Pakistan, l'ambasciatrisce Sherry Rehman sarà processata per blasfemia per essersi battuta contro l'islam radicale e la discriminazione dei cristiani
Testata: Il Foglio Data: 23 gennaio 2013 Pagina: 4 Autore: Giulio Meotti Titolo: «Rehman, l’ambasciatrice musulmana che rischia la vita per i cristiani»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 23/01/2013, a pag. 4, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo "Rehman, l’ambasciatrice musulmana che rischia la vita per i cristiani".
Sherry Rehman
Roma. Ricopre un ruolo strategico, quello di ambasciatrice pachistana a Washington. E’ una donna, liberale, musulmana e modernizzatrice in un paese come il Pakistan. Adesso Sherry Rehman sarà processata per “blasfemia”. Lo ha deciso due giorni fa la Corte suprema, con un clamoroso pronunciamento che riapre il dibattito sulla legge anticristiana in Pakistan. Nel dibattito televisivo incriminato la Rehman, per spiegare la proposta presentata al Parlamento pachistano di revisione della legge sulla blasfemia, aveva osato difendere Asia Bibi, la donna cattolica in carcere da oltre quattro anni e con una condanna a morte pendente (per ora sospesa). Sherry Rehman aveva dichiarato che eliminare la pena di morte dall’articolo del codice penale pachistano renderebbe “gloria alla religione islamica”. A seguito delle uccisioni del governatore Salman Taseer e del ministro cristiano Shahbaz Bhatti, alcuni mesi fa la Rehman, in pericolo di vita, aveva ritirato la mozione. Dopo che il ministro cattolico Bhatti e il governatore musulmano Taseer sono stati assassinati per avere difeso Asia Bibi, un altro politico pachistano sarà processato per essersi opposto alla legge sulla blasfemia. Lo scorso dicembre i fondamentalisti islamici avevano attentato alla vita di Marvi Sirmed, l’attivista dei diritti umani schierata contro la legge sulla blasfemia. Sirmed, che lavora per le Nazioni Unite, aveva ricevuto in passato numerose minacce di morte da parte degli estremisti islamici. Che siano “colpevoli” o no, la vita dei cristiani incriminati dalla legge sulla blasfemia in vigore in Pakistan è stravolta. Nel migliore dei casi la loro esistenza è stroncata da anni di carcere, come Asia Bibi. Molte volte chi è condannato per l’oltraggio supremo viene ucciso in cella da un compagno di prigionia o da un secondino. E quando è giudicato innocente da un tribunale – cosa che capita assai di rado – il reietto viene spesso assassinato non appena lascia il penitenziario. Adesso i fondamentalisti islamici vogliono morta l’ambasciatrice a Washington. “Il nostro prossimo obiettivo è Sherry Rehman”, hanno scandito i talebani pachistani. Come Rehman, il governatore musulmano Taseer, che apparteneva anche lui al Pakistan People’s Party, era stato l’unico del suo partito a parlare apertamente contro la legge definita, in urdu, “kala kanoon”, una legge nera. La deputata liberale e giornalista Rehman è stata anche colpita da una fatwa degli integralisti islamici. Un celebre imam pachistano, Ahmed Shakir, ha dichiarato Rehman “non musulmana” e la sua fatwa è stata stampata in migliaia di copie dal Tanzeem-e-islami. La donna è diventata ufficialmente “kaffir”, cioè infedele, e “wajib-ul-qatl”, degna di essere uccisa, proprio come il ministro per le Minoranze Bhatti, l’unico cattolico. Sherry Rehman è già scampata a numerosi tentativi di assassinio. Si trovava infatti nella jeep che seguiva quella di Benazir Bhutto quando è stata uccisa in un attentato. Rehman rimase ferita al collo e alle gambe nell’esplosione. Due anni prima, a Karachi, Rehman era stata pugnalata durante una manifestazione, sopravvivendo anche allora per miracolo. Dopo Salman Taseer, il figlio di un poeta pachistano e di madre inglese, un politico che beveva vino, faceva le vacanze in Europa e amava ballare, adesso i talebani hanno gli occhi puntati su un’importante ambasciatrice, una donna educata in Europa, che rigetta il velo come simbolo di oppressione, una voce libera del giornalismo asiatico, per giunta musulmana. Accusata, come il giusto Taseer, di “difendere i cristiani”. Non c’è onta più grande. Una scia di morte legata alla legge sulla blasfemia iniziata nel 1998 con un suicidio. Per richiamare l’attenzione del mondo, il vescovo cattolico John Joseph si sparò alla tempia all’entrata del tribunale di Sahiwal, dove si celebrava il processo a un cristiano condannato alla fucilazione.
Per inviare la propria opinione al Foglio, cliccare sull'e-mail sottostante