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Il Foglio Rassegna Stampa
19.01.2013 Medici nazisti: soprattutto mostri
Analisi di Giulio Meotti

Testata: Il Foglio
Data: 19 gennaio 2013
Pagina: 2
Autore: Giulio Meotti
Titolo: «Non solo mostri»

L'articolo di Giulio Meotti, sul FOGLIO di oggi, 19/01/2013, a pag.II dell'inserto del sabato, è titolato "Non solo mostri". Noi l'avremmo titolato "soprattutto mostri", perchè i crimini commessi dai medici nazisti devono essere giudicati indipendentemente da qualsiasi risultato raggiunto. L'articolo di Meotti raggela il sangue, ma proprio per questo merita la lettura.

Joseph Mengele                             Giulio Meotti

Sulla Krakauer Zeitung del 21 settembre 1944 apparve uno strano annuncio: “Sotto la direzione medica del famoso ginecologo tedesco dottor Carl Clauberg, che dopo l’inizio della guerra ha condotto in Alta Slesia una lotta contro la mortalità materna e infantile, saranno aperti ventidue graziosi centri per ottocento madri che vi potranno partorire e trascorrere il puerperio”. Doveva essere chiamata “Stadt der mutter”. La città delle madri. Chi era Clauberg? Un luminare della ginecologia dal fisico ingrato che lo rendeva antipatico al primo sguardo. Da docente all’Università di Königsberg, Clauberg mise a punto i prodotti per l’infertilità realizzati dalla ditta Schering-Kahlbaum. Molte delle sue scoperte fanno parte del patrimonio della scienza medica e sarebbero state utilizzate dopo la guerra, come il Progynon e il Prolution per il trattamento dell’infertilità, o il cosiddetto “Test di Clauberg” per testare l’azione del progesterone. Ma Clauberg era anche uno dei più efferati e celebri medici nazisti che prese parte a esperimenti sulle donne ebree nei campi di concentramento, fra cui il famigerato blocco 10 di Auschwitz di Josef Mengele. Nei giorni scorsi si è tornati a parlare di Clauberg dopo la denuncia, apparsa sulla prestigiosa rivista della Israel Medical Association, secondo cui il nome del medico è ancora usato per una serie di scoperte legate all’infertilità. Il saggio, “Clauberg’s Eponym”, traccia la carriera e le scoperte del dottore che ha legato il proprio nome alle sterilizzazioni delle donne di Auschwitz ma con il quale ancora oggi si indica una patologia ormonale femminile. La rivista israeliana chiede alla comunità scientifica internazionale di cessare del tutto l’uso del suo nome o di accompagnarlo da una nota sui suoi crimini contro l’umanità. Un anno fa oltre centocinquanta ferri chirurgici e ginecologici furono scoperti in una casa di Auschwitz. “Si tratta di una delle più grandi scoperte degli ultimi anni – ha detto il portavoce del museo locale – Questi strumenti sono stati utilizzati dal ginecologo Carl Clauberg”. Centinaia di detenute del campo di sterminio furono utilizzate come cavie umane e morirono in seguito agli interventi di Clauberg. Con l’arrivo dell’Armata rossa, Clauberg fu trasferito nel gennaio 1945 al campo di Ravensbrück, nei pressi di Berlino, dove continuò a praticare le sue ricerche. Fatto prigioniero dai sovietici nel giugno 1945, fu condannato a vent’anni di prigione prima di essere rinviato in Germania ovest nel 1955. Qui fu incriminato a seguito di una serie di denunce depositate da superstiti, ma morì nel 1957. Il caso Clauberg risolleva il tema degli eponimi in medicina, di quegli scienziati cioè che danno il nome alle malattie da loro scoperte. Un caso simile ha scosso la comunità dei reumatologi quando sul Journal of Clinical Rheumatology uscì l’articolo “Un criminale di guerra deve essere ricompensato con l’onore di un eponimo? La doppia vita di Hans Reiter (1881-1969)”. Responsabile dell’Ufficio sanitario del Reich, Reiter fu direttamente coinvolto in esperimenti medici con cavie umane nei campi di concentramento nazisti. Oltre duecento prigionieri morirono a Buchenwald dopo essere stati infettati con un batterio allo scopo di sperimentare il vaccino contro il tifo. Ma Reiter avrebbe anche dato il proprio nome a una diffusa artrite. Come è possibile che un medico nazista, un mostro, abbia dato il proprio nome a una scoperta così importante e che abbia cambiato il corso della medicina novecentesca? Quante malattie importanti ancora oggi portano il nome dei loro sadici scopritori? Veder nominata una malattia col proprio nome è il massimo onore per uno scienziato. In molti difendono gli eponimi anche nei casi dei medici nazisti, utili per ricordare la storia della medicina, perché cambiarli in nomi descrittivi sarebbe poco realistico e inoltre non si capisce chi potrebbe farlo. C’è la “Clara Cell”, così chiamata da Max Clara, un celebre medico che usava i tessuti delle vittime del Terzo Reich per le sue ricerche. C’è la “granulomatosi di Wegener”, una malattia della mucosa delle vie aeree che porta il nome del dottor Friedrich Wegener. Il medico prese parte allo sterminio degli ebrei del ghetto di Lodz, dove Wegener selezionava personalmente i destinati alle camere a gas. Ancora nel 1989, un anno prima della sua morte, il dottor Wegener fu premiato dall’American College of Chest Physicians. Il dottor Hans Eppinger di Vienna, celebre per aver fatto bere acqua salata ai prigionieri nei campi di concentramento, ha legato il proprio nome alla “sindrome di Cauchois-Eppinger- Frugoni”. Oltre ad aver scoperto questa splenomegalia congestizia da trombosi della vena splenica, Eppinger compiva atroci esperimenti a Dachau. Nel 1976, dopo le notizie emerse sulla ricerca condotta nel lager dal famosissimo gastroenterologo, la Fondazione Falck di Friburgo dovette cancellare il premio istituito in sua memoria. Il luminare dell’anatomia Hermann Stieve, direttore dell’Istituto di anatomia dell’Università di Berlino tra il 1935 e il 1952, massimo esperto dell’influenza che lo stress ha sul sistema riproduttivo femminile, dissezionava i cadaveri messi a disposizione dal regime hitleriano dopo le esecuzioni. Il professore inviava i propri assistenti nel carcere di Plötzensee per parlare con le condannate a morte e ottenere informazioni sulla loro storia medica e sul loro ciclo mestruale. Ancora oggi molti autori citano i lavori del dottor Stieve. Nulla di eccezionale, tuttavia. Heather Pringle, autrice di “The Master Plan”, svela che su dieci istituti di anatomia in Germania negli anni del regime nazista tutti erano in stretto contatto con le prigioni, dalle quali ricevettero almeno 3.228 cadaveri di condannati a morte sulla base di una vera e propria pianificazione mortuaria e scientifica. C’è il caso di Georg Schaltenbrand, il più importante neuroscienziato in Germania, studioso della sclerosi multipla e accademico di prestigio anche negli Stati Uniti. Fece esperimenti umani sui pazienti delle cliniche psichiatriche durante il nazismo, grazie ai quali scoprì la “sindrome da ipotensione intracranica spontanea”. C’è Walter Stoeckel, pioniere della ginecologia di fama mondiale che fece nascere i figli di Magda Goebbels, ma che avrebbe anche scritto manuali di ostetricia usati ancora oggi. Oppure Hans Joachim Scherer, neuropatologo che diresse l’eutanasia infantile a Breslau e che avrebbe dato il nome alla nota sindrome di Van Bogaert- Scherer-Epstein. Fra coloro che parteciparono al programma di eugenetica nazista c’era anche Ernst Wentzler, che avrebbe inventato persino una incubatrice per i bambini nati prematuri. Oppure Heinrich Gross, il perito psichiatrico più autorevole in Austria premiato dopo la guerra dalla Fondazione socialista Theodor Körner. Nel 1968 il Ludwig Boltzmann Institute, l’omologo austriaco del Max Planck di Berlino, lo nominò direttore dell’Istituto di ricerca per le malformazioni cerebrali aperto appositamente per lui. Infine, nel 1975, Vienna gli assegnò la croce al merito per il suo impegno nella ricerca scientifica. Gross era stato un esecutore dell’eutanasia sui bambini handicappati durante la guerra. C’è il caso del professor Werner Catel, pediatra a capo della clinica universitaria di Lipsia che partecipò ai progetti nazisti di eutanasia infantile per la soppressione di bambini portatori di handicap. Nel 1947 divenne direttore della clinica pediatrica Mammolshöhe e nel 1954 fu nominato professore di Pediatria all’Università di Kiel, dove si sarebbe affermato come uno dei maggiori pediatri europei. Ma ancora nel 1964, in un’intervista al settimanale Spiegel, Catel si dichiarò in favore della soppressione di bambini nei quali non fossero riscontrabili “moti psichici”: “Mi creda, è possibile in ogni caso distinguere gli esseri privi di anima dai futuri uomini”. Scrive lo storico Hans-Walter Schmuhl che “l’uccisione dei malati dischiuse possibilità del tutto nuove ai ricercatori”. Spicca il caso di Franz Seitelberger, neurologo viennese, premio Erwin Schrödinger e scopritore di una importante forma di distrofia infantile ma anche beneficiario dei cadaveri che provenivano dai programmi di eutanasia nazisti. O come il professor Hans-Joachim Sewering, che soltanto nel 1993 fu costretto a dimettersi da presidente dell’Associazione medica mondiale. A inchiodarlo fu l’ordine scritto di trasferire una quattordicenne handicappata in un centro per l’eutanasia. Sewering è stato premiato in Germania alcuni anni fa per avere, “nel corso dei decenni, servito meglio di chiunque la libertà e l’indipendenza della medicina, così come il servizio sanitario nazionale”. Secondo la Lega anti diffamazione, un’organizzazione ebraica americana, il medico avrebbe inviato in totale 900 bambini in un “centro di cura” dove avrebbero trovato la morte. Il manuale che porta ancora il nome di Eduard Pernkopf resta la “Bibbia del buon chirurgo”, sebbene il medico fosse diventato presidente della scuola medica di Vienna quattro giorni dopo l’entrata trionfale di Hitler nella capitale austriaca, nel marzo del 1938. “Fine della vostra professione non è solo facilitare lo sviluppo dei sani, ma anche l’eliminazione dei deboli usando la sterilizzazione e altri strumenti”, diceva lo scienziato. Il beneficiario dell’istituto di Brandeburg dove si effettuava l’eutanasia dei bambini handicappati era Julius Hallervorden, uno dei pionieri della neurologia infantile il cui nome è legato ancora oggi alla malattia degenerativa che individuò nel 1922 insieme a un collega, la “sindrome di Hallervorden-Spatz”. Quell’Hugo Spatz che dopo la guerra compì studi preziosissimi sull’ipotalamo. Intorno ad Hallervorden si formò un gruppo di studiosi interessati alla sindrome di Down e altre malattie congenite. Si mossero per ottenere da Brandenburg cervelli sui quali lavorare. Faceva parte del gruppo il grande tossicologo Waldemar Weinmann e il celebre studioso di psichiatria infantile Hans Heinze, direttore dell’asilo di Brandenburg e docente di Neurologia all’Università di Berlino. Hallervorden morì nel 1966, dopo aver pubblicato decine di lavori e ricevuto numerose onorificenze. Il famoso neurologo Ludo Van Bogaert ne scrisse il necrologio sul Journal of Neurological Sciences, descrivendolo come “una delle ultime figure dell’età dell’oro della neuropatologia tedesca classica e una intelligenza umanistica, Hallervorden rimane una figura indimenticabile”. Le conoscenze sul riscaldamento rapido delle vittime da congelamento si basano sui dati ottenuti dal dottor Sigmund Rascher nel campo di Dachau. Il medico congelava i prigionieri di guerra per poi riscaldarli rapidamente, misurando tempi e tecniche del processo. Va da sé che molti morirono fra le sue mani. Nel 1986 in America ci fu un importante convegno di neuropsicofarmacologia. Il dottor Berhard Bogerts presentò le sue scoperte sui cervelli schizofrenici basandosi sui dati del Vogt Institute di Düsseldorf. Alcuni di quei cervelli provenivano dalle vittime dei programmi di eutanasia. Questi sono soltanto due celebri casi di informazioni ottenute da medici nazisti e poi ritenuti utili dalla comunità scientifica occidentale. E’ lecito usare questi dati? Leo Alexander, psichiatra ebreo americano al processo di Norimberga, dov’erano imputati oltre ai gerarchi anche i medici del Terzo Reich, ha rivelato gli interrogatori con Hallervorden. “Io sentii che stavano per fare questo, così andai da loro e dissi: ‘Sentite, ragazzi: se proprio dovete uccidere tutta questa gente, almeno prendete i cervelli cosicché il materiale possa essere utilizzato’. C’era del materiale meraviglioso tra quei cervelli: belle malformazioni cerebrali, e deficit cerebrali infantili”. Studiando il materiale che gli era pervenuto, Hallervorden pubblicò dodici lavori, sette dei quali come solo autore. Uno di questi riguarda il caso di un feto morto nell’utero di una madre uccisa con il monossido di carbonio a Brandenburg. Questo lavoro è ancora citato come un esempio di polimicrogiria ambientale. La “collezione di cervelli di Hallervorden” non andò perduta. Erano più di seicento pezzi, che vennero utilizzati dal Max Planck Institute sino al 1990, quando l’istituto dopo lo scandalo ne ordinò la sepoltura. Nel 1997 un’inchiesta ha rivelato che l’Istituto di neurobiologia all’Università di Vienna aveva ancora quattrocento cervelli di vittime disabili a propria disposizione per le ricerche. In cinque anni furono ben 772 i bambini eliminati perché ritenuti “indegni di vivere”. Dei loro organi, cervello e midollo spinale, i medici si servivano per condurre “ricerche scientifiche”. Il 14 luglio del 1949 sul New England Journal of Medicine uscì il saggio “Medical Science Under Dictatorship” di Leo Alexander: “I crimini sono iniziati con un sottile cambiamento nell’attitudine dei medici. E’ iniziata con l’accettazione, centrale nel movimento eutanasico, dell’idea che c’è una vita indegna di essere vissuta”. Nel 1984 Alexander reagì così a un manifesto delle università americane a favore dell’eutanasia: “E’ come la Germania negli anni Trenta, le barriere contro l’uccisione stanno crollando”. Nel luglio 1990 il neuropatologo Jürgen Pfeiffer rese omaggio alle vittime dell’eutanasia di Tubinga con una targa: “La scienza che non ha rispettato i loro diritti e la dignità in vita, ha cercato di usare i loro corpi dopo la morte. Questa pietra sia un monito per i vivi”. Cosa mosse questi luminari? La risposta sta nei diari del dottor Josef Mengele: “Il problema reale è definire quando la vita umana è una vita di valore e quando deve essere sradicata”. Un monito alla medicina di oggi.

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