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La Stampa Rassegna Stampa
13.01.2013 L'Occidente paga i suoi ritardi
La lucida analisi di Domenico Quirico

Testata: La Stampa
Data: 13 gennaio 2013
Pagina: 1
Autore: Domenico Quirico
Titolo: «L'Occidente paga i suoi ritardi»

Domenico Quirico, a differenza della gran parte degli analisti di politica estera sui nostri giornaloni, è il solo che punta il dito contro le responsabilità dell'Occidente, dandogli tranquillamente dell'addormentato. Una posizione simile alla nostra, che aggiungiamo anche cieco. Lo scrive oggi, 13/01/2013,  sulla STAMPA a pag.1/27, con il titolo " L'Occidente paga i suoi ritardi", sulla fallita missione francese nel Mali dominato da Al Qaeda.



Domenico Quirico

Il Mali è come una partita a poker, ciascuno dei giocatori - gli islamisti, il governo di Bamako, i Paesi della regione saheliana, l’Occidente - aspetta l’ultimo momento per calare le carte. E una delle chiavi del gioco è naturalmente il bluff.  Un mese fa, a dicembre, il voto alle Nazioni Unite della risoluzione che poneva le (laboriose) premesse per un intervento militare internazionale, faceva fibrillare illusioni.   Si diceva in qualche mal informata e ottimistica cancelleria occidentale che il panico dilagasse nel sinedrio degli emiri di Timbuctu e di Gao.  

E invece i narco-salafiti di al Qaeda e i loro alleati tuareg convertiti alla jihad nazionalista con una calca estremista dove brulicano sicari, predoni gentucola escandescente, erano così poco tremebondi da decidere di venire a «vedere»: se quello dei «crociati» vicini e lontani era soltanto un bluff.  

In fondo noi non muoviamo da aprile dito, perdiamo tempo, emettiamo parole vuote anche quando, per provocarci, gli islamisti mozzano mani e polverizzano a colpi di piccone i mausolei di Tombuctu. Due giorni dopo la risoluzione Onu! L’orda ha capito a volo la nostra viltà. Hanno attaccato verso Sud, dunque, verso Mopti, l’ultima grande città, oltre la capitale Bamako rimasta nelle mani della debole giunta militare al potere sotto mentite spoglie borghesi, che rischiava sotto il nuovo cozzo dei nordisti di disintegrarsi. Il pandemonio viene loro utile. Le bandiere nere dei salafiti sulle rive del Niger, il fiume dio che disseta e nutre un pezzo di Africa. Era troppo: la Francia, per salvare la faccia con i suoi alleati-clienti africani, ha dovuto accorrere a soccorso. Con a rimorchio gli Stati Uniti finora timidissimi: entrambi sedotti del progetto di una comoda guerra per procura, secondo la retorica utilitarista «L’Africa e i suoi guai agli africani!».  

 Ora Aqmi può proclamare a gran voce di essere in guerra con i colonialisti occidentali e i loro servi. Eccellente arma propagandista in un’area gonfia di miseria e di biliose «doléances», di plebi che aspettano solo una bandiera per insorgere e risorgere. È stata una scelta tattica, dunque, per costringere l’avversario ad accettare battaglia subito e in prima persona, quando gli ascari africani sono ancora divisi e sulla carta. I droni non basteranno, ci vogliono le fanterie. Aqmi, secondo gli ordini di al Zawahiri, può davvero sperare di «ficcare ancora più a fondo un osso nella gola dei crociati».  

 La posta è gigantesca, il contradditore è tignoso. L’Africa saheliana, il deserto, è il nuovo terreno di battaglia scelto dall’islamismo combattente. Non più le periferiche montagne afghane dove le mosse della internazionale islamica erano subordinate alle strategie dei taleban. Questa volta, per la prima volta, al Qaeda dispone di uno Stato, ovvero di un territorio che controlla direttamente, con grandi città e una superficie grande due volte la Francia. È deserto, è vero, sabbia e rocce, ma questo è un vantaggio, perché riconquistarlo sarà impresa difficile. (Forse solo i tuareg sono in grado di farlo, ma sono alleati con Aqmi). Una guerra da vincere a un’ora di volo dal Mediterraneo e dall’Europa, un aculeo estremista conficcato nei grandi giacimenti di petrolio, di gas, di fosfati e di uranio, sulla rotta della nuova via della droga e sul sentiero dei clandestini che salgono dall’Africa nera. Ai confini delle rivoluzioni dalla Primavera araba, diventata islamica e che si può storpiare con strategie ancor più radicali ed estremiste. Questo è il Grande Gioco oggi in Mali. E l’Occidente, pavido e distratto, non ha finora le carte migliori. 

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