipi Livni, l’ex ministro degli esteri, che ha conquistato sette seggi, e l’affermazione di Meretz, la formazione di sinistra, che ne ha ottenuti sei, il doppio di quelli che aveva, sono piccoli squarci in un orizzonte politico fino a pochi giorni fa oscurato dall’annunciato successo dei partiti del rifiuto di ogni concessione ai palestinesi. Lo smacco subito obbligherà Netanyahu a venire a patti con partiti meno intransigenti del suo, anche se non ben determinati sulle grandi questioni. Il primo ministro ha perduto un quarto dei suoi seggi in Parlamento (da quarantadue è sceso a trentuno) perché la formazione di estrema destra “Focolare ebraico”, fondata da Naftali Bennet, campione dell’hi-tech e patrono dei coloni, gli ha sottratto l’ala più intransigente del suo elettorato. Ma la fragilità di Netanyahu risulta ancora più evidente se si pensa che il suo partito, il Likud, ha conquistato soltanto venti seggi se si sottraggono quelli dell’ultra nazionalista Liberman, suo alleato provvisorio. Egli si appresta a costruire una maggioranza da una posizione di debolezza e quindi si può dubitare che riesca. L’aiuta il fatto che, pur essendosi creato un equilibrio tra forze di destra e di sinistra alla Knesset, quest’ultima, la sinistra, non è in grado di offrire un’alternativa. Il partito laburista, grande protagonista della storia di Israele, ha ottenuto quindici seggi, meno del telegenico Lapid. La destra è stata fermata, ma una vera sinistra capace di offrire un cambiamento non c’è ancora.

La REPUBBLICA - Fabio Scuto : "Bibi non potrà più fare l'estremista, ora riparta il dialogo con i palestinesi "


Fabio Scuto                                David Grossman

David Grossman, intellettuale famoso in tutto il mondo, perché criticare tutti i governi israeliani indicando soluzioni che non tengono conto dei reali comportamenti della controparte palestinese è l'operazione più facile di questo mondo. Aggiungiamo anche disonesta, tipica dell'intellighenzia di sinistra.
Ecco l'intervista:

GERUSALEMME — Non nasconde la sua soddisfazione David Grossman per la caduta di "King Bibi" Netanyahu, ridimensionato nel peso politico e nel ruolo dal voto che ha punito il Likud e premiato partiti nuovi nel panorama israeliano. «Un risultato sorprendente», dice lo scrittore israeliano, convinto sostenitore di una diversa po litica so cial e n el Paese, coraggioso interprete di quegli israeliani che vogliono chiudere dopo 45 anni col capitolo dell'occupazionedellaPalestina e aprire una fase nuova in Medio Oriente. Secondo lei chi ha vinto e chi ha perso in questo voto? «I risultati di queste elezioni dimostrano una forte volontà della maggioranza della popolazione di votare centro, di essere al centro dello schiera-mento politico. Lanostraesperienza passata, purtroppo, dimostra però che tali partiti non sono riusciti a portare alcun cambiamento reale: il popolo esprime la volontà di un compromesso fra la sinistra e la destra, che ha come riferimento solo l'assetto politico interno, senza tenere conto di ciò che la nostra situazione difficile realmente richiede, che comporta la necessità di fare concessioni ai palestinesi e di risolvere finalmente il conflitto. È stata soprattutto la protesta economica e sociale a portare al vero calo del potere di Netanyahu». I risultati sembrano però indicare che ancora una volta sarà ancora lui a ricevere l'incarico di formare il nuovo governo. «C'è una buona probabilità che ciò accada, del resto èilleader del partito di maggioranza. Ma gli sarà difficile, adesso, perseverare in una politica estremista come quella che ha condotto nei passati quattro anni perché gli equilibri politici sono cambiati». Questo potrebbe allentare la tensione che si è accumulata in questi anni con un alleato strategico per Israele come gli Stati Uniti?I leadercheguiderannoiduePaesi neiprossimi quattro anni si detestano... «I politici americani fanno una netta distinzione fra i rapporti personali e gli interessi del loro paese, e non ho alcun dubbio che il Presidente Obama faccia e farà ciò che considera giusto per gli Stati Uniti. Tuttavia Obama vuole fare dei cambiamenti e ha la possibilità di esercitare grandi pressioni su Israele. È stato appena rieletto e per almeno due anni, fino alle prossime elezioni del Senato, ha mano libera». Sta per essere resa pubblica una proposta di pace franco-inglese, appoggiata dalla Germania e nella quale per il momento gli Usa non compaiono, con un invito a una conferenza di pace a Parigi a marzo ed un accordo basato sui confini del '67, lasciando per ora sullo sfondo il problem a di Gerusalemme. «E dei profughipalestinesi». Pensa che in questo nuovo clima che si è creato sarà possibile "convincere" Netanyahu a parteciparvi? «LadebolezzadiNetanyahu dipenderà dalla forza politica e dalla fermezza dei partiti di centro. Sarà necessaria una forte pressione esterna, ed io mi auguro anche interna, per avere davvero una probabilità di successo. Spero che il partito di Yair Lapid o quello di Tzipi Livni, o addirittura il Labor condizionino il loro ingresso nel governo alla ripresa del processo di pace con i palestinesi, altrimenti non riuscirei veramente a capire perché si siano ostinati a farsi eleggere». L'altra sorpresa di queste elezioni è Naftali Bennett, il giovane milionario ex-impenditore high-tech, capo del partito religioso nazionale dei coloni... «Si presentano come i veri patrioti sionisti, ma in definitiva rappresentano un pericolo esistenziale per Israele e lo porteranno al disastro; perché creano sul terreno una situazione che impedisce di fatto la pace con i palestinesi e fa di Israele uno Stato dove c'è l'apartheid. Alla fine cercheranno di trasformarlo in uno stato bi-nazionale, e questo per me rappresenta la fine dello Stato d'Israele».

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