Sul FOGLIO di oggi, 12/01/2013, a pag.II, con il titolo "Lo Spiegel in nero", Giulio Meotti traccia un rotratto del settimanale tedesco sotto la guida del figlio del fondatore Jakob Augstein, convinto antisemita.
Una copertina Jakob Augstein Giulio Meotti
Ogni anno il Centro Simon Wiesenthal di Los Angeles redige la lista nera dei dieci peggiori antisemiti del mondo. Una top ten di insulti contro il popolo ebraico. Quest’anno la classifica è guidata dalla Guida suprema dei Fratelli musulmani, Mohammed Badie (“gli ebrei dominano la terra e diffondono la corruzione…”), dal chierico egiziano Futouh al Nabi Mansour (“oh Allah, distruggi gli ebrei…”), da un classico come il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad (“sono quattrocento anni che l’orrendo clan sionista domina gli affari mondiali”), dal leader afroamericano Louis Farrakhan e dai capi neonazisti di Alba dorata in Grecia. Ma al nono posto per la prima volta il Centro Wiesenthal inserisce un celebre scrittore europeo, un intellettuale di sinistra e un simbolo del giornalismo tedesco. Si tratta di Jakob Augstein, firma di punta del settimanale tedesco Der Spiegel, di cui è comproprietario ed erede. Il giornalista ha attaccato la “lobby ebraica americana”, ha paragonato gli ebrei ortodossi ai terroristi islamici, ha detto che “il fuoco brucia in Libia, Sudan, Yemen, ma chi lo appicca vive altrove: è il governo israeliano”, infine ha definito Gaza “un lager” dove Israele “incuba i propri oppositori”. In una Germania già scottata dalla poesia anti israeliana scritta dal premio Nobel Günter Grass si torna a parlare di antisemitismo come non accadeva dai tempi della pubblicazione dei “Volenterosi carnefici di Hitler” di Daniel Goldhagen. A differenza di altri casi, come quello dello storico conservatore Ernst Nolte, che ha paragonato Israele ad Auschwitz, Augstein è l’editore del Freitag (il Venerdì, un magazine di sinistra), e un pilastro dell’informazione tedesca. Ma a sorpresa, in difesa del giornalista si è sollevato anche il Consiglio centrale degli ebrei tedeschi. A prendere le distanze da una valutazione ritenuta assolutamente errata, è stato infatti il vicepresidente Salomon Korn, che ha detto a una emittente radiofonica: “E’ evidente che il centro Simon Wiesenthal è molto lontano dalla realtà tedesca”. Replica del centro che prende il nome dal più famoso cacciatori di nazisti al mondo: “Il fatto di essere un giornalista non dà al signor Augstein carta bianca per dire tutto quello che vuole e nascondersi dietro l’integrità giornalistica”, ha commentato il rabbino Abraham Cooper, uno dei responsabili dell’elenco. “Se uno evoca l’immagine degli estremisti islamici, il cui contributo al mondo è fatto di attentati perpetrati da kamikaze, estremismo e odio, e poi prende una comunità religiosa e la stereotipizza in questo modo, questo non ha più niente a che vedere col giornalismo. Così si supera il limite”, ha aggiunto. A parziale difesa di Augstein s’è formata un’insolita coalizione, che va dal quotidiano conservatore Faz alla sinistra radicale della Linke, passando per la Cdu di Angela Merkel e il Consiglio degli ebrei, tutti uniti nel difendere il figlio riconosciuto del fondatore dello Spiegel Rudolf Augstein e ospite fisso dei talkshow tedeschi. Contro il giornalista dello Spiegel si è schierato invece il Congresso ebraico europeo, che rappresenta i due milioni e mezzo di ebrei nel Vecchio continente. “Alcuni giornalisti, fra cui Jacob Augstein, hanno usato le proprie column per promuovere odio e paura contro il popolo ebraico”, ha detto il presidente Moshe Kantor. No, ha risposto la Frankfurter Allgemeine Zeitung, il Centro Wiesenthal ha sbagliato. “La scelta di Augstein per il nono posto della lista dei dieci peggiori antisemiti al mondo è un errore strategico”, scrive l’influente quotidiano conservatore. Da New York è intervenuta l’Anti Defamation League, che combatte l’antisemitismo. Ken Jacobson, vicedirettore dell’organizzazione, ha detto che Augstein meritava di comparire nella lista dei dieci, perché le sue pubblicazioni “hanno sconfinato nella cospirazione antisemita”. Il caso ha diviso la comunità ebraica nazionale. Alexander Brenner, già responsabile della comunità ebraica di Berlino, si è schierato contro Augstein e ha criticato il suo successore, Korn, chiamandolo “alibi Jew”, un’espressione usata per quegli ebrei che difendono gli antisemiti. Il caso Augstein trascina nel fango la storia stessa del giornalismo tedesco. Augstein, infatti, possiede il ventiquattro per cento della proprietà dello Spiegel, che fu fondato da suo padre. La sorella di Jakob, Franziska Augstein, è stata una firma illustre della Frankfurter Allgemeine Zeitung. Il settimanale nato sulle macerie della Germania nazista è stato chiamato “la medicina della democrazia tedesca” (lo scrive Bild Zeitung). Der Spiegel (che significa “lo specchio”) ha introdotto in Germania il giornalismo investigativo: Neue Heimat (le speculazioni di una società dei sindacati per l’edilizia popolare), l’affaire Flick (dal nome del grande imprenditore che dava fondi segreti ai partiti), oppure la vicenda Barschel (un presidente regionale che faceva spiare gli avversari e fu trovato morto in condizioni misteriose in una vasca da bagno di un albergo svizzero) sono alcuni degli scandali scoperti dallo Spiegel e portati all’attenzione del pubblico. Gli Augstein non sono nuovi agli attacchi contro lo stato d’Israele. Nel 2001 un paragone fra l’allora premier israeliano Ariel Sharon e Hitler fatto dal settimanale tedesco mandò su tutte le furie l’ambasciatore dello stato ebraico in Germania, Shimon Stein, che lo respinse come un’offesa ai sopravvissuti dell’Olocausto. Lo storico fondatore del settimanale, Rudolf Augstein, aveva scritto a proposito dell’offensiva di Sharon contro i terroristi palestinesi che “nella storia… ci sono stati altri precedenti” e spiegava: “Dopo che Hitler aveva fatto il suo patto col diavolo con Stalin aspettava con grande impazienza la caduta del governo Chamberlain”. Lo Spiegel è il settimanale più letto e influente di Germania e Augstein padre è stato il mostro sacro del giornalismo tedesco. Per più di cinquant’anni ha regnato sull’opinione pubblica tedesca, offrendo un contributo essenziale per trasformare un paese devastato dal nazismo e dalla sconfitta in una libera democrazia raziocinante. Uomo di parte, ma non partigiano, si professava liberale, legato alla Fdp, il piccolo partito che per decenni è stato l’ago della bilancia tra socialdemocratici e cristiano democratici. Eletto deputato nel 1972, abbandonò il suo seggio al Bundestag tre mesi dopo, ammettendo semplicemente d’essersi sbagliato. A rendergli l’ultimo omaggio, nella chiesa di San Michele ad Amburgo, c’erano tutti, dal presidente della Repubblica, Johannes Rau, al cancelliere Gerhard Schröder. Fra il “Requiem” di Brahms e un concerto per organo di Bach, il presidente Rau salutò Augstein come “il padre fondatore del libero giornalismo nella Repubblica federale”. Lo storico Joachim Fest, già direttore della Frankfurter Allgemeine Zeitung e autore della prima biografia di Adolf Hitler scritta da un tedesco, disse che la Germania senza il fondatore dello Spiegel non sarebbe stata la stessa, visto che la diffidenza di un uomo come Augstein, la cui impronta indelebile era lo scetticismo di chi era cresciuto “nell’epoca cadaverica di Hitler”, era quella di un’intera generazione, nata sotto la dittatura e cresciuta nella democrazia. Sesto e penultimo figlio d’un fabbricante di apparecchiature fotografiche, figlio a sua volta dell’uomo più ricco di Bingen, finito sul lastrico per l’ipersvalutazione della Repubblica di Weimar, Augstein era un “prussiano” di Hannover, e di quella regione inondata dalle piogge aveva la cocciutaggine e la fermezza. Ferito mentre combatteva l’Armata rossa, nel 1945 venne fatto prigioniero dagli americani, e, dopo un breve periodo di detenzione, tornò a Hannover, che aveva capitolato in meno d’una settimana di fronte agli Alleati. Lì si fece assumere come critico teatrale e musicale dal giornale locale. Il primo numero del suo Spiegel esce il 4 gennaio: 1947. Trentamila e passa copie vanno a ruba. Da allora si afferma il mito del giornalismo tedesco. Jakob Augstein in realtà ha due padri, il patrigno fondatore dello Spiegel, e quello biologico, lo scrittore Martin Walser, che ha incassato anche lui le ire della comunità ebraica in Germania, per la celebre “predica” dell’ottobre del 1998 contro la “strumentalizzazione dell’Olocausto”. Il suo romanzo più celebre, nero e disperato, “La morte di un critico”, fu al centro di una sanguinosa polemica con il papa della critica letteraria, Marcel Reich-Ranicki “Niente anticipazione per un simile documento di odio infarcito di cliché antisemiti!”, aveva tuonato Frank Schirrmacher, coeditore della Faz, caporedattore del feuilleton della testata oggi schierata in difesa del figlio di Walser. Come è nata dunque l’accusa contro Jacob Augstein, intellettuale dalle impeccabili credenziali democratiche? Parte della responsabilità è del cattivo ragazzo dell’ebraismo tedesco, il giornalista investigativo e corsivista Henryk Broder, anche lui firma dello Spiegel e anche lui, come Augstein, pezzo da novanta del consorzio “civile” dei giornalisti tedeschi. E’ stato Broder, due mesi fa, a definire Augstein “il piccolo Streicher” (dal nome del direttore del giornale nazista Der Sturmer) e a scrivere che Augstein, se solo ne avesse avuta la possibilità, sarebbe entrato certamente nella Gestapo. Autore di saggi polemici come “Hurrà! Capitoliamo”, sulla minaccia islamista in Europa, Broder viene dal giornalismo di sinistra e ha vinto numerosi premi letterari, fra cui il Ludwig-Börne-Preis. Figlio di ebrei sopravvissuti all’Olocausto che hanno lasciato la Polonia comunista alla volta di Colonia, Broder non è nuovo a porre sotto accusa dei mostri sacri della cultura tedesca. Come quando criticò Beate e Serge Klarsfeld, cacciatori di nazisti e icone del senso di colpa tedesco, per aver organizzato una manifestazione contro la Deutsche Bahn, ovvero le ferrovie tedesche, che deportò i bambini ebrei. Broder disse che la Klarsfeld era animata da un mero “bisogno di riconoscimento sociale” e che simili esposizioni offendevano la memoria dell’Olocausto. Poi Broder attaccò la femminista Alice Schwarzer, secondo il giornalista colpevole di diffondere odio per Israele. Poi passò a Daniel Libeskind, l’architetto del celebre museo della Shoah di Berlino. Broder lo chiama “ciarlatano” che vuole “far sentire meglio i tedeschi”, dice che “la normalità tedesca verso gli ebrei è sempre stata antisemita”. L’ex studente del Sessantotto che protestava per il Vietnam e che poi avrebbe appoggiato la guerra in Iraq di George W. Bush, è a colloquio con il Foglio sul caso Augstein. “Augstein è un uomo molto colto, dalle buone maniere, dal cuore debole per i poveri, ma resta un antisemita raffinato”, dice Broder. “Conosco personalmente figli di ex nazisti che sono persone splendide, e figli di perfetti socialdemocratici che sono antisemiti dichiarati. Augstein è l’opposto dell’uomo delle SA. I maggiori antisemiti della modernità – Houston Stewart Chamberlain e Wilhelm Marr, Karl Lueger e Heinrich von Treitschke, Adolf Stoecker e Alfred Rosenberg – erano persone colte. I nazisti hanno brutalizzato l’immagine dell’antisemita. Oggi si dice che non è antisemitismo, ma ‘critica di Israele’, anche se sullo stato ebraico sono riversati tutti gli stereotipi antisemiti, da assassino di bambini a sanguisuga. Augstein demonizza Israele così come veniva demonizzato l’ebreo in quanto minaccia alla pace mondiale e causa di tutti i mali. Come chiamiamo uno che dice bugie? Bugiardo. Come chiamiamo uno che beve? Ubriaco. Come chiamiamo uno che ruba? Ladro. Solo uno che usa stereotipi antisemiti non può essere chiamato ‘antisemita’. E’ così che si è persino messo in discussione se l’attentato di Tolosa, in cui un rabbino e tre bambini ebrei furono uccisi da un salafita, fosse animato da antisemitismo”. Secondo Broder, il caso Augstein dimostra il fallimento di comprendere il nuovo odio. “L’antisemitismo non è statico ma dinamico, cambia in continuazione. Augstein è un modello, sta nel mezzo della società tedesca, è un simbolo della nuova intellighenzia”. Cosa replica a chi dice che non è corretto porre il giornalista dello Spiegel nella stessa lista del genocida Ahmadinejad? “E’ vero, non sono la stessa cosa, ma quello che scrive Augstein prepara la strada a quello che vuole fare Ahmadinejad. La colpa di Augstein è la demonizzazione d’Israele, non dice che quello che accade in Libia è responsabilità di Israele, lo lascia intendere fra le righe, allude, come nel gossip, è dunque persino peggio. Nella Ddr l’antisionismo era imposto dal governo, mentre nella Germania di oggi è volontario”. Cosa si aspetta in futuro? “Andrà sempre peggio, presto agli ebrei d’Europa verrà chiesto di allontanarsi ufficialmente da Israele. Come avvenne in Unione sovietica”.
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