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La Stampa Rassegna Stampa
15.01.2013 Calcio: stasera partita Inter-Bologna per ricordare Arpad Weisz
cronaca di Giulia Zonca

Testata: La Stampa
Data: 15 gennaio 2013
Pagina: 38
Autore: Giulia Zonca
Titolo: «Una partita per Weisz il vincente dimenticato»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 15/01/2013, a pag. 38, l'articolo di Giulia Zonca dal titolo "Una partita per Weisz il vincente dimenticato".


Arpad Weisz

In tempi di cori razzisti non è così banale o scontato dedicare una partita a un allenatore cacciato dall’Italia per intolleranza. Arpad Weisz ha allenato l’Inter, ha allenato il Bologna poi è sparito perché era il 1938 e lui era ebreo.

Ha vinto, ha cambiato il calcio, ha fatto esordire Meazza, ha dato due scudetti ai rossoblu e uno ai nerazzurri, è tutt’ora il tecnico più giovane che sia mai arrivato a quel titolo, ma per decenni nessuno si è ricordato di lui. È morto ad Auschwitz nel 1944, tutta la sua famiglia è stata sterminata là e per tanto tempo sono rimasti seppelliti anche i suoi successi. Persi dentro il peggio della storia.

Stasera Inter e Bologna si presentano in campo con la maglia «Per Arpad Weisz, contro il razzismo». Adesso c’è una targa che lo onora in ognuna delle due città dove è stato protagonista e soprattutto c’è un libro che ha spolverato i ricordi, «Dallo scudetto ad Auschwitz» (di Matteo Marani, Aliberti editore), ma prima di questo incontro non c’è mai stata la volontà di ridargli ufficialmente il prestigio che merita. Invece stavolta, si parla di lui, si gioca in memoria di un uomo che il calcio ha abbandonato al suo destino, i due sindaci si riuniscono nel suo nome, dentro lo stadio intitolato al ragazzo che Weisz metteva contro il muro per abituarlo ad usare entrambi i piedi. Grazie al fiuto di questo ungherese curioso, Meazza è diventato titolare a 17 anni.

Weisz era rimasto un po’ giocatore, costretto a interrompere la carriera in anticipo per un brutto infortunio, è passato subito in panchina e ha contaminato il ruolo. Lui che sapeva giocare non voleva restare a bordo campo in giacca e cravatta, guardare non gli dava soddisfazione. Stava in mezzo ai suoi ragazzi e portava gli stessi pantaloncini, insegnava a passare la palla rasoterra e ha scritto un ambizioso tomo «Il giuoco del calcio», con tanto di introduzione firmata dal ct Vittorio Pozzo, per diffondere il nuovo credo e l’aria di modernità. Si è inventato i «ritiri termali», che oggi si sono trasformati in tournée a Dubai, ma allora erano trasferte allungate per lavorare con un clima più favorevole.

I frammentari racconti arrivati fino a qui lo descrivono come un tipo carismatico, parlava la stessa lingua dei campioni, stava sempre in mezzo a loro e sapeva ottenere il meglio. Nelle rare foto rimaste sorride spesso e negli scatti che immortalano i trionfi è sempre mescolato al gruppo, anche buttato a terra, come a Parigi, nel 1937, quando il Bologna si portò a casa la Coppa dell’Esposizione.

Un anno dopo lasciava il nostro Paese, lo abbiamo cacciato ed è facile capire perché ci siano voluti quasi 50 anni per riuscire a omaggiarlo in modo degno. Il Bologna lo ha licenziato dopo il secondo scudetto consecutivo e lui ha vagato in quel periodo di terrore. Ha vissuto a Parigi dove non ha trovato lavoro e poi si è spostato in Olanda dove ha incontrato qualcuno più coraggioso. Il presidente del Dordrecht si è innamorato del suo stile e gli ha affidato una piccola squadra. Non poteva trasformarla in corazzata, ma con lui hanno battuto per due volte il Feyenord. Il boss ha continuato a foraggiarlo anche quando lo hanno obbligato a togliere il tecnico ebreo dalla panchina. Weisz spiava gli allenamenti e faceva recapitare consigli fino a che anche la clandestinità è diventata un lusso.

Ha passato gli ultimi due anni della sua esistenza in un campo di concentramento. Ma le sue idee e i suoi trionfi sono finalmente liberi.

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