Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 17/01/2013, a pag. 3, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo "Il successo dei “Fort Apache” religiosi che difendono Israele".
Giulio Meotti
Roma. E’ presto spiegato perché l’esercito israeliano finora era restio a rendere pubbliche le cifre dell’arruolamento militare per area geografica. Stando ai dati resi noti ieri da Tsahal, delle prime cinque aree geografiche da cui provengono i soldati scelti delle unità combattenti, tre sono insediamenti ideologici. Addirittura al primo posto viene Beit El, la “capitale” dei coloni religiosi. Terza è Efrat, un’altra colonia a sud di Gerusalemme. Quinta addirittura Hebron, simbolo delle tensioni fra i coloni e la popolazione araba palestinese. L’ascesa dell’“esercito di Dio”, come lo ha definito il giornale di sinistra Haaretz, spiega il successo di Naftali Bennett, protagonista della campagna elettorale israeliana che si chiuderà con il voto del 22 gennaio. I dati dell’esercito dicono di più. Non sono soltanto i combattenti dell’esercito a provenire dalle file dei nazionalisti religiosi, ma anche sempre più comandanti. Il 13 per cento dei capi delle compagnie di élite vive negli insediamenti. Epicentro di questi ufficiali è un avamposto di nome Eli, si arriva attraversando una strettoia dove un cecchino palestinese eliminò una a una dieci persone con un vecchio fucile durante la Seconda Intifada. Lì vive Sara, moglie di Roi Klein, il comandante che durante la guerra del Libano si buttò su una granata per evitare che i suoi soldati ne fossero colpiti. Il venti per cento dei comandanti della Brigata Golani, unità di punta dell’esercito combattente, vive nelle località al di là della Linea verde del 1967, mentre appena il dieci per cento nei kibbutz, le comunità agricole socialiste che un tempo fornivano gran parte dei capi di Tsahal. A Eli vive Lior Shtul, il cervello della campagna elettorale di Bennett, ma anche responsabile della yeshiva Bnei David dell’insediamento. Oggi le accademie religiose se pre-militari sono una ventina e da lì è uscita una nuova generazione di militari israeliani. I giovani di queste “mechinoth”, le accademie religiose pre-militari, credono in tre ideali: “La terra d’Israele, la Torah d’Israele e il popolo d’Israele”. Una rivoluzione ideologica rispetto alla generazione di Ehud Barak, il ministro della Difesa uscente. Nella yeshiva di Eli una fotografia orna le pareti dell’accademia. Ritrae Benji Hillman, il ventiseienne figlio di ebrei inglesi che, sebbene si fosse sposato da tre settimane, aveva insistito per tornare in battaglia con i suoi compagni. Perse la vita a Bent Jbail contro i terroristi di Hezbollah. Suo padre, nel seppellirlo, ha detto che “questa è la fase conclusiva della Aliyah, riconsegnarlo a Eretz Hakodesh, la terra santa”. I dati dell’Idf Manpower Directorate mostrano che le scuole religiose mandano più diplomati nelle unità militari di qualsiasi altra scuola. E, anche tra gli ufficiali, i religiosi sono in percentuale di più. In tempi in cui i giovani israeliani tendono a tornare in fretta alla vita civile dopo i tre anni di leva, gli osservanti sono educati a restare ben oltre il minimo richiesto. Succede allora che, nell’ultimo corso per ufficiali di fanteria, il cinquanta per cento dei cadetti fosse osservante. Con l’approvazione dell’esercito, le nuove accademie educano per diciotto mesi (in giornate divise fra studio religioso e “laico” e allenamento fisico) una generazione che mira “a condizionare tutti i settori della società con l’esempio personale”.
“Rifiuteranno gli ordini di evacuazione”
Ne parliamo con Rochel Sylvetsky, la giornalista di origine americana che dirige Arutz Sheva, la casa editrice di riferimento dei nazionalisti religiosi. Il gruppo editoriale sorge a Beit El, la prima comunità per arruolamento in tutto il paese, un avamposto a pochi chilometri da Ramallah che gli snob di Gerusalemme affettuosamente chiamano “Fort Apache”, prendendo in giro quelli che negli ultimi trent’anni ci sono andati a vivere, fanno ogni giorno i pendolari e sulla strada sono rimasti morti ammazzati negli agguati dei terroristi palestinesi. Perché è Bet El, la Casa di Dio, dove Abramo piantò la sua tenda e costruì l’altare al Signore; dove Giacobbe, figlio di Isacco, in fuga da Esaù, sognò la scala con gli angeli, e al risveglio costruì un altare al Signore. “I figli dei kibbutz sono ancora nell’esercito, ma ormai la crema dei soldati viene dalle ‘colonie’ della Giudea e Samaria”, ci dice Rochel Sylvetsky. “I giornali israeliani un giorno si lamentano che gli ultra-ortodossi non servono nell’esercito, e il giorno dopo si lamentano che l’esercito sta diventando troppo religioso. E’ un fenomeno naturale, ormai i ragazzi con la kippah sono ovunque fra le file militari. Molti vivono a Beit El, si sentono pionieri e sono una generazione moderna, molti sono avvocati, medici o lavorano nell’high-tech. Poi ci sono i giovani di Hebron, una comunità ancora più militante perché sorge in una zona ostile e conduce una esistenza conflittuale”. Secondo Sylvetsky, è tutto Israele che sta cambiando. “L’Intifada, il fallimento di Oslo, le guerre di Gaza sono alcuni dei motivi del perché il paese sta diventando sempre più di destra”. Molti opinionisti liberal denunciano il pericolo di un esercito sempre più religioso, perché nel caso di un ordine di evacuazione delle colonie molti rifiuterebbero di eseguirlo. “La prossima evacuazione dei coloni sarà molto più difficile”, conferma al Foglio il colonnello della riserva Yitzhak Shadmi, che è anche responsabile della sicurezza delle colonie dell’area di Binjamin. Un tempo i “soldati di coscienza” erano un fenomeno tipicamente di sinistra. Oggi è l’opposto. Una petizione girata nelle caserme per contestare il ritiro da Gaza fu firmata da diecimila tra reclute e riservisti. A sinistra, nei quattro anni di Intifada, non più di cinquecento soldati si sono rifiutati di servire nei Territori. E c’è persino chi agita lo spettro di una guerra civile. Danny Yatom, ex capo del Mossad, ha detto: “Gli ufficiali con la kippah sono eccellenti. Se continueranno a occupare i posti di livello più alto, un putsch non è da escludere. I rabbini hanno una grande influenza su di loro e questi militari sono pronti a obbedire più ai leader religiosi che ai comandanti”. Conclude Sylvetsky. “Per questa nuova generazione di soldati l’esercito è santo e la Bibbia dice loro che proteggere il paese è un comandamento divino, ma pensano anche che Tsahal sia stato creato per proteggere le vite dei cittadini dai terroristi, non per distruggere le case. Ci sarà disobbedienza fra i soldati se il governo dovesse dare l’ordine di portare via gli ebrei dai territori”.
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